Luchino Visconti

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Luchino Visconti nacque a Milano nel 1906, figlio del Duca Visconti di Modrone e di Carla Erba, proprietaria della quasi omonima casa farmaceutica. Da bambino frequentò il palco di famiglia della Scala e coltivò la sua passione per il melodramma, il teatro e la musica. Come il padre organizzava recite teatrali con amici e s’improvvisava arredatore di spettacoli. La sua adolescenza fu irrequieta e scappò più volte da casa e dal collegio.

Costruì a San Siro, nei pressi di Milano, una scuderia modello e si dedicò con successo all’allevamento di cavalli da corsa ma poi si stabilì per lungo tempo a Parigi.  La sua vita sentimentale fu segnata da conflitti: da un lato s’innamorò della cognata, dall’altro intrecciò relazioni omosessuali. Poi l’amica Coco Chanel gli presentò Jean Renoir e Visconti diventò suo assistente e costumista.

Nel 1939, alla morte della madre, si stabilì a Roma e iniziò a frequentare intellettuali del Parito Comunista, con i quali teorizzò una nuova idea di cinema basata sulla vita e sui drammi della gente. Nel 1943 diresse il suo primo film, “Ossessione”, una torbida storia di due amanti assassini che era molto lontana dai messaggi espressi dal Cinema del periodo fascista. Da questo film si cominciò a parlare di neorealismo.

Finita la guerra, Visconti iniziò anche l’ attività teatrale con una predilezione per testi e autori stranieri tra cui “Un tram che si chiama desiderio” e “Morte di un commesso viaggiatore”.

Nel 1951 girò il film “Bellissima” con Anna Magnani poi il film “Senso”, omaggio aVerdì che però fu attaccato da molti critici. Nel 1954 mise in scena alla Scala la prima de “La Vestale” con Maria Callas iniziando così una rivoluzione nella regìa del melodramma. Con Maria Callas realizzerà anche “La Sonnanbula” , “La Traviata” e “Anna Bolena”.

Negli anni ’50 e i primi anni ’60 fece molte produzioni di teatro di prosa e lirico e realizzò anche i famosi film “Rocco e i suoi fratelli” e “Il Gattopardo”, poi nel 1965 con “Vaghe stelle dell’Orsa” vinse il Leone d’oro al Festival di Venezia. Successivamente Visconti portò a compimento il progetto di una trilogia germanica con “La caduta degli dei” (1969), “Morte a Venezia” (1971) e “Ludwig” (1973).

Durante la lavorazione di “Ludwig” il regista venne colto da ictus e rimane paralizzato alla gamba e al braccio sinistro ma continuò a lavorare. Gli ultimi film realizzati furono “Gruppo di famiglia in un interno” e “L’innocente”. Morì il 17 marzo del 1976.

Provenivo da una famiglia ricca, ma mio padre, pur essendo un aristocratico, non era né stupido né incolto. Noi eravamo sette fratelli, ma la famiglia è venuta su molto bene. Mio padre ci ha educati severamente, duramente, ma ci ha aiutati ad apprezzare le cose che contavano, la musica, il teatro, l’arte. Nella nostra casa di via Cerva, avevamo un piccolo teatro, e poi c’era la Scala, che mi riempiva di meraviglia; che mi esaltava. Mio padre mi aveva insegnato che non potevo vantare per nascita né diritti né privilegi…………………….

Luchino Visconti

 

Le perle

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Il termine perla deriva dal latino permula, ovvero la conchiglia la cui forma ricorda la coscia del maiale. Le perle possono nascere da qualsiasi tipo di mollusco però di solito si formano nelle pregiate ostriche che vivono a basse profondità di solito attaccate a rocce.

Quando un corpo estraneo si deposita all’interno di un mollusco quest’ultimo crea attorno all’intruso una sorta di pellicola protettiva che lo rinchiude. Può trattarsi di un semplice granello di sabbia, di un parassita, di una larva marina o di un frammento di conchiglia. Non riuscendo ad elimare l’intruso, il mollusco inizia ad isolarlo per renderlo inoffensivo. Secerne, dunque, una sostanza cristallina liscia e dura, la cosiddetta madreperla, che in realtà non è altro che un deposito di vari strati di carbonato di calcio combinato con altri minerali, che originano ovoidi irregolari o sferici.

Fino al momento in cui il corpo estraneo rimane all’interno del mantello, cioè la parte  posta tra il guscio e il corpo dell’animale, l’ostrica produce strati di madreperla, avvolgendo completamente e numerose volte il minuscolo corpo esterno penetrato.

Le perle negli allevamenti vengono attaccate a corde verticali tenute a pochi metri di profondità e le perle coltivate vengono prodotte introducendo artificialmente il corpo estraneo all’interno del mollusco. I coltivatori riescono a ottenere anche perle dalle forme particolari, come a goccia o a sfera, cambiando la forma dell’intruso. Uno dei primi produttori di perle coltivate fu il giapponese Kokichi Mikimoto e al commercio delle perle, consentendo così al suo paese di ottenerne il monopolio di mercato.

Le perle più comuni sono bianche ma se ne possono trovare anche di rosa, viola, grigie, color crema e nere. Le perle più pregiate sono quelle  di Tahiti che sono  bellissime e costosissime. Oggi, grazie alla tecnologia, si riescono ad ottenere anche perle azzurre, arancioni o verdi che sono di poco valore e utilizzate prevalentemente nella bigiotteria. Il valore delle perle, oltre che dal colore, dipende soprattutto dalla forma e dalla luce che è in grado di riflettere.

In generale anticamente le perle erano considerate una panacea contro ogni malattia e per questo pare che  quando Lorenzo il Magnifico fu in punto di morte, gli diedero da bere una pozione di vino con dentro cinque etti di perle tritate.

L’organizzazione criminale “Cosa Nostra”

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Cosa Nostra è  un’organizzazione criminale di stampo mafioso presente in Sicilia  che  ha intensi legami con altre organizzazioni criminali internazionali. E’ costituita da un sistema di gruppi, chiamati famiglie, organizzati con un rigido sistema gerarchico composto da gregari picciotti agli ordini di un capo famiglia detto padrino . A loro volta i padrini fanno parte di una  ‘’cupola’’ che ha sopra un ‘’capo dei capi’’ .

La nascita del fenomeno è incerta e potrebbe essere stata originata dall’antica setta dei Beati Paoli attiva a Palermo nel XII secolo oppure potrebbe essere dovuta all’immigrazione in Italia di tre fratelli, cavalieri spagnoli appartenenti alla setta segreta Gardunache, fuggiti da Toledo nel XV secolo che sbarcarono nell’isola di Favignana e si rifugiarono nelle grotte di tufo dell’isola.

Nei primi anni del XIX secolo i gabbellotti, sorta di ‘’guardiani’’ dei grandi feudi siciliani  della nobiltà siciliana, che erano violenti e senza rispetto per la legge, per meglio esercitare il loro mestiere si circondavano di scagnozzi prezzolati. Cominciarono a riprendere la simbologia e i rituali segreti di società iniziatiche antiche, anche dei Beati Paoli, e di società religiose, cavalleresche e massoniche.

Dopo l’ultima guerra mondiale questo fenomeno criminale strinse rapporti con la politica e il mondo dell’ economia raggiungendo posizioni di dominio e di grande guadagno perchè controllava aziende e appalti e poi si dedicò al racket, al pagamento cioè da parte di commercianti e imprenditori di un ‘’pizzo’’ in cambio di protezione. I grandi guadagni arrivarono poi negli anni ’70 con il traffico internazionale di stupefacenti a seguito di accordi con le famiglie mafiose degli Stati Uniti e del Sud America..

Nel 1978 scoppiò una guerra interna tra la vecchia mafia storica, composta dalle famiglie affiliate a Bontate, Badalamenti e Buscetta e quella dei Corleonesi con Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Questi ultimi erano a capo di un gruppo feroce e determinato che, per dimostrare il suo potere, compì una serie di omicidi eliminando tutte le personalità dello Stato che erano scomode. In due anni morirono più di mille uomini.

Venne inviato a Palermo come prefetto il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa che però venne ucciso nel 1982 e da allora nacque anche il fenomeno dei boss mafiosi pentiti che comiciarono a collaborare con la giustizia . Il primo fu Tommaso Buscetta che nel 1984 collaborò con i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sulla base delle loro rivelazioni, il pool antimafia di Palermo mise in piedi un maxiprocesso che si concluse con 342 condanne, 2665 anni di carcere e 19 ergastoli tra cui quelli di Luciano Liggio, Bernardo Provenzano e Salvatore Riina.
I capi mafiosi oggi controllano ancora molte delle attività commerciali ed economiche ma la mafia siciliana  non è mai stata così debole. Schiacciata dalla crisi, decimata dagli arresti e dai pentiti, imbottita di spie e microspie, a corto di soldi e soldati, orfana di capi e costretta a dividere gli affari con le nuove gang straniere, in particolare quella nigeriana, Cosa Nostra non è più la stessa. Inoltre ora la recente morte di Riina avrà come conseguenza un nuovo riassetto interno.

Congo: lo scimpanzè pittore surrealista

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Lo scimpanzè Congo nacque nel 1954 e morì di tubercolosi all’età di 10 anni. Viveva nello zoo di Londra e fu studiato dal celebre antropologo Desmond Morris.

All’età di due anni gli vennero dati una matita ed un foglio di carta e cominciò a formare tracce  e da lì iniziò la sua carriera di pittore perchè  dimostrò di saper disegnare prima  dei circoli e più tardi passò alla pittura.

Congo aveva una cura meticolosa nella scelta dei colori ed un senso spiccato dell’equilibrio della composizione come se volesse mantenere una certa omogeneità dell’insieme.
Molto probabilmente non voleva raffigurare qualcosa ma semplicemente provava gusto  nell’azione del dipingere in sè ma se si cercava di interromperlo mentre dipingeva s’infuriava e finito un disegno non se ne curava più e smetteva di provarne interesse.
Se gli si riproponeva un dipinto precedente per aggiungervi qualcosa, rifiutava e quindi pare che avesse in mente una distinzione ben chiara tra l’opera in corso e il lavoro concluso e finito.
Disegnava perchè gli piaceva, dovremmo quindi concludere che lo trovava bello. Quando era in vita, lo scimpanzè pittore fu apprezzato anche da illustri pittori : Mirò volle barattare due propri disegni per uno di Congo e Picasso  acquistò un suo dipinto.

Nel 2005, per la prima volta, tre dipinti di Congo furono messi all’asta da Bonham e venduti ad un collezionista di arte contemporanea di Los Angeles, un certo Howard Hong, per 26000 dollari mentre, nella stessa asta, un dipinto di Andy Warhol rimase invenduto.

Il cavallo e la storia di espansione.

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Il cavallo si era estinto in America dodicimila anni fa fino a quando non fu reintrodotto con l’arrivo di Hernan Cortes nel 1519. Addomesticarlo non era stato molto semplice e i primi a riuscirci furono i nomadi delle steppe dell’Asia centrale che a cavallo, dal primo millennio a.C. fino al XVI secolo, avevano annientato eserciti e conquistato città rimescolando popoli e culture e formando nuovi imperi come quello dei Mongoli.

Dopo l’introduzione della ruota a raggi, avvenuta intorno alla metà del secondo millennio a.C., i cavalli vennero impiegati anche per trainare i carri da guerra e piattaforme mobili per il trasporto di arcieri e fanti armati di giavellotto.

Dopo il 1000 a.C. si cominciò a combattere utilizzando, stando in sella, l’arco composito che si rivelò un’ arma micidiale usata appunto in particolare dalle popolazioni nomadi delle steppe euroasiatiche. La  capacità dell’arco composito di garantire all’arciere velocità di carico e precisione di tiro anche stando in sella ad un cavallo o sul pianale di una biga ne facevano un’arma nettamente superiore all’arco in legno. Per contro, un arciere appiedato non otteneva da un arco composito alcun vantaggio pratico rispetto all’uso di un arco in legno tradizionale.

Era quasi impossibile resistere alle scorrerire dei nomadi delle steppe perchè si contraddistinguevano per rapidità, resistenza alle condizioni ambientali più dure e ferocia. Sciti, Unni, Bulgari e Turchi sconfissero spesso i popoli sedentari di Europa ed Asia. Poi Gengis Khan (1206-1227) espanse il proprio dominio dalla Cina alla Persia e dalla Siberia al Dnept e in questa espansione il cavallo era stato strategico: ogni cavaliere ne possedeva almeno tre da montare a turno per poter procedere più velocemente,

L’uso del cavallo facilitò anche la circolazione delle merci, delle notizie e delle persone. Ciro il Grande nel VI secolo a.C. mise a punto un servizio postale che dall’attuale Iran arrivava fino al mediterraneo: era la via Regia di 2700 Km e 111 stazioni che i corrieri a cavallo prcorrevano in nove giorni.

L’imperatore Ottaviano Augusto mise in piedi invece il “cursus pubblicus” una rete stradale di 200.000 Km che i cursores percorrevano facendo 270 Km in 24 ore e che serviva per far circolare informazioni, ordini militari e per mantenere la coesione dell’impero. Solo dalla seconda metà del Settecento a bordo delle carrozze postali furono fatti salire anche i passeggeri.

Coco Chanel

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Gabrielle Bonheur Chanel nacque a Saumur nel 1883 in un ambiente familiare caratterizzato da privazione e sofferenze. Rimasta orfana dopo la morte della madre e l’abbandono del padre fu rinchiusa per anni in un orfanotrofio, affidata alle suore del Sacro Cuore dalle quali apprese i rudimenti dell’arte sartoriale e da cui deriverà l’eleganza e il rigore degli abiti neri e bianchi.

A 18 anni Coco iniziò a lavorare come sarta e nello stesso anno conobbe Etienne de Balsan facoltoso ufficiale di cavalleria, figlio di imprenditori tessili che fu  il primo finanziatore e compagno di Gabrielle. Gabrielle Chanel divenne  “Coco” grazie a due frivole canzoncine da lei cantate una volta al Caffè Concerto La Rotonde: “Qui qu’a vu Coco“.  Étienne Balsan, che la conobbe quel giorno, la chiamò sempre Coco.

Nel 1909 iniziò a realizzare  cappellini sobri in paglia con piccoli nastri in raso, in contrasto con quelli più sontuosi in voga in quel periodo. Nel 1916 aprì il suo salone di alta moda a Biarritz, poi nel 1920 il mitico atelier di Rue Cambon, 31 a Parigi e nel 1923 creò Chanel n°5, il suo primo profumo.

Coco fece indossare le giacca alle donne, studiata per armonizzarsi perfettamente con il corpo femminile grazie anche alla catenina che profilava i bordi internamente in modo da assicurare una caduta perfetta, che divenne un capo cult quando la stilista scoprì il tweed durante un viaggio in Scozia. Poi nel 1926 diede vita vita a un classico per eccellenza: Le Petite Robe Noire, ovvero il tubino nero.

La donna per Coco doveva muoversi agile e disinvolta anche in abito da sera, senza lacci e corpetti: lanciò i pantaloni femminili, lo stile alla marinara, il jersey come tessuto nobile e poi le giacche corte, i bottoni dorati, le gonne con il punto vita abbassato.

Arthur Capel, un uomo d’affari inglese soprannaminato da Coco “Boy” fu  il più grande amore della stilista francese. Il loro fu un amore appassionato nato durante gli anni della guerra e interrotto dalla morte prematura di lui, vittima di un  incidente automobilistico. Ancora oggi è famosa la borsa Boy di Coco Chane.

 Misia Sert, che rappresentò un’amicizia unica, complice e indissolubile, aiutò Coco a superare la perdita del suo amato Arthur. Fu proprio in quel frangente che Misia invitò Coco a seguirla a Venezia. E sarà qui che lei rimase  abbagliata dai luccichii delle botteghe veneziane e  trarrà ispirazione per il suo stile inconfondibile.

Chanel morì il 10 gennaio 1971 in una camera dell’Hotel Ritz all’età di 87 anni. Lasciò il suo patrimonio alla fondazione Coga, il cui nome è l’unione delle prime sillabe di Coco e Gabrielle. Era stata creata con lo scopo di pagare le pensioni per alcuni vecchi servitori, impiegati, amici in stato di necessità, per l’orfanotrofio di Aubazine dove era cresciuta, per giovani artisti e persone in difficoltà.

” L’eleganza non consiste nell’indossare un vestito nuovo”.

Coco Chanel

 

 

Le foglie

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Quasi tutte le foglie sono verdi, sorrette da un breve peduncolo detto picciolo e formate da una lamina sottile. La parte superiore, rivolta verso la luce, è di colore verde scuro perché ricca di clorofilla, un pigmento capace di catturare la luce del sole. Inoltre  è anche lucida perché rivestita da una cera.

La parte inferiore è  di colore verde più chiaro,  rivolta verso il basso, spesso ricoperta da una fitta peluria per trattenere l’umidità e presenta numerose aperture molto piccole, simili a bocche, dette stomi.  La loro funzione è di consentire lo scambio gassoso fra interno ed esterno del vegetale, in particolare l’entrata dianidride carbonica e la fuoriuscita di ossigeno.

La “fotosintesi clorofilliana” è la produzione di sostanze nutrienti per la pianta in presenza di luce e clorofilla. Quando la luce colpisce le foglie, la clorofilla si attiva e trasforma l’anidride carbonica, l’acqua e i sali minerali assorbiti dalle radici in sostanze nutritive per la pianta (zuccheri e amidi) e ossigeno; quest’ultimo viene immesso nell’ambiente e nell’aria attraverso gli stomi mentre gli zuccheri e gli amidi vengono utilizzati dalla pianta per vivere, crescere, fiorire e produrre semi e frutti.

La forma delle foglie può essere: allungata simile a un nastro,  simile a un ago,  a forma di cuore, ovale, lanceolata  o composta perché formate da tante piccole foglioline semplici raccolte insieme lungo un asse verde. Alcune hanno i margini lisci , altre dentellati come la lama di una sega , altre provvisti di spine o con lobi arrotondati, alcune dai bordi lobati.

Sulla superficie delle foglie vi sono le  nervature,  linee più scure sulla parte superiore o più chiare e rigonfie su quella inferiore. Si tratta di canali o tubi che si estendono lungo tutta la foglia a partire dal picciolo e si ramificano e si assottigliano sempre più fino ai margini laterali.

Attraverso le nervature, tutte le cellule della foglia sono rifornite di acqua e di sali minerali provenienti dalle radici (linfa grezza), mentre l’acqua e gli zuccheri (linfa elaborata) prodotti dalle cellule della foglia con la fotosintesi sono trasportati in senso opposto: dalle foglie a tutti gli altri organi della pianta, comprese le radici.

Le foglie meno esposte alla luce del Sole e situate nella parte più bassa della chioma di un albero, sono spesso più grandi rispetto a quelle situate più in alto, più esposte alla luce, perché hanno bisogno di aumentare la loro superficie per catturare una quantità di luce sufficiente.

Le foglie verdi, in autunno, diventano gialle, arancioni, rosse o marroni perchè nelle cellule delle foglie, si trovano i carotenoidi, pigmenti chimici responsabili del colore arancione delle carote o del giallo del mais, che però restano invisibili sotto il verde della clorofilla.

In autunno, quando le foglie si stanno avvicinando alla fine del loro ciclo di vita, la clorofilla diminuisce e il giallo-arancione del carotene e degli altri pigmenti prende il sopravvento.

Si chiamano piante sempreverdi quelle piante che non lasciano cadere le foglie in inverno. La caduta fogliare ed il conseguente rinnovo, avvengono invece gradualmente, di norma durante la formazione delle gemme. Le foglie possono restare sulla pianta anche per più anni ma comunque con il tempo vengono rinnovate.

“Che dolceza infantile nella mattinata tranquilla! C’è il sole fra le foglie gialle e i ragni tendono fra i rami le loro strade di seta”.

Federico Garcia Lorca