La felicità

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“Nam in omni adversitate fortuna infelicissimum est genus infortuni, fuisse felice.”

Infatti, a ogni rivolgimento della sorte, la più malaugurata delle sciagure è quella di essere stati felici.

Boezio, De consolatione philosophiae

Lee Miller ed il movimento Surrealista

 

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Elizabeth “Lee” Miller, Lady Penrose (1907– 1977), è stata una famosa fotografa, fotoreporter e modella statunitense. Era la figlia preferita del padre, di origine tedesca, Theodore che insegnò le tecniche fotografiche ai propri figli quando erano ancora molto piccoli.

Nel 1914, all’età di sette anni, subì una violenza sessuale mentre si trovava presso amici di famiglia ed ebbe un’infezione di gonorrea. Non venne sporta denuncia e non fu ben chiaro chi fosse l’autore della violenza, che voci contrastanti attribuirono addirittura a suo padre. Qualunque fosse la vera identità dello stupratore, in quello stesso anno Theodore iniziò a fotografare la figlia nuda. 

Studiò arte, scenografia ed illuminazione di scena e nel 1926 mentre camminava per strada rischiò di essere investita da un’auto ma fu salvata da un passante. Il passante era Condé Nast, editore di Vanity Fair e di Voghe che rimase affascinato dal portamento e dal modo di vestire di Lee e le propose un contratto.

Lei divenne  una delle modelle più ricercate di New York ma una sua foto fu utilizzata per la pubblicità di assorbenti e causò uno scandalo che pose fine alla sua carriera di modella.

Nel 1929 Lee Miller si recò a Parigi con l’intenzione di fare apprendistato presso l’artista e fotografo surrealista Man Ray del quale  divenne presto compagna e musa. Nel 1930 Miller allestì uno studio fotografico e, insieme a Man Ray, sperimento’ la tecnica fotografica della solarizzazione.

Partecipò attivamente al movimento surrealista con le sue immagini argute ed umoristiche utilizzando porte, specchi, finestre ed altri dettagli atti ad inquadrare e ad isolare il soggetto ritratto. Nel 1932 lasciò Ray  tornò a New York, dove allestì un proprio studio fotografico per ritratti e foto commerciali, con il fratello Erik che la assisteva nella camera oscura. 

Nel 1934 conobbe il facoltoso uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey, che dopo pochi mesi sposò e  seguì al Cairo. Qui, impressionata dal paesaggio arido del deserto e dai luoghi abbandonati dei faraoni, fotografò rovine e templi. La storia d’amore con Bey non durò a lungo, e presto Lee si stancò della vita al Cairo e nel  1937 a Parigi incontrò il pittore surrealista e curatore d’arte britannicoRoland Penrose. 

Allo scoppio della seconda guerra mondiale Miller era residente  a Londracon Roland Penrose quando iniziò il bombardamento della città. Penrose venne richiamato alle armi, mentre Lee tornò per un breve periodo a New York poi intraprese la nuova carriera di fotoreporter di guerra per Vogue, e documentò il bombardamento del Regno Unito da parte dei nazisti. 

Diventò anche corrispondente di guerra tra il 1939 ed il 1945 e collaborò con il fotografo statunitense David Scherman, corrispondente di Life, con il quale ebbe una relazione. Le furono affidati numerosi incarichi, durante i quali sviluppava le pellicole in una camera oscura improvvisata nella propria stanza d’albergo.

Documento’ l’orrore dei campi di concentramento nazisti e Scherman, la ritrasse nella vasca da bagno dell’appartamento di Hitler a Monaco di Baviera dopo la caduta della città nel 1945. Infranse anche il divieto che riguardava le fotografe di avvicinarsi troppo al fronte: infrazione che le costò l’arresto per un breve periodo.

Finita la guerra, Miller iniziò a ritrarre bambini ricoverati in un ospedale di Vienna e la vita dei contadini nell’Ungheria. Dopo essere tornata in Gran Bretagna iniziò però a soffrire di severi disturbi depressivi post traumatici da stress iniziò ad eccedere con l’alcol.

Quando si accorse di aspettare un bambino, chiese il divorzio dal marito egiziano e sposò Roland Penrose nel 1947 e Il suo unico figlio, Antony, nacque nello stesso anno. Due anni più tardi la famiglia Penrose acquistò una proprietà, la Farley Farm House  che divenne una meta di pellegrinaggio per artisti. 

Lady Penrose presto si trasformò  in cuoca apprezzata ma le immagini della guerra continuavano a tormentarla e il suo stato depressivo peggiorò. Il suo peggioramento era anche in parte dovuto alla lunga relazione extraconiugale del marito con una trapezista.

Negli anni quaranta e cinquanta Lee fu indagata dal servizio di sicurezza britannico perché sospettata di spionaggio per conto dell’ Unione Sovietica. Morì di cancro presso la Farley Farm all’età di settant’anni. Venne cremata e le sue ceneri sparse nel suo giardino.

Katherine Mansfied ed il Modernismo

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Katherine Mansfied nacque nel 1888 in Nuova Zelanda e fu una bellissima ed affascinante mangiatrice di uomini. Nel 1902 si trasferì a Londra per finire gli studi  e lì scoprì anche di essere una violoncellista molto dotata.

Si sposò una mattina con George Bowden, maestro di canto, e si separò il pomeriggio dello stesso giorno senza avere consumato il matrimonio. Poi si innamorò di Ida Baker pur avendo altri amanti sia maschili sia femminili. Sua madre, per interrompere la relazione con Ida, la portò in una stazione termale in Baviera, dove lei iniziò a leggere con passione Cechov, e successivamente la diseredo’ a causa dei suoi comportamenti troppo liberi.

Katherine comprese allora che il suo destino era la scrittura, che aveva sempre praticato ma senza la necessaria determinazione, e ritornò a Londra dove poco dopo sposò il critico letterario e direttore di una casa editrice John Middleton Murry. Egli rimase per sempre suo marito nonostante anche una successiva relazione che la scrittrice intraprese con un’altra donna.

Murry stampo’ tutti i suoi scritti e commissionò alla moglie articoli e recensioni ma nel 1918 Katherine scopri’, dopo che le uscì un fiotto di sangue dalla bocca, di avere la tisi che peggioro’ sempre più nel tempo.

Due raccolte di racconti la consacrarono una delle voci più originali  del Modernismo: Bliss (1920) e The Garden Party (1922).

Si affidò alle cure di un imbroglione di nome George Gurdjeff che la persuase a dormire su un soppalco in una stalla perché riteneva che le esalazioni e l’odore delle mucche fossero benefiche per la tisi e le proibi’ anche di scrivere. Nello stesso soppalco, alla presenza del marito, dopo aver avuto un ultimo e violento fiotto di sangue morì a soli 35 anni.

 

 

 

 

Zelda Sayre Fitzgerald

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Zelda Sayre Fitzgerald (1900- 1948) è stata una pubblicista e scrittrice statunitense. Era di temperamento ardente e insofferente ai freni: consumava alcolici, fumava e passò gran parte della sua adolescenza al fianco dei numerosi fidanzati.

Secondo una rivista locale, che dedicò un articolo a uno dei suoi balli, a Zelda interessavano solo i ragazzi ed il nuoto.  Amava la trasgressione, tanto che adorava ballare il charleston, indossare abiti aderenti color carne e alimentare quelle voci, esistenti da tempo, che volevano nuotasse nuda.

Lo scrittore Scott Fitzgerald si innamorò subito di Zelda, la più bella ragazza di Montgomery, ma lei accettò di sposarlo solo due anni dopo nel 1920.

Lei era una ragazza molto stravagante e voleva emergere. I due diventarono una coppia che sfavillava nell’età del jazz e che era presente in tutte le feste che contavano. Attraversarono New York sul tetto di un taxi,  bevevano smodatamente e lei regalava i costosi gioielli ricevuti da lui al primo che capitava.

Tutti i personaggi femminili nei libri di Scott di fatto rappresentano Zelda che peraltro a trent’anni scoprì la voglia di diventare una ballerina classica.

Zelda scrisse il romanzo Save me the waltz e si rivolse all’editore di Scott per pubblicarlo ma il marito bloccò la stampa del libro e corresse il testo del libro tagliando, cambiando e ricucendo i pezzi forse anche quelli che lui, anche se scritti da lei, aveva già utilizzato nei suoi libri.

Zelda riuscì comunque a fare pubblicare il libro e lui, livido di rabbia, l’accuso’ di aver messo in piazza i loro problemi familiari. Lei, già fragile, ebbe comportamenti sempre più stravaganti e nel 1930 venne ricoverata in manicomio per schizofrenia. Dopo l’insuccesso del libro Tenera è la notte Scott cominciò a bere sempre di più e ad indebitarsi.

Zelda morì in un incendio nell’ospedale psichiatrico dove era ricoverata perché non poté scappare in quanto era legata in attesa di essere sottoposta ad un elettroshock.

Pitagora e la metempsicosi

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Pitagora fu un filosofo e matematico greco che nacque a Samo nel 580 a.C. circa e poi, dopo aver viaggiato in Egitto e in Babilonia, si stabilì a Crotone in Magna Grecia dove diede vita nel 530 a.C. alla scuola pitagorica che ha avuto una storia di più di 10 secoli.

L’attività politica però, che questa scuola svolgeva suscitò una violenta reazione popolare e la scuola fu incendiata e i pitagorici massacrati. Non è noto se anche Pitagora sia morto in quella circostanza o se sia riuscito fuggire a Metaponto dove poco dopo morì.

Il compito della filosofia per Pitagora era di favorire la progressiva purificazione dell’anima attraverso la conoscenza dell’ordine superiore dell’universo. Centrale fu nel pensiero di Pitagora la riflessione sui numeri che potevano spiegare la struttura atomica dell’ universo. Gli si attribuisce il merito del teorema sui triangoli rettangoli, già peraltro conosciuto dai Babilonesi 1000 anni prima,  e dei numeri irrazionali.

La scuola di Pitagora ebbe una vita molto lunga e per questo è difficile sapere con certezza quali dottrine siano state elaborate da lui  e quali dai suoi seguaci. Il rigido principio di autorità, vigente nella scuola, espresso dalla formula “ipse dixit”, poneva sotto il nome del fondatore anche dottrine posteriori. Inoltre Pitagora divenne ben presto un personaggio leggendario e fu ritenuto figlio di Apollo o di Ermes e capace di profezie e di miracoli.

La dottrina della “purificazione” delle anime mediante la scienza (soprattutto aritmetica e geometria) e la musica spiega l’ attribuzione a Pitagora non solo di numerose scoperte in questi campi, ma anche la dottrina fondamentale della scuola, quella per cui l’essenza delle cose sta nei numeri e nei rapporti matematici. Il numero più importante è il 10 su cui i pitagorici giuravano, e in cui per la prima volta sono compresi il primo pari, il primo dispari e il primo quadrato.

Dalle opposizioni nasce poi quella armonia che è propria di tutto il cosmo, ma che particolarmente si rivela negli accordi musicali. Un posto importante, infine, spetta ai pitagorici nella storia della retorica antica: come la medicina cura il corpo così la musica e la retorica curano le anime; e l’arte dei discorsi è essenzialmente una guida dell’anima.

Pitagora aveva posto la sede della sua scuola a Crotone, ma vi furono altre sedi pitagoriche nella Magna Grecia e la scuola rifiorì soprattutto a Tebe. Con l’età di Platone si fa solitamente terminare la storia del pitagorismo antico.

La primitiva comunità pitagorica era come un’associazione religiosa, politica e scientifica, alla quale si accedeva dopo prove severe, tra cui spiccava il silenzio imposto ai novizi. Gli aderenti erano tenuti al segreto e il divulgare le dottrine della scuola poteva costare la vita. Vigevano nella scuola la comunità dei beni, il celibato e una serie di prescrizioni, che costituivano un vero e proprio “catechismo”.

Egli credeva nella sopravvivenza dell’anima dopo la morte e nella sua trasmigrazione in altri corpi: la metempsicosi.  Secondo questa dottrina il corpo è una prigione all’interno della quale l’anima è stata rinchiusa per punizione dalle divinità. Finché l’anima è nel corpo, ne ha bisogno quale mezzo per sentire; ma è quando ne esce che vive in mondo superiore.

Anche nei culti orfici era presente il concetto di trasmigrazione delle anime ma la novità del pensiero pitagorico è rappresentata dal considerare la conoscenza uno strumento di purificazione; l’ignoranza è ritenuto un male da cui ci si libera attraverso il sapere.

L’anima umana è precipitata sulla terra a causa di una colpa originaria per via della quale è costretta a trasmigrare da un corpo all’altro; non solo corpi umani, ma anche animali e piante. Per questo Pitagora, vegetariano, raccomandava di non rovinare né danneggiare una pianta domestica, ma nemmeno un animale che non fa del male agli esseri umani.

Pitagora vietava inoltre di mangiare le fave perchè erano considerate piante magiche, dotate di una potenza misteriosa e cosmica, sede di esseri soprannaturali in grado di influenzare negativamente o positivamente la vita degli uomini. Erano un cibo sacro agli dei dell’oltretomba o un cibo caro ai morti e per questo oggetto di tabù.

Vi fu una suddivisione nella scuola tra “acusmatici” e “matematici” che fu operata  tra gli uomini di fede, attaccati a quanto vi era di religioso e segreto nella scuola, e quelli di scienza, che tendevano ad uscire dal silenzio mistico per giustificare razionalmente il proprio sapere. Gli akousmatics, vivevano nelle loro proprie case, e andavano alla Scuola soltanto durante il giorno e a loro era permesso avere possedimenti propri e di non essere vegetariani.

 

 

 

L’onda – capitolo sesto

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Ingombranti manichini in agguato

Maria si fermò un paio di volte per salutare conoscenti perchè un semplice buongiorno sarebbe stato visto come una scortesia e finalmente arrivò al negozio.

L’insegna era ormai quasi del tutto scolorita e la porta era troppo stretta ma lei entrò con passo deciso. Dorotea la negoziante, che era seduta tutta sudata e con lo sguardo vitreo su una sedia di vimini, la salutò esclamando ansante:

“Che caldo oggi,  Madonna mia!”

Maria le sorrise e cominciò a guardare la massa di vestiti che, in una cupa penombra, giacevano appesi ad un numero incalcolabile di ganci attaccati alle pareti e sembravano lugubri ed ingombranti manichini in agguato.

Per terra poi non c’era quasi più spazio perché il pavimento era riempito di giocattoli e di scarpe. Lei faticava a camminare e un paio di volte rischiò di inciampare e di rompersi l’osso del collo.

Maria allora senti’ il respiro farsi greve, fece un giro su se stessa guardando sulle pareti tutti quei colori variopinti che sembravano vorticare, si girò ancora impallidendo e… poi di nuovo ancora…. infine improvvisamente, avvitandosi lentamente, svenne e cadde con un gemito rumorosamente a terra.

In mano, stretto in una morsa d’acciaio, teneva in bella vista il foglietto in cui aveva annotato le misure di Turi.

Appena si riebbe si trovò sotto ad un ventaglio frusciante e davanti agli occhi quelli vitrei di Dorotea che la scrutavano e la interrogavano muti. Lei non profferiva parola e l’altra allora finalmente chiese: “Non è che siamo in stato interessante per caso?”

Maria si sentì di botto avvampare e per dieci minuti buoni dovette dare spiegazione dettagliata sugli acquisti che voleva fare e sulle motivazioni. Fu un interrogatorio in piena regola che affrontò come fosse un martire che aspira al Paradiso.

Ma non finì tutto lì perché poi dovette ingaggiare una lotta ancora più dura quando si trattò della scelta degli indumenti perchè lei voleva colori in tinta unita e pesci o farfalle come disegni.

La negoziante però la “babbiava” perché tutti i maschi, a suo dire, preferiscono i colori mescolati e vogliono solo disegni di palme, macchinine, palloni e pistole. Alla fine Maria riuscì a non cedere solo su due punti:  i pantaloni acquistati erano blu o marroni e di armi sui vestiti non se ne vedeva neppure l’ombra.

Aveva già scelto tutto quando Dorotea, con un tono di voce che voleva essere invitante, le disse:

Figghiuzza bedda, ma un bel giocattolino per andare al mare non glielo vogliamo comprare? Povera creatura, anche lui deve giocare sulla sabbia!”

Maria non ci aveva pensato, si sentì mortificata e disse: “Sì certo, datemi pure paletta e secchiello.”

“Madre mia che sento, che sento? Turi otto anni ha e quindi ci vuole qualcosa di più appropriato, ecco quello che ci vuole!” esclamò la negoziante strabuzzando gli occhi e, dopo avere frugato in un angolo del negozio, si voltò con sorriso trionfante e le porse un enorme camion giallo con rimorchio ribaltabile munito anche di ruspa.

Le due donne si fronteggiarono a lungo guardandosi dritto negli occhi e poi Dorotea mise le mani sui fianchi poderosi e spinse il generoso petto in fuori. Maria sgomenta strinse gli occhi, infilò una mano in tasca e infine, mentre un rigolo di sudore le colava dalla fronte, sfilò molto ma molto lentamente, il portamonete.

Pagò senza dire più una parola, prese con fatica tutti i pacchi ed ansimante si avviò verso la casa di Carmela.

 

Le favole

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“Le favole dovrebbero essere insegnate come favole, i miti come miti, e i miracoli come fantasie poetiche. Insegnare le superstizioni come verità è la più terribile delle cose. La mente del bambino le accetta e ci crede, e solo attraverso un grande dolore e forse una tragedia può esserne, negli anni a venire, liberato”.

Ipazia di Alessandria

Il consumo

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Pier Paolo Pasolini