Il colonnello Michele Pezza, l’eroe popolare Fra Diavolo

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Michele Arcangelo Pezza (Itri 1771 – Napoli 1806) fu chiamato Fra Diavolo  perché la madre, durante una grave malattia del figlio ancora bambino, aveva fatto voto a San Francesco di Paola di farlo fraticello se gli avesse salvato la vita.

Una volta guarito, Michele venne rapato a zero e vestito con un saio da frate e cominciò ad essere chiamato Fra Michele Arcangelo. Ma con il tempo divenne sempre più vivace, manesco e belloccio tanto che il suo maestro canonico gli diede il soprannome di Fra Diavolo.

Nel 1796  il giovane Michele, che aveva un debole per il gioco e per le belle donne, ammazzo’ durante una rissa il padrone presso il quale andava a bottega per imparare il mestiere di sellaio e poi il fratello di lui che minacciava vendetta.

Si rifugiò allora sui monti di Itri dove iniziò la sua vita di bandito all’età di 25 anni unendosi ad altri latitanti. Ma nel 1798 l’esercito francese di Napoleone Bonaparte iniziò la sua avanzata verso Roma e il Re Ferdinando IV di Borbone decise di aprire le patrie galere per rimpolpare l’esercito.

Fu commutata la condanna per duplice omicidio, che pendeva sul capo di Michele, in 13 anni di servizio militare e così Fra Diavolo entrò nell’esercito borbonico. 

Nel febbraio 1798 i Francesi entrarono a Roma e proclamarono la Repubblica Romana. Il Papa lasciò la città e Ferdinando IV ordinò al suo esercito, in cui militava anche Michele Pezza, di marciare su Roma per cacciare i Francesi. 

Il 29 novembre i Borboni entrarono a Roma ma dieci giorni dopo i giacobini francesi li ricacciarono via e poco dopo conquistarono anche Napoli. Re Ferdinando e la sua corte si rifugiarono a Palermo mentre a Napoli venne costituita la Repubblica Napoletana.

Le zone “libere” dai Francesi diventarono però “proprietà” di bande armate, impegnate sia in scorrerie criminali, sia in azioni di resistenza all’invasore francese.

Michele, che non era stato soldato neppure un anno,  riprese il suo soprannome di Fra Diavolo,  raccolse un migliaio di uomini e si installo’ nelle zone dei monti Ausoni e Aurunci dove un vecchio fortino borbonico diventò la sua roccaforte.

E’ in questa fase che egli dimostrò le sue doti militari, di anticipatore delle “tecniche della guerriglia” che gli permisero di fermare, sia pure per breve tempo, l’avanzata dell’esercito repubblicano.

Ma la rappresaglia francese fu terribile: le case furono incendiate e vennero uccisi soprattutto civili, donne, bambini, anziani e anche il padre di Michele.  

Fra Diavolo iniziò allora una serie di operazioni militari, tra alterne vicende, che lo resero sempre più popolare ma nel 1799 anche Capua venne presa dai Francesi.

Allora Fra Diavolo partecipò ad ogni insurrezione, scorribanda, saccheggio ed agguato e tutto questo impegno militare e banditesco, insieme alla notevole prestanza fisica, gli fruttarono la simpatia della regina Maria Carolina. 

Per stringere d’assedio e riprendere Gaeta, Fra Diavolo fu nominato generale e i suoi oltre mille uomini furono  riconosciuti come soldati  regolari. Ma quando  Gaeta si arrese, il generale francese Girardon si rifiutò di trattare con Fra Diavolo considerandolo soltanto un brigante.

Riconquistata anche Napoli nel 1799, re Ferdinando pensò ad una nuova spedizione per liberare anche Roma e Fra Diavolo, divenuto ormai un eroe popolare, fu nominato dal Re colonnello di fanteria.

Fra Diavolo con il suo esercito di briganti mosse su Roma e ci sarebbe entrato da vincitore, se il cardinal Ruffo non l’avesse fatto fermare dalla cavalleria borbonica, arrestare e rinchiudere in Castel Sant’Angelo.

Michele riuscì a fuggire e a imbarcarsi per Palermo dove fu nominato Comandante Generale del dipartimento di Itri dal Re e colmato di doni dalla regina, non insensibile al fascino del Pezza.

Finita la guerra Fra Diavolo cercò di pagare, come promesso, i suoi soldati ma nessuno, nemmeno il Re, lo aiutò e lui li ricompenso’ di tasca propria finendo col vivere in una squallida pensione a Napoli.

Nel 1806 Napoleone Bonaparte inviò ancora il suo esercito verso Napoli, Re Ferdinando fu costretto a fuggire nuovamente e Giuseppe Bonaparte venne incoronato re di Napoli. 

Fra Diavolo si recò a Sperlonga, confidando nell’aiuto promesso dagli Inglesi, ma la rivolta che organizzò venne soffocata dalle truppe francesi ed egli dovette utilizzare spesso l’arte del travestimento e della dissimulazione per sfuggire ai controlli.

Alla fine, rimasto praticamente solo, fu denunciato ai Francesi che lo catturarono senza problemi. A mezzogiorno dell’11 novembre 1806, in Piazza del Mercato a Napoli, Fra Diavolo viene impiccato con l’uniforme di brigadiere dell’esercito borbonico. Aveva solo 35 anni.

Il corpo fu lasciato penzolare per ventiquattr’ore bene in vista, come monito alla popolazione, col brevetto di duca di Cassano, riconoscimento regale per i suoi meriti di fedeltà alla corona borbonica, appuntato sul petto.

Fra Diavolo godette, per le sue capacità militari, della stima del contrammiraglio inglese Nelson e del suo successore Sidney Smith. È innegabile che le sue truppe erano costituite, spesso, da delinquenti, sbandati, assassini e che questi, in più occasioni, si macchiarono di molti delitti e violenze che sono poi ricadute sul loro Comandante. Certamente però Fra Diavolo è stato sempre un difensore della “sua” terra e del suo Re.

La vita e le gesta di Michele Angelo Pezza ispirarono il compositore francese Daniel Auber che usò la sua storia per comporre l’opera comica Fra Diavolo, ou L’hôtellerie de Terracina.  

Anche una decina di film sono stati girati su di lui ma di una vita così ricca di drammi, di violenze e di eroismi sono stati rappresentati  solo gli episodi relativi ai travestimenti ed ai tranelli, ispirando opere buffe come se Fra Diavolo fosse egli la “maschera” di Pulcinella. 

La solitudine

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Pensavo che la cosa peggiore nella vita fosse restare solo. No, non lo è. Ho scoperto invece che la cosa peggiore nella vita è quella di finire con persone che ti fanno sentire veramente solo.

(Robin Williams)

La stella Arturo, coda dell’Orsa, e l’esposizione universale del 1933

Primaverili

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Arturo è la stella più luminosa dell’emisfero nord, la seconda dopo Sirio tra quelle visibili dall’Italia e la quarta in assoluto dopo Canopo e Alfa Centauri che però sono troppo meridionali per essere visibili dall’Italia. 

È una gigante arancione, il suo diametro è circa 70 volte e la luminosità circa 200 volte quella del Sole, e si trova relativamente vicina alla Terra dal momento che si trova a 37 anni luce di distanza.

Appartiene alla costellazione del Boote (Bifolco o Bovaro), situata a non grande distanza dal Grande carro dell’Orsa Maggiore, ed è facilmente invididuabile proseguendo lungo l’arco formato dal timone del carro.

Arturo fa anche parte, con Spica nella Vergine e a Denebola nel Leone, del Triangolo di primavera e infatti nelle notti primaverili si vede verso sud e costituisce il vertice in alto a sinistra del triangolo.

Il nome di Arturo deriva dal greco e significa “la coda o il guardiano  dell’Orsa”, mentre la sua costellazione, il Boote deriva dalla sua posizione davanti al carro dell’Orsa in quanto sembra spingere il carro dei buoi.

La figura dell’Orsa Maggiore nel suo complesso è stata accostata a quella di una orsa, ma il carro preso singolarmente è stato associato al carro dei buoi nelle antiche civiltà contadine.

Arturo è visibile in inverno a notte fonda guardando verso est, in primavera per tutta la notte guardando verso sud e in estate nelle prime ore della notte, guardando verso ovest, poiché dopo va a tramontare.

Nel 1933 venne utilizzata la luce di Arturo per dare il via alla Century of Progress Exposition, esposizione universale tenutasi per celebrare il centenario di Chicago. Con un telescopio puntato su Arturo, la luce della stella venne fatta concentrare su una cella fotoelettrica che accese l’interruttore che diede luce ai riflettori dell’esposizione.

Fu scelta la stella Arturo  perché 40 anni prima, sempre a Chicago, si era tenuta un’altra esposizione universale e all’epoca i dati suggerivano che Arturo si trovasse a circa 40 anni luce dalla Terra, mentre oggi si sa che la distanza è di “soli” 37 anni luce, e la scelta di questa stella creava un ponte storico con l’esposizione del 1893.

La compassione

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La compassione non è una relazione tra il guaritore ed il ferito. E’ un rapporto tra eguali. Solo quando conosciamo la nostra stessa oscurità possiamo essere presenti nel buio degli altri. La compassione diventa reale quando riconosciamo la nostra comune umanità.
(Pema Chödrö)

La tribù degli Hamer e le frustate alle donne

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La tribù degli Hamer, noti anche come Hamar o Hammer, è una delle più conosciute nell’Etiopia sudoccidentale nel territorio a est del fiume Omo e hanno villaggi a Turmi e Dimeka. È un popolo semi-nomade, che conta circa 42.000 persone.

Le loro attività principali sono la raccolta del miele e il pascolo del bestiame: mucche, buoi, capre e galline. Il miele, che raccolgono due volte l’anno, è un alimento fondamentale nella loro dieta.  Rimangono per alcuni mesi ovunque ci sia abbastanza erba per pascolare e poi si spostano. Una volta erano cacciatori, ma i maiali selvatici e le piccole antilopi sono scomparsi quasi del tutto dalle terre in cui vivono.

Fino a 20 anni fa, tutta l’aratura veniva fatta a mano con bastoni da scavo e la terra è proprietà di tutti e pertanto gratuita per la coltivazione e il pascolo, così come lo sono i frutti e le bacche per chiunque li raccolga. 

Spesso le famiglie uniscono il loro bestiame e lavorano insieme per radunarlo andando a vivere, nella stagione secca, nei campi di pascolo con le mandrie e si nutrono del latte e del sangue del bestiame.

Gli Hamer sposano solo membri della propria tribù ma tollerano le canzoni e i nomi di altre tribù della valle dell’Omo. I genitori hanno molto controllo sui figli e sono loro che danno il permesso agli uomini di sposarsi.

Il matrimonio richiede la “ricchezza della sposa”, un pagamento fatto alla famiglia della donna che è costituito di solito da bestiame o armi e il suo prezzo è veramente alto da pagare, tanto che è difficile saldare il debito.

Nonostante ciò, se un uomo può permettersi la ricchezza della sposa, può avere più di una moglie anche se quelle impalmate dopo la prima sono trattate alla parità degli schiavi. Le donne invece sposano un solo uomo.

Le donne e le ragazze coltivano sorgo, mais, fagioli e zucche e sono anche responsabili della raccolta d’acqua, della cucina e della cura dei bambini che peraltro iniziano ad aiutare la famiglia allevando le capre a partire dagli 8 anni.

I giovani del villaggio lavorano i raccolti, difendono le mandrie o vanno a saccheggiare il bestiame di altre tribù, mentre quelli più adulti pascolano il bestiame, arano i campi e allevano alveari negli alberi di acacia.

Nella tribù Hamar si svolge la cerimonia del salto del bestiame, durante la quale si svolge anche il rito delle percosse alle donneGli uomini devono saltare 15 mucche per poter ottenere il permesso di sposarsi e una volta superata la prova, viene celebrata una grande festa.

La cerimonia comincia con le donne che prima danzano al ritmo dei tamburi e poi si offrono come oggetto delle frustate degli uomini freschi d’iniziazione. Le frustate durano fino a quando le schiene delle donne iniziano a sanguinare ma a loro è assolutamente vietato gridare o emettere un lamento. Non possono nemmeno scampare alla cerimonia, anzi implorano gli uomini di picchiarle.

Le donne interpretano le frustate come prova d’onore e supporto ai loro uomini iniziati e le cicatrici danno loro il diritto di chiedere aiuto nel momento di bisogno. Le percosse però non sono solo un rito poiché le donne Hamar sono soggette alle botte anche dopo la cerimonia, ogni qualvolta l’uomo lo desideri a meno che esse non abbiano dato alla luce due bambini.

Le leggi della tribù dicono inoltre che gli uomini non sono tenuti a spiegare il motivo delle percosse poiché hanno sempre ragione. Le cicatrici sono anche simbolo di bellezza.

Gli Hamer sono famosi per le loro acconciature particolari: le donne spalmano sulle loro treccine di colore rame una mistura di burro, polvere di ferro, resina ed argilla rossa in segno di prosperità e benessere. Gli uomini, se di recente hanno ucciso un animale pericoloso od un nemico si modellano sulla testa dei copricapi di argilla colorata e decorata sormontati da splendide piume di struzzo.

Lo stringono nella mano, mediante un laccio in pelle fissato alle due estremità, durante l’intera giornata e lo considerano alla stregua di una loro appendice. Questi copricapi durano in tal modo dai 5 ai 6 mesi e possono essere rifatti sino a due volte in un anno.

Per loro qualsiasi ornamento ha un particolare significato simbolico : il numero degli orecchini indossati dagli uomini, ad esempio, corrisponde al numero delle loro mogli. Le donne indossano pelli impreziosite dalle conchiglie cipree (provenienti dal lontanissimo Mar Rosso) e da perline colorate, bracciali in ferro e rame, collane di perline.

Le ragazze nubili portano nei capelli un disco di metallo, mentre le donne fidanzate indossano delle pesanti e strette collane di ferro incise con motivi geometrici, dal nome “ensente”. Le donne sposate, infine, stringono intorno al loro collo anche un pesante collare di pelle intrecciata con inserti in metallo, dalla caratteristica forma vagamente fallica.

Gli Hamar, come le altre tribù vicine, sono vittime di una politica governativa detta “villagizzazione”. Vengono sfrattati e trasferiti in villaggi ai margini delle strade senza il loro consenso e le loro terre, da pascoli ancestrali, vengono svendute agli investitori per farne piantagioni a fini commerciali.

Le ragioni dei cambiamenti climatici

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Il Sole è la principale fonte di energia del nostro pianeta ed influenza le proprietà fisiche della nostra atmosfera e quindi il clima. In meno di un’ora la Terra riceve dal sole una quantità di energia pari all’intero consumo umano mondiale di un anno. Tale energia però non è costante ma varia leggermente in funzione dell’attività solare.

Uno dei parametri utilizzati per monitorare l’attività solare è la variazione del numero di macchie solari, già osservate con il telescopio dai tempi di Galileo nei primi del XVII secolo. Maggiore è il numero di macchie solari e maggiore è l’attività solare.

Analizzando l’andamento del numero di macchie dai tempi di Galileo ad oggi si evince una alternanza di picchi massimi e minimi con periodicità di circa 11 anni che testimoniano la grande variabilità dell’attività solare nel tempo.

Vi è stato il grande Minimo di Maunder, un periodo prolungato tra il 1645 e il 1715 in cui il numero di macchie solari osservate fu insolitamente basso. Durante questo periodo, il più “estremo” di minimo  mai osservato, le temperature in quasi tutto l’emisfero Nord  diminuirono sensibilmente e la temperatura in quel periodo fu fino a circa un grado più bassa rispetto alla norma. 

Può sembrare una piccola variazione, ma si registrarono invece l’espansione dei ghiacciai alpini fino a valle, la presenza di ghiaccio marino a Sud dell’Artico, la copertura di ghiaccio dei canali dei Paesi Bassi e così via.

Quel prolungato irrigidimento delle temperature provocò ingenti danni ai raccolti, provocando carestie e malattie. Molti quadri dell’epoca riportano immagini di paesaggi ghiacciati.  Inoltre tale periodo è stato uno dei più freddi di un tempo più ampio, convenzionalmente indicato dai climatologi tra il sedicesimo e il diciannovesimo secolo, noto come Little Ice Age.

Vi è stato poi il Minimo di Dalton tra il 1790 e il 1830 circa e in seguito il cosiddetto Modern Maximum, un periodo invece di attività solare relativamente alta tra il 1914 e il 2000. L’ultimo ciclo solare è terminato nel 2018 ed è risultato essere il più basso dal Minimo di Dalton. Per il ciclo attuale già iniziato ci sono inoltre alcune previsioni secondo cui anch’esso sarà molto debole. 

Non bisogna basarsi però esclusivamente sull’attività solare poiché sono molteplici i fattori che contribuiscono alla variazione di temperatura del nostro pianeta.

I principali fattori che determinano la variazione di temperatura sono sia di origine naturale che antropica. Quelli naturali più importanti sono:

A) le variazioni di energia solare che, come già detto, determinano cambiamenti di temperatura nell’arco di diversi anni.

B) le variazioni orbitali del nostro pianeta poiché la Terra oscilla intorno al proprio asse e subisce modifiche orbitali nell’arco di millenni. Tale oscillazione può fare diminuire o aumentare periodicamente la temperatura terrestre. 

C) le eruzioni vulcaniche che rilasciano nell’atmosfera anidride carbonica (CO2) e altri gas in grado di intercettare i raggi solari contribuendo così all’abbassamento della temperatura nell’arco di un paio di anni. 

D) la variazione della circolazione termoalina: le acque oceaniche sono caratterizzate da vasti movimenti su grande scala, le correnti termoaline, innescate da variazioni di densità a loro volta create dal calore e dalla salinità. Questi giganteschi nastri trasportatori degli oceani portano con sé energia sotto forma di calore e materia sotto forma di sostanze e gas.

I principali fattori di natura antropica dipendono invece da:

A) deforestazione in quanto gli  spazi aperti “chiari” riflettono maggiormente la luce solare riducendo la quantità di energia intrappolata al suolo e l’effetto è un leggero raffreddamento. 

B) l’ozono prodotto dall’inquinamento che è in grado di catturare il calore diffuso dalla Terra e quindi di riscaldare il clima terrestre di una piccola quantità. 

C) gli aereosol immessi nell’atmosfera, prodotti inquinanti come ad esempio quelli di bruciamento del carbone che, oltre a provocare piogge acide, sono in grado di intercettare i raggi solari producendo un raffreddamento del pianeta.

D) i gas serra che sono  il contributo più rilevante alla variazione globale di temperatura. Questi gas sono trasparenti alla radiazione diretta del Sole, ma riescono a trattenere la radiazione riemessa dalla Terra causandone un sensibile aumento di temperatura. Si tratta principalmente di CO2, vapore acqueo, protossido di azoto (N2O), metano (CH4), esafluoruro di zolfo (SF6) e clorofluorocarburi (CFC). 

Analizzando il contributo di ciascuno di questi fattori, probabilmente quelli naturali hanno un’incidenza minore rispetto a quelli prodotti dall’uomo. 

Virginia Oldoini, la bellissima ed irrequieta contessa di Castiglione

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Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini, coniugata Verasis Asinari, nota come contessa di Castiglione (Firenze 1837 – Parigi 1899),  figlia del marchese spezzino Filippo Oldoini, della marchesa Isabella Lamporecchi e cugina di Camillo Benso conte di Cavour, era considerata tra le donne più belle e affascinanti della sua epoca.
Irrequieta, consapevole della propria bellezza, dedita fin da giovanissima alle storie galanti, ambiziosa e intelligente, Virginia sposò a 17 anni Francesco Verasis Asinari, conte di Costigliole d’Asti e Castiglione Tinella  dal quale ebbe il figlio Giorgio che morì a 24 anni per malattia.
Il matrimonio la introdusse alla corte dei Savoia, dove ebbe gran successo con il re Vittorio Emanuele II, con i fratelli Doria, il banchiere Rothschild  e con Costantino Nigra, ambasciatore del Regno di Sardegna in Francia.
Nel 1855 il cugino Cavour la inviò in missione alla corte francese di Napoleone III per perorare presso l’imperatore l’alleanza franco-piemontese servendosi anche del suo fascino. Durante il periodo parigino Virginia Oldoini tenne un diario personale in codice sui numerosi amanti, con sigle che indicavano dal bacio al rapporto completo avuto con loro.
La Oldoini si contraddistinse anche per la passione per l’autoritratto fotografico e infatti collaborò tra il 1856 e il 1895 col fotografo francese Pierre- Louis Pierson in una serie di oltre 450 scatti che appagavano la sua vanità. 

La grande presenza mondana e seduttiva della contessa diede i risultati attesi ed ella fu per un anno l’amante, pressoché ufficiale, dell’imperatore suscitando invidie e grande scandalo. 

La rivalità con l’imperatrice Eugenia giunse al punto che, essendo stato l’imperatore oggetto di un attentato nella casa della contessa, si disse che si fosse trattato di una messinscena orchestrata dall’imperatrice stessa per danneggiare la rivale.

L’intrigo diede comunque i suoi frutti e Cavour ottenne l’appoggio francese alla partecipazione del Regno di Sardegna alla Guerra di Crimea, ma poi la fortuna della contessa cominciò ad appannarsi. 

Il marito, rovinato economicamente dalle spese di sua moglie, ne rimase sempre innamorato malgrado i noti tradimenti e il disprezzo che ella provava per lui. Era solita dire, che se invece di maritarla a Castiglione sua madre l’avesse portata a Parigi, vi sarebbe stata un’italiana sul trono di Francia. 

Dopo la morte del marito nel 1867, la Contessa malgrado le ricchezze accumulate con i sussidi ottenuti dal Re o mediante speculazioni borsistiche tramite i Rothschild,  era incapace di accettare l’inesorabile scorrere del tempo che faceva sfiorire la sua bellezza. 

Rancorosa, sempre più ripiegata su sé stessa, si stabilì a Parigi dove trascorse gli ultimi anni in solitudine con segni di ipocondria finché morì nella sua casa parigina di Rue Cambon 14. 

Conservò fino a vecchiaia avanzata, come reliquia, all’interno di una piccola teca sferica di cristallo, la tunica di seta verde con la quale, secondo lei, durante la notte passata con Napoleone III di Francia era riuscita a cambiare la storia d’Italia.

Quando morì, gli eredi scoprirono che non voleva «nessuna croce, nessuna messa, nessuna chiesa, nessun prete, nessun fiore, nessuna preghiera». Chiese anche di essere sepolta con i due cani che aveva imbalsamato, con alcuni gioielli e con la camicia da notte che aveva indossato per l’imperatore francese.

Ma gli eredi non la accontentarono, buttarono gli animali impagliati e vendettero i gioielli all’orefice più generoso. La tunichetta di seta vaporosa che lei si era tenuta per cimelio inoltre non venne trovata e la si credette perduta.

Decenni più tardi, nel castello piemontese di Santena, la trovò un antiquario, piegata in sei come un tovagliolo, custodita in un’urna di cristallo e sigillata con fermagli d’argento e ora la storica camicia da notte  è al Museo Cavouriano di Sarzana.

Le sue carte, che testimoniavano i contatti da lei avuti con molti importanti personaggi dell’epoca, furono sottratte e forse bruciate dai servizi segreti francesi subito dopo la sua morte. La contessa è sepolta  a Parigi.