Gli anabattisti, detti “i ribattezzatori”, minavano il potere della Chiesa

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Verso la fine del XV e l’inizio del XVI secolo aumentarono le critiche nei confronti della Chiesa Cattolica Romana e del clero a causa della loro corruzione e immoralità. Nel 1517 Martin Lutero chiese pubblicamente una riforma e altri si unirono dando via alla Riforma protestante.

I riformatori non avevano però le stesse idee sul da farsi e sulla portata dei cambiamenti da attuare, molti volevano comunque attenersi alla Bibbia ma non riuscivano a trovare un accordo nemmeno sull’interpretazione degli insegnamenti biblici. Altri volevano attuare speditamente la Riforma e tra questi riformatori prese forma il movimento anabattista.

Ci furono diversi movimenti anabattista, per esempio nel 1521 quattro uomini noti come i profeti di Zwickau fecero clamore predicando le dottrine anabattiste a Wittenberg e, nel 1525, si formò un gruppo separato di anabattisti a Zurigo, in Svizzera. Altre comunità anabattiste nacquero anche in Moravia, ora Repubblica Ceca, e nei Paesi Bassi.

Queste comunità erano piccole, pacifiche, dedite alla predicazione ei seguaci si rifiutavano di imbracciare le armi, si tenevano separati dal mondo e scomunicavano i peccatori. Le loro dottrine fondamentali furono definite nel 1527 nella cosiddetta Confessione di Schleitheim. Quello che però essenzialmente distingueva la loro fede da altre confessioni era la convinzione che il battesimo dovesse essere impartito agli adulti e non ai bambini.

Ma il battesimo degli adulti era anche una questione di potere perchè, rinviato all’età adulta, permetteva alla persona di prendere una decisione basata sulla fede e quindi alcuni avrebbero potuto non battezzarsi affatto rimanendo così fuori dalla sfera di influenza della chiesa. Quindi per alcune chiese il battesimo degli adulti significava una perdita di potere.

Per questi motivi, sia cattolici che luterani osteggiavano la pratica del battesimo degli adulti e dopo il 1529, in alcune zone, chi battezzava gli adulti e chi si battezzava in età adulta rischiava la pena capitale.

Nel Medioevo la città di Münster contava circa 10.000 abitanti ed era protetta da un sistema difensivo imponente che aveva un perimetro di circa cinque chilometri e un’ampiezza di una novantina di metri. La situazione all’interno della città presentava però dispute politiche tra il consiglio cittadino e le corporazioni artigiane e inoltre gli abitanti erano indignati per il comportamento del clero e pertanto molti  abbracciarono la Riforma e nel 1533 la città da cattolica divenne luterana.

Uno dei più importanti predicatori riformisti di Münster fu Bernhard Rothmann, uomo piuttosto irruente che ottenne il consenso popolare, benché alcuni considerando troppo estremistiche le sue idee lasciarono a poco a poco la città. A Münster accorsero anabattisti da ogni luogo, nella speranza di vedere realizzati i loro ideali.

Due olandesi immigrati a Münster, il panettiere Jan Matthys e Jan Bockelszoon conosciuto come Giovanni di Leida, ebbero in quegli anni un ruolo decisivo. Matthys asseriva di essere un profeta e sostenne che l’aprile 1534 avrebbe visto la seconda venuta di Cristo in quella città che era la Nuova Gerusalemme. Rothmann allora dispose che tutte le proprietà fossero messe in comune e impose ai cittadini adulti di scegliere: battezzarsi o andarsene. I battesimi di massa inclusero anche chi si sottopose all’immersione solo per non perdere la propria casa e i propri beni.

Il conte Franz von Waldeck, principe vescovo locale, radunò allora un grande esercito, composto sia da luterani che da cattolici e pose l’assedio a Münster. Nell’aprile 1534, presunta data della seconda venuta di Cristo, Matthys uscì dalla città su un cavallo bianco aspettandosi la protezione divina e le truppe d’assedio lo fecero a pezzi ed infilzarono la sua testa su un palo.

Giovanni di Leida diventato il successore di Matthys con il nome di re Jan degli anabattisti di Münster, vista la carenza di uomini in città, spinse gli uomini a prendere tutte le mogli che volevano. Così mentre adulterio e fornicazione erano punibili con la morte, la poligamia era non solo tollerata ma incoraggiata. Anche il re Jan prese 16 mogli e quando una di loro gli chiese il permesso di lasciare la città, fu decapitata pubblicamente.

Dopo 14 mesi, nel giugno 1535, Münster cadde e non rivide una distruzione simile fino alla seconda guerra mondiale. Rothmann sfuggì alla cattura mentre il re Jan e altri due anabattisti che erano a capo del movimento furono presi, torturati e giustiziati. I loro corpi furono posti in gabbie e appesi al campanile della chiesa di S. Lamberto come monito per tutti i potenziali agitatori.

Gli anabattisti erano essenzialmente persone devote che cercavano di attenersi ai princìpi biblici ma a Münster i loro capi estremisti li indussero ad immischiarsi nella politica, cosa che mutò il movimento in una forza rivoluzionaria. Questo significò il disastro per il movimento anabattista e per la città.

Dopo questi fatti le altre comunità anabattiste furono perseguitate per diversi anni in tutta Europa e in seguito l’ex sacerdote Menno Simons si pose a capo degli anabattisti così che il movimento divenne noto come mennonita o assunse altri nomi.

I Quaccheri detti “i tremanti”

 

I  Quaccheri, o la Società degli Amici, sono i fedeli di un movimento cristiano nato nel ‘ 600 in Inghilterra appartenente al calvinismo puritano che in origine si definivano “figli della Luce”.

George Fox (1624-1691), apprendista calzolaio, iniziò a predicare nel 1649 in Inghilterra la dottrina radicale della “luce interiore” che attirava numerosi seguaci chiamati “Friends”. Il termine “quaccheri” (dal verbo to quake, “tremare”) deriva, forse, dal tremito mistico che scuoteva i seguaci di Fox durante le loro riunioni.

I quaccheri credevano nella “luce interiore” presente in ogni uomo e perseguivano un ideale sociale egualitario e pertanto si rifiutavano di togliere il cappello di fronte alle Autorità e praticavano la sobrietà negli abiti, il divieto del teatro e di altri divertimenti.

Nelle loro prime riunioni non avevano riti e si dedicavano esclusivamente ad attendere, in silenzio, l’ispirazione di Dio che poteva spingere qualcuno a prendere la parola o ad avere, in occasioni più rare, manifestazioni mistiche come i “tremiti”.

La fraternità per i quaccheri non era soltanto una scelta spirituale o una disposizione psicologica da praticare nei rapporti interpersonali, ma investiva anche l’ambito dei rapporti politici e doveva essere struttura fondante di una nuova comunità civile e religiosa. La convinzione che ogni uomo reca in sé potenzialmente qualcosa di divino determina la naturale fraternizzazione di tutti i rapporti. Da qui il rifiuto della violenza e della guerra e di ogni aggressione all’ integrità fisica o psichica del prossimo ed una forte esigenza di democrazia.

Per questi atteggiamenti i quaccheri furono perseguitati, in particolare nel periodo della restaurazione Stuart, e circa tredicimila furono imprigionati. Questa dottina sopravvisse grazie all’elaborazione teologica di Robert Barclay (1648-1690) e alla conversione dell’aristocratico William Penn (1644-1718), figlio di un ammiraglio inglese che fondò poi la colonia americana chiamata Pennsylvania in cui dal 1682 giunsero i quaccheri che lasciavano l’Inghilterra. Sembra che l’esodo sia stato di tali proporzioni che nel 1700 la comunità religiosa quacchera era la più grande del Nuovo Mondo.

Lo Stato quacchero durò circa settant’anni e poi si concluse perché, praticando la Pennsylvania la libertà d’immigrazione, i quaccheri finirono per diventare minoranza nel loro stesso Stato. Il Parlamento di tale stato decise ad un certo punto anche l’istituzione di un contingente militare che era contrario al tradizionale pacifismo dei quaccheri  snaturando così la fisionomia originaria dello Stato.

In seguito, i Quaccheri persero il potere politico che avevano acquisito in particolare sempre per l’ostinato rifiuto di favorire qualunque iniziativa militare anche se difensiva. Nell’Ottocento essi patirono internamente inoltre dapprima uno scisma liberale (gli hicksiti) e poi uno scisma conservatore (i wilburiti).

Anche se agli Stati Uniti daranno due presidenti, Herbert Hoover (1874-1964) e Richard Nixon (1913-1994), tra l’Ottocento e il Novecento iniziarono una intensa opera missionaria tanto che il gruppo oggi più numeroso si trova in Africa Orientale.

Il meeting mensile è ancora la loro riunione fondamentale di culto e nelle congregazioni più tradizionali è ancora silenzioso mentre è più vicino al culto protestante nelle altre. Il  meeting trimestrale inoltre riunisce più congregazioni di una medesima area geografica e infine il meeting annuale riunisce tutti i quaccheri di una determinata zona più ampia.

Il principio fondamentale è quello che tutti i fedeli sono ministri e la vera religione consiste nell’incontro personale con Dio più che nel rito e nelle cerimonie poichè la “luce interiore” (inner light) da Gesù Cristo, attraverso lo Spirito Santo, raggiunge direttamente ogni uomo in ogni tempo. Da quel momento la “luce” guida i passi di ciascuno spingendolo al bene.

Trasformato dallo “Spirito interiore”, il quacchero ha formato Cristo in se stesso, ma deve essere fedele a questa “nuova nascita” attraverso un comportamento coerente, le buone opere, l’impegno per la giustizia e per la pace. Oggi numerosi gruppi adottano il “culto programmato” guidato da un ministro, spesso non a tempo pieno, con un uso maggiore della Bibbia ma ognuno pensa che  la sua vita spirituale sia guidata dalla “luce interiore”, non da un’autorità esteriore o da un pastore.

I Quaccheri in America storicamente si sono impegnati molto in varie battaglie in campo sociale come l’abolizione della schiavitù, l’estensione dell’istruzione popolare e le riforme nelle carceri e nei manicomi. Il movimento inoltre anche nella prima e seconda guerra mondiale, si distinse per l’opera di assistenza tanto da conquistare il premio Nobel per la Pace nel 1947. Ha esercitato un importante influsso sul pensiero del filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson.

I Romani conquistarono e poi abbandonarono la Britannia

 

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Nell’anno 58 a.C., Giulio Cesare fu nominato Governatore della Gallia e dell’Illiria e da allora cercò di conquistare la barbara Gallia fino al Reno e di annetterla ai domini di Roma. L’intento era anche di riuscire così a  rivaleggiare sul terreno politico con il console Gneo Pompeo che era visto come il conquistatore dell’Oriente.

Cesare si rivelò un grande generale e mise a punto un’ organizzazione militare che gli consentì dopo otto anni, nonostante una resistenza accanita da parte delle popolazioni galliche, di raggiungere l’obiettivo, di definire il Reno come frontiera est e di romanizzare poi tutta la Gallia.

Sulla Britannia egli sapeva che era abitata da “barbari” e che aveva una grande produzione di grano e importanti miniere di stagno, di piombo e di ferro. Il commercio, la cultura e le credenze religiose legavano inoltre il sud della Bretagna con il nord della Gallia.

A Cesare l’occupazione anche di questa isola sembrava pertanto una logica continuazione della conquista della Gallia e nell’agosto del 55 a.C. una flotta romana giunse sulle  coste inglesi trasportando la  7a e la 10a Legione, per un totale di circa 10 mila uomini.

I romani rimasero colpiti dai combattimenti condotti con i carri che i Bretoni inizialmente facevano correre e dai quali lanciavano giavellotti riuscendo spesso a rompere i ranghi delle legioni. Quando i Bretoni riuscivano a penetrare dentro le legioni, saltavano poi giù dai carri e combattevano a piedi mentre i conducenti dei carri uscivano dalla mischia e schieravano i carri in modo da poter riprendere sopra, in caso di fuga, i combattenti. Anche lungo ripide pendenze i Bretoni dimostravano di sapere arrestare i loro cavalli al galoppo,  cambiare immediatamente direzione e tenersi aggrappati al giogo per poi risalire nei loro carri.

L’esercito bretone venne sconfitto ma, visto l’arrivo della stagione fredda e la resistenza ancora di numerosi guerrieri bretoni, Cesare decise di ritirare il suo esercito in Gallia per ritornarvi l’anno seguente (54 a.C.) alla testa di circa 25 mila uomini, di fatto cinque legioni e la cavalleria. I Bretoni vennero di nuovo sconfitti, ma anche questa volta non vinti definitivamente. Cesare e il suo esercito arrivarono fino al Tamigi, ottennero vantaggi commerciali e poi alla fine dell’estate, ritornarono in Gallia.

Secondo Cesare, la Britannia non meritava di diventare una provincia romana, essendo popolata da barbari senza ricchezze. Le legioni romane inoltre dovevano già controllare le frontiere del Reno: le popolazioni della Gallia avrebbero potuto sollevarsi di nuovo di fronte ad una diminuita presenza romana sul territorio.

La Britannia ritornò a  essere oggetto delle ambizioni territoriali romane solo nell’anno 41 d.C. quando diventò imperatore Claudio e l’esercito aveva già la struttura di un vero esercito imperiale che, schierato in cinque settori, copriva  l’insieme dell’Impero.

Nell’anno 43 d.C. numerose navi romane sbarcarono nel sud dell’isola 40 mila uomini al comando del Aulo Plautius. L’esercito d’invasione comprendeva quattro legioni: la 2a (Augusta), la 9a (Hispana), la 13a (Gemina Martia Victrix) e la 20a (Valeria Victrix). Queste unità erano supportate da 20 mila soldati “auxilia” (auxiliares) dell’esercito regolare romano che sostenevano la fanteria pesante delle legioni.

A Medway si riunirono 17 mila guerrieri Bretoni, sotto il comando dei capi Caracatos e Togodumnus, che vennero attaccati dai Romani. Il feroce combattimento durò due giorni, ma prevalse la superiorità tattica e tecnica dell’esercito romano tanto che i Bretoni persero circa 5 mila uomini e i Romani solo 850. Il capo Togodumnus scomparve  e l’esercito romano conquistò il sud della Britannia mentre  Caracatos  fu nel periodo successivo  catturato e fece atto di sottomissione a Roma. Poi nell’anno 47 d. C. il generale Vespasiano invase e conquistò il Galles.

La sottomissione dei Britanni però era precaria poichè numerose ribellioni si verificavano un po’ dappertutto. Nel 60 d.C. una grande rivolta capeggiata da Baodicea (Baudicca), regina delle tribù degli Iceni, mise in grave difficoltà i Romani: le legioni romane nel paese vennero prese alla sprovvista e Baodicea ottenne numerosi successi che poi si trasformano in massacri su grande scala. Alla fine, le truppe romane riuscirono a vincere in un’epica battaglia e la regina, sconfitta, si suicidò.

I Romani riuscirono a vincere questa moltitudine di guerrieri bretoni, forse più di 100 mila, solo perchè alla tecnica della “macchina militare” avevano associato quella della costruzione di strade. Dopo il loro arrivo avevano organizzato una infrastruttura fino ad allora inesistente costruendo solide “vie romane” pavimentate, che costituivano un sistema di comunicazioni, scaglionato da fortini, che univa il sud e il centro del paese. Queste strade convergevano  su un punto centrale: Londinium (Londra), principale centro commerciale e di rifornimento della Britannia.

Negli anni 78-84 d.C., Gnaeus Julius Agricola era il governatore romano della Britannia,  soldato esperto che conosceva il paese  in quanto aveva comandato la 20a Legione, sotto il quale il sud del paese, romanizzandosi, diventò più tranquillo. I Bretoni adottarono la lingua, l’abbigliamento e anche i vizi romani: i bagni, i portici ed i pasti sontuosi.

Dal nord dell’isola continuavano però ad arrivare i raid sulle comunità del sud e così Agricola, che disponeva di quattro legioni e di truppe ausiliari, marciò a nord e invase la Caledonia (cioè la Scozia) e nell’anno anno 83 d.C. sconfisse i Caledoniani, della popolazione dei Pitti, nella battaglia di Monte Graupius. Quando Agricola ritornò a Roma, nell’84, i suoi successori decisero però di non occupare stabilmente quel territorio montagnoso.

Per decenni, bande di Caledoniani effettuarono incursioni nella parte romanizzata del paese e i Romani non riuscirono mai a debellare questa minaccia per le popolazioni del sud. All’epoca dell’imperatore Traiano (98-117) erano stanziate in Britannia solo tre legioni poichè con la romanizzazione delle popolazioni, in un vasto territorio la minaccia di rivolta dei Bretoni si era attenuata.

Nell’anno 122 d.C., l’imperatore Adriano (117-138) visitò la Britannia e decise alcune riforme amministrative per la gestione del paese e in merito alla frontiera del nord, considerata come vero e proprio “colabrodo”, ordinò la costruzione di un muro al fine di separare i Barbari Caledoniani dai Romani.

Il “vallo di Adriano” era un’opera difensiva che rientrava nella logica della strategia militare dell’imperatore e che era applicata all’insieme del mondo romano. In Britannia, la situazione, considerata abbastanza pericolosa, suggerì la costruzione di un muro di pietra che attraversava il paese per una lunghezza di 117 chilometri. Questa fortificazione era un’imponente muraglia con  numerosi “castelli”, torri, fossati e, naturalmente, strade che iniziava da Solway sull’oceano Atlantico ed arrivava fino alla foce del Tyne sul mare del Nord.

In seguito i Romani cercarono di nuovo di avanzare in territorio scozzese, e portarono il confine nord fino al nuovo Vallo di Antonino, costruito nel 142 d.C., ma ben presto si ritirarono di nuovo fino a quello di Adriano durante il regno di Marco Aurelio.

Tuttavia i Romani penetrarono spesso per ragioni militari in territorio scozzese e nel 209 d.C. l’imperatore Settimio Severo attaccò i Caledoni. La sua campagna militare fu molto dura e distruttiva e i nativi si opposero con una altrettanto dura guerriglia. Settimio Severo morì mentre pianificava una nuova campagna militare che però fu abbandonata dal figlio Caracalla. Da allora i Romani si limitarono a rapide puntate in Scozia, eseguite per lo più per ragioni commerciali, per catturare schiavi o per diffondere il Cristianesimo.

Nel 407 d.C. Costantino III, acclamato imperatore dalle legioni della Britannia, attraversò la Manica con l’esercito lasciando l’isola indifesa e nel 410 l’imperatore d’Occidente Onorio scrisse agli abitanti della Britannia che da quel momento avrebbero dovuto badare da soli a loro stessi e alla propria difesa.

Si può fare di meglio?

Si, a volte potevamo recitarla meglio….

lemieemozioniinimmaginieparole.

La mattina

si accendono le luci sul palco

 e inizia la commedia.

*

Certo! non v’è dubbio …

ma è una commedia senza copione

 passa dal comico al tragico

 e noi poveri attori

di questa strampalata commedia

 dobbiamo recitarla a braccio

 e la sera

 quando si spengono le luci

siamo stremati

sempre con il dubbio

che forse potevamo recitarla meglio.

Franca Novello ©

Tema : “La vita è come una commedia: non importa quanto è lunga, ma come è recitata” (Lucio Anneo Seneca)

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I Travellers, nomadi irlandesi

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I Pavee o Travellers (viaggiatori) sono  una minoranza etnica nomade dalle origini molto incerte, separatasi dal popolo irlandese “stabile” forse 1000 anni fa, che non conosce il concetto di proprietà della terra. Fra tutte le popolazioni nomadi d’Europa sono le più strane: non hanno alcuna affinità con i Rom o con i ceppi etnici continentali, sono irlandesi al 100 per cento, con i capelli rossi, le lentiggini e gli occhi chiari

Loro dicono che le loro origini sono gaeliche, ma molti raccontano la leggenda secondo la quale sono discendenti di uno dei carpentieri che costruirono la croce di Gesù Cristo ed è per quello che furono condannati a scappare perennemente.

Il censimento 2011 ha rivelato che circa 29,500 Travellers vivono nella Repubblica d’Irlanda ma ne esistono comunità piuttosto numerose anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti.

Gli “zingari irlandesi” sono conosciuti anche con altri nomi: Tinkers (stagnini) perché erano soliti riparare pentole e padelle girovagando di villaggio in villaggio, Gipsies, Pavee o Minkiers. In lingua gaelica irlandese essi sono conosciuti come an Lucht Siúil (il popolo che cammina). Sono anche chiamati con l’appellativo denigratorio di “knackers” (venditori di carcasse equine).

Le donne fin da giovanissime vestono colori molto sgargianti e bigiotteria, lasciando molte parti del corpo esposte e facendo pesante uso di trucchi e creme per dare colore alla pelle. Gli uomini sono soliti vestire con tute da ginnastica e portano spesso un bastone o frustino per cavalli con sè, come status-symbol.

Una volta i Travellers viaggiavano in grandi gruppi su particolari carri “a botte” trainati da cavalli, oggi la maggioranza si sposta in caravan o camper e l’allevamento equino è tuttora la primaria fonte di sostentamento e commercio.

La maggior parte degli Irish Travellers oggi ha una dimora più o meno fissa, spesso nei sobborghi popolari delle grandi città o presso centri di accoglienza appositi ma circa il 35% vive ancora in sistemazioni “non ufficiali” ai bordi delle strade. Il 16% di essi non ha regolare accesso all’acqua potabile, il 53% all’elettricità e solo il 47% possiede una doccia o una vasca da bagno.

Gli Irish Travellers sono una comunità giovane e nel 2011 circa il 50% di essi aveva meno di 20 anni e la loro età media era 22.4 anni (contro i 36.1 della popolazione totale). Ben il 29.1% aveva meno di 9 anni. Le ragazze si sposano intorno ai 16-17 anni e i ragazzi ai 18-19 e sono diffuse le famiglie con più di 10 figli.

La loro prima lingua è in genere l’inglese, con un particolare accento ed alcuni influssi dialettali, ma i Travellers parlano anche un proprio specifico idioma, differenziato in tre varianti: lo Shelta, il Cant ed il Gammon. Non esiste la tradizione scritta, sostituita da un particolare tipo di canto.

La maggioranza dei Travellers si dichiara cattolica e particolare importanza è riservata al culto della guarigione attraverso la preghiera. L’aspettativa di vita per loro è di circa 15 anni inferiore a quella del resto della popolazione ed il  tasso di mortalità infantile  è superiore di circa 3 volte. Anche il tasso di suicidi è impressionante: circa 7 volte più elevato per i maschi adulti rispetto alla media nazionale.

Circa il 90% dei Travellers frequenta la scuola elementare (primary school) ma solo il 12% prosegue gli studi e nel 2002 circa l’80% degli Irish Travellers adulti non sapeva leggere.

Gli irlandesi negano l’esistenza del razzismo nei confronti dei Travellers ma  in base agi studi dell’Irish Traveller Movement nel 1994 a circa 8 Travellers su 10 veniva negato l’accesso ai pub. A circa la metà di loro veniva invece richiesto di uscire una volta all’interno degli esercizi commerciali.

Gli Irish Travelles sono quindi spesso discriminati per la parlata ai limiti del comprensibile, per l’aspetto disordinato e sgargiante , per la scarsa igiene personale o per gli episodi di violenza che spesso manifestano.

Sono appassionati allevatori di cani, quali i levrieri inglesi a pelo raso e i lurcher, ma allevano soprattutto cavalli e organizzano una fiera annuale equina a Ballinasloe. Inoltre esercitano la Bareknuckle boxing che è una loro tipica attività sportiva. I membri della banda dei Peaky Blinders, diventata famosa per via della serie TV, appartenevano a questa etnia.