Aldo Moro: il caso non è chiuso

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La Rote Armee Fraktion (Frazione dell’Armata Rossa) abbreviata in RAF, nelle prime fasi conosciuta come Banda Baader-Meinhof, è stata uno dei gruppi terroristici di estrema sinistra più importanti e violenti dopo la seconda guerra mondiale. Fondata nel 1970 nella Germania Ovest, fu attiva fino al 1993 e formalmente disciolta nel 1998 .

Nel 1978 la STASI, il servizio segreto della Repubblica democratica tedesca, metteva in evidenza le somiglianze dell’azione brigatista relativa al sequestro dello statista Aldo Moro con la nota vicenda del rapimento dell’ industriale Hanns-Martin Schleyer, compiuta dalla RAF alla fine del 1977, e segnalava una possibile “prigione del popolo” vicina al luogo del sequestro, via Fani.

Peraltro dopo l’unificazione tedesca venne rivelato che la STASI aveva anche aiutato in segreto i gruppi terroristici di sinistra tanto che la perdita del suo supporto  fu uno dei fattori principali nel discioglimento della RAF.

Oggi si sa anche che la RAF era presente con almeno due terroristi sulla scena di via Fani e che la prima e più importante prigione di Moro  era in via Massimi 91. I riscontri sono stati trovati negli atti desecretati a partire dal 2014 e hanno portato a individuarla in un miniappartamento ricavato nell’attico della palazzina B di via Massimi 91, di proprietà allora dello IOR, la banca vaticana. Un attico che era allora sicuramente l’ appartamento più alto presente a Roma.

Quindi nessun occhio indiscreto e la possibilità per Moro di poter stare all’aria aperta e di muoversi, tanto che quando fu trovato cadavere si potè diagnosticare che il suo tono muscolare era buono.

Oggi sappiamo che già il 17 marzo 1978, giorno successivo al sequestro,  una fonte aveva avvertito il comandante della GdF Raffaele Giudice che “le 128 dei brigatisti sarebbero state parcheggiate in un box o garage nelle immediate vicinanze di via Licinio Calvo”, presso una base situata a un piano elevato, con accesso dal garage mediante ascensore.

Si trattava indubbiamente di una tipologia di edilizia residenziale signorile e moderna. Le palazzine erano gestite dal padre di don Antonio, che le Br scelsero come mediatore con la famiglia Moro, Luigi Mennini che allora era ai vertici dello IOR. Ma nessun serio lavoro investigativo è mai stato fatto però sui condomini di via Massimi 91.

In un miniappartamento nell’ attico della Palazzina B di via Massimi 91, tra il 1977 e il 1978, furono fatte modifiche che sono state oggetto solo recentemente di  approfondimenti. Di fatto nell’ attico fu realizzata una camera costruita sul terrazzo che poteva ospitare una persona in quanto aveva gli spazi e i servizi di un vero e proprio miniappartamento.

Nel 1979 il generale Grassini (Sisde) fece riferimento a un’ intercettazione ambientale di una conversazione tra detenuti, “uno dei quali di alto livello terroristico” che si riferiva ad un luogo in cui Aldo Moro  “otteneva tutto ciò di cui aveva bisogno, si lavava anche quattro volte al giorno, si faceva la doccia, mangiava bene, se voleva scrivere scriveva “.

Recenti indagini hanno identificato per la prima volta due persone, allora conviventi in via Massimi 91, che hanno ammesso di aver ospitato nel 1978 per alcune settimane, Prospero Gallinari il carceriere di Moro in un’abitazione sita in quello stesso condominio.

All’interno del complesso di via Massimi 91, oltre a alti prelati vaticani tra cui Marcinkus, vi abitava anche la giornalista tedesca Birgit Kraatz a quel tempo legata a Franco Piperno leader di Autonomia Operaia. Nella palazzina c’era poi la sede operativa di una società statunitense, la Tumpane Company che esercitava anche attività di intelligence per l’organismo informativo militare statunitense.

Vivevano o lavoravano in via Massimi 91 anche diversi personaggi legati alla finanza e ai traffici tra Italia, Libia e Medio Oriente, come Omar Yahia che mise in contatto con il Sismi la fonte Damiano, particolarmente informata sulle dinamiche terroristiche palestinesi. Aldo Moro era stato  uno dei politici italiani che più si erano fatti carico delle istanze palestinesi.

Il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, quindi potrebbe non apparire come una vicenda puramente interna all’eversione di sinistra, ma acquisire una dimensione internazionale che però i brigatisti hanno sempre negato.

Tutti gli atti raccolti dalla Commissione Moro 2 sono stati desecretati a eccezione di quelli prodotti dai magistrati o dagli ufficiali di Polizia giudiziaria, consulenti della Commissione, che hanno esplicitamente chiesto di mantenere la documentazione segreta in quanto le indagini sono ancora in corso di approfondimento e ad oggi “il caso non è chiuso”.

“La comunista” Marilyn Monroe

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Nel 1953 il temutissimo boss dell’ Fbi J. Edgar Hoover scrisse al Dipartimento di Stato segnalando che la famosa attrice americana Marilyn Monroe aveva chiesto un visto per andare in Urss.

Nel clima di quegli anni, alla fine del maccartismo e in piena Guerra fredda, Hoover era al vertice del Bureau dove lavorò dal 1924 e sino al 1972. Di lui si è parlato nel film J. Edgar di Clint Eastwood dove  Leonardo Di Caprio interpreta Hoover rappresentando un uomo con molte fobie e intriso dell’ipocrisia della cultura puritana ossessionata dai rossi, dai neri, dagli stranieri e dagli omosessuali. 

Hoover non era mai stato all’estero, salvo una scappata in Messico e il suo rapporto con la sessualità era controverso tanto che nel film viene palesata una possibile relazione con Clyde Tolson, il suo vice, al quale lascerà l’eredità e che verrà seppellito accanto a lui.

Per J.Edgar, Marilyn è l’oggetto del peccato, una poco di buono che frequentava i «nemici» degli Stati Uniti come anche Arthur Miller, il grande drammaturgo in odore di comunismo che nel 1956 era diventato il suo terzo marito.

I guai di Marilyn erano stati causati infatti da Arthur Miller che frequentava personaggi che i servizi di sicurezza Usa tenevano d’occhio. Per estensione, dunque, anche la Monroe era considerata una «di sinistra » e ogni contatto dell’attrice era vivisezionato, persino quando andò in Inghilterra in viaggio di nozze.

La storia con Miller fini’ ma lei continuò ad essere spiata dall ‘Fbi che produsse 2700 documenti che riguardavano Marilyn Monroe e l’ultimo era il più scabroso perché si trattava di un filmino porno girato in 16 mm che dura pochi minuti.

Il grande campione di baseball Joe Di Maggio, suo secondo marito e forse anche l’unico che l’avesse amata veramente, fece di tutto per recuperare la pellicola compromettente, messa in vendita da un misterioso ricattatore. Offrì 25 mila dollari, una somma cospicua all’epoca. L’Fbi era al corrente del ricatto ma invece di indagare invitò i dipendenti a non discutere della faccenda fuori dagli uffici dell’Fbi.

Il filmino è stato messo all’asta poco tempo fa a Buenos Aires e fecero scalpore su internet le brevissime scene in cui si vede una ragazza molto somigliante alla giovane Marilyn, che si chiamava ancora Norma Jean Baker, mentre ha un rapporto orale con uno sconosciuto partner. L’Fbi lo aveva bollato Unnatural acts in un rapporto del febbraio 1965 e poi lo rinomino’  Perverted act. 

L’Fbi si allarmo’ anche quando lei andò in Messico  con alcuni membri dell’American Communist Group in Mexico (Acgm) e questo sembrò la prova che la cittadina 40018 fosse una sovversiva.

La morte di Marilyn nell’immaginario collettivo resta uno dei grandi misteri americani, come l’assassinio di John Kennedy, che verrà ucciso un anno dopo. 

Tutti ricordano l’attrice sbronza mentre canta happy birthday al compleanno di John del giugno 1962. Pochi conoscono il contenuto della  inquietante nota informativa numero 61-9454-28 registrata il 19 ottobre 1962.

La nota riportava che Robert Kennedy era profondamente coinvolto con Marilyn Monroe e le aveva promesso di divorziare per sposarla.  Nel periodo in cui Marilyn si rese conto che Bobby non aveva alcuna intenzione di sposarla, la 20th Century Fox aveva deciso di cancellare il suo contratto perché era diventata inaffidabile e arrivava tardi sul set.

Robert Kennedy le disse che avrebbe risolto il problema del contratto ma nulla avvenne, lei lo chiamò e pare che  avesse minacciato di rendere pubblica la loro storia.

Il giorno in cui Marilyn morì, Robert Kennedy era a Los Angeles, registrato presso il Beverly Hills hotel che peraltro si trova dall’altra parte della strada in cui, anni prima, suo padre Joseph Kennedy aveva vissuto per un certo periodo con Gloria Swanson.

Lo stesso giorno inoltre, Bob partì e andò a San Francisco da dove chiamò Peter Lawford, per sapere se Marilyn fosse già morta. Peter Lawford compose il numero di Marilyn più volte per essere certo che non rispondesse. La nota accennava anche a una relazione lesbica di Marilyn e asseriva che che John F. Kennedy partecipasse a festini con attrici.

Con la pubblicazione delle carte secretate, la morte della Monroe viene collegata all’assassinio di Kennedy. Secondo la versione ufficiale l’attrice invece si era suicidata ingerendo una dose letale di pentobarbital, 47 pasticche prese insieme a una dose sconosciuta di idrato di cloralio.

 

Eleanor Roosevelt, la “first lady of the world”

 

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Eleanor Roosevelt nacque nel 1884, suo padre Elliott Roosevelt era un fratello di Theodore Roosevelt Jr., primo presidente progressista americano, e sua madre era Anna Livingston Ludlow Hall.  Crebbe con la nonna dopo la precoce scomparsa di entrambi i genitori e nel 1899, a 15 anni, fu inviata a studiare in Inghilterra presso una scuola privata per ragazze dell’alta società americana ed europea.

La direttrice della scuola Marie Souvestre, vicina ai circoli radicali inglesi, era femminista e pacifista e incoraggiava la formazione di un ambiente aperto e cosmopolita. Tornata negli Stati Uniti nel 1902, Eleanor si fidanzò con un cugino, appartenente  ad un altro ramo della famiglia Roosevelt, Franklin Delano che in seguito divenne presidente democratico degli Stati Uniti.

 

Lei era seria ed impacciata mentre lui era un brillante farfallone che però  amava avere una donna forte al suo fianco forse perché sua madre, Sara Delano Roosevelt, che lui adorava, era stata una donna dominante.

Eleanor gli diede sei figli e fu sempre il suo braccio destro, soprattutto quando lui, sofferente per la sua disabilità alle gambe, allora si parlò di poliomielite, affidò a lei il compito di tenere diversi comizi elettorali nella campagna del 1928 che consentì a Roosevelt di diventare governatore di New York.

Franklin Delano Roosevelt ebbe molte amanti fra le quali Missy LeHand, la sua fidatissima assistente personale, e Lucy Mercer Rutherfurd. La sua storia con Lucy Mercer durò più di vent’anni: si incontravano sullo yacht di lei o alla Casa Bianca, potendo contare sulla complicità di Anna, la figlia di Roosevelt. Era presente Lucy e non Eleanor quando Roosevelt ebbe una emorragia cerebrale, come c’era Lucy e non Eleanor accanto a lui quando morì.

Anche Eleanor ebbe numerosi amanti, tra cui la guardia del corpo Earl Miller, il leader comunista Joseph Lash e soprattutto Lorena Hickok una giornalista dell’Associated Press. Le due trascorrevano momenti bollenti negli hotel o in campeggio nei posti più sperduti d’America: l’FBI le spiava e registrava i loro momenti intimi clandestini.

Lorena Alice Hickok (1893 –1968) lasciò il giornalismo e, negli ultimi anni, visse nella tenuta dei Roosevelt a New York.  Eleanor e Lorena condivisero un imponente lavoro a favore dell’emancipazione delle donne e dei lavoratori. 

L’impegno di Eleanor Roosevelt si rivelò soprattutto dopo la Prima guerra mondiale ed ebbe caratteristiche di sempre maggior autonomia.  La sua capacità di rendere la first lady una figura pubblica e politica fu la conseguenza di un impegno pubblico e politico lunghissimo ed appassionato. Da lei in poi, la figura della “first lady” non fu più soltanto quella di una moglie fortunata ed impegnata prettamente in attività benefiche. 

Nel 1945 Harry Truman, diventato presidente dopo la morte di Franklin Delano Roosevelt, la nominò membro della delegazione ufficiale statunitense ai lavori della prima assemblea delle Nazioni Unite, prevista a Londra nel 1946.

Lei, che aveva già rifiutato altri incarichi pubblici, dal seggio senatoriale alla candidatura a presidente, accettò. Da quel momento, compatibilmente con i limiti di una rappresentanza ufficiale in un contesto internazionale e di quelli imposti dalle crescenti tensioni con l’Unione Sovietica, espresse le sue idee.

Sono famosi i suoi interventi sui diritti delle donne e degli afroamericani e sull’importanza dei diritti umani per costruire nuove e più stabili  e democratiche relazioni internazionali. Eleanor Roosevelt giocò un ruolo rilevante anche nella stesura e nell’approvazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo da lei definita “la Magna Carta di tutta l’umanità”. La Dichiarazione fu approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. 

Donna complessa e tormentata ma dalle idee politiche chiare, si definiva un “brutto anatroccolo” ma con il tempo è diventata la «first lady of the world». Decisa fu inoltre la sua opposizione al maccartismo cioè alla politica anticomunista interna che lei definì “ondata di fascismo”. 

Fino alla sua morte, nel 1962 a 78 anni, continuò a dare il suo appassionato appoggio alla causa dei diritti umani. Il suo articolo In Defense of Curiosity , è inoltre un vero invito rivolto a tutti a essere e a restare sempre curiosi per tutta la vita. 

Il grido

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Il grido. Sta all’inizio della vita dell’uomo sulla terra. Il grido di caccia, di guerra, d’amore, di terrore, di gioia, di dolore, di morte. Ma anche gli animali gridano; e per l’uomo primitivo grida anche il vento e la terra, la nube e il mare, l’albero, la pietra, il fiume.
(Emanuele Severino)

L’albero del sapone, detergente naturale

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Il genere Sapindus indica un tipo di piante della famiglia delle Sapindaceae che comprende sia arbusti sia alberi, che crescono in regioni temperato-calde o tropicali nei diversi continenti. 

Le piante sono sia decidue che sempreverdi e sono dette comunemente alberi del sapone per l’uso che si fa dei loro frutti nella saponificazione. I frutti a bacca, infatti, sono ricchi di saponina e si usano come materia prima nella produzione di detersivi naturali.

L’albero più utilizzato è il Sapindus mukorossi che può innalzarsi fino a 10 metri di altezza, con un’ampia chioma che può superare i 5 metri di diametro. Il suo tronco robusto è dritto, con una corteccia liscia di colore chiaro; il legno molto duro è di colore giallo chiaro e viene utilizzato in falegnameria.

Le foglie sono lunghe dai 30 ai 40 cm, alternate a numerose foglie più piccole di circa 15 cm di lunghezza, di forma lanceolata e con punta sottile. La fioritura è costituita da lunghe pannocchie di piccoli fiori bianchi che sbocciano alla sommità dei rami nel periodo estivo e poi  si trasformano in drupe carnose di colore giallastro.

A maturazione ultimata le drupe si raggrinziscono e assumono una colorazione bruno rossastra mentre la polpa diventa gommosa. L’interno contiene un seme nero e lucido che viene usato, oltre che per la semina, per creare monili o come ornamento.

La pianta ha radici solide e profonde che contrastano l’erosione del suolo nei valloni scoscesi, è longeva e produce in abbondanza sino a più di 90 anni e oltre. La Sapindus Mukorossi si spoglia del fogliame durante l’inverno per rivestirsi nel periodo primaverile.

Le noci del sapone, come vengono chiamati i frutti, vengono raccolte a completa maturazione; vengono aperte, tolto loro il seme e messa ad essiccare la parte polposa al sole, senza usare alcun trattamento chimico quindi in modo del tutto naturale. E’ proprio in questa polpa secca che si concentra la maggior quantità di saponina, che può arrivare al 18 %.

L’albero del sapone, pur producendo frutti non commestibili, risulta quindi una specie arborea utilissima perché fornisce un metodo naturale per la pulizia delle persone e degli oggetti.

Da tempo le popolazioni rurali indiane e cinesi impiegano questi frutti non solo per detergere i panni ma anche per pulire le stoviglie e persino per una pulizia accurata e naturale dei loro gioielli. A conferma di ciò in un sito religioso indiano, risalente al sesto secolo a.C., sono state trovate tracce di noci di sapone. 

La cultura popolare, inoltre, ha sempre considerato anche benefiche queste noci, che, oltre che per pulire erano considerate un vero e proprio medicinale nella medicina Ayurvedica; esse risultavano utili come insetticida, risultando efficaci contro numerosi parassiti, e in grado anche di rinforzare il cuoio capelluto e i capelli. In Cina, nella medicina popolare, queste noci erano usate anche per contrastare le malattie della pelle e per attenuare le lentiggini.

Alcune aziende hanno iniziato ad importare queste noci anche in Italia e le pubblicizzano come un detergente naturale ed efficace per molti tipi di sporco. Tra l’altro la pianta è molto bella e potrebbe essere piantata con successo anche nelle zone più calde della nostra penisola.

La vita e l’eternità

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La vita è il fuoco che brucia e il sole che dà luce. La vita è il vento, la pioggia e il tuono nel cielo. La vita è materia ed è terra, ciò che è e ciò che non lo è, e ciò che è oltre è nell’Eternità.

Life is the fire that burns and the sun that gives light. Life is the wind and the rain and the thunder in the sky. Life is matter and is earth, what is and what is not, and what beyond is in Eternity.

Lucio Anneo Seneca

Il vero dottor Hannibal Lecter

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Nell’ultima ristampa del libro il “Silenzio degli innocenti” vi è la prefazione dell’autore Thomas Harris in cui spiega come è nato il protagonista Hannibal lecter.

La rivista Argosymi molti anni prima aveva chiesto ad Harris, che aveva ventitré, di recarsi nel carcere di Nuevo León a Monterrey, in Messico, per intervistare un americano condannato all’ergastolo per l’omicidio di tre giovani.

Dykes Askew Simmons, ex paziente psichiatrico, era un bianco sui trentacinque anni, un metro e ottanta per ottanta chili, capelli brizzolati e occhi nocciola. Aveva una plastica a Z mal eseguita sul labbro leporino, piccole cicatrici sulla testa e gli occhi quasi sempre nascosti dietro un paio di occhiali da sole neri.

Simmons presentò ad Harris alcuni compagni di prigionia: un ufficiale giudiziario in carcere per aver ripulito qualcuno di tutti i suoi beni e un fotografo arrestato perché rubava gli orologi alle vittime degli incidenti stradali. Quest’ultimo gli mostrò cinque orologi che aveva al polso offrendogli a un prezzo stracciato un Bulova con il cinturino sporco.

Gli presentò anche la moglie, un’attraente infermiera che lo aveva sposato dopo l’arresto e che incontrava il sabato sera, durante le visite coniugali, appendendo delle coperte all’ingresso della cella. 

Circa un anno prima Simmons aveva tentato di evadere, corrompendo una guardia perché lasciasse una porta aperta e gli procurasse una pistola. Consegnato il denaro, però, aveva trovato la porta chiusa ed inoltre il secondino gli aveva sparato, lasciandolo a rantolare in una pozza di sangue. 

Si era salvato solo grazie all’intervento di un eccellente medico del carcere che una guardia presentò ad Harris. Aveva una corporatura minuta e snella, capelli rosso scuro ed una certa eleganza. Gli strumenti medici a sua disposizione erano solo: ago e filo, uno sterilizzatore, un paio di forbici mediche con la punta arrotondata e uno speculum.

Il colloquio con il dottore, nel giro di breve, si trasformò in uno di quei serrati, incalzanti faccia a faccia che, nella versione cinematografica del libro, sono valsi l’Oscar all’attore Anthony Hopkins, nel ruolo di Hannibal.

Il dottore rispose alle sue domande sulle ferite di Simmons e sul modo in cui le aveva tamponate e praticamente consigliò ad Harris di non intervistare Simmons con gli occhiali perché il detenuto si sarebbe visto riflesso nelle lenti e non gli avevano fatto un gran bel lavoro al labbro. Evidentemente sospettava che da piccolo Simmons avesse  subito le angherie dei compagni di scuola per via del volto deturpato. 

 

Il dottore gli chiese inoltre, divertito, se avesse visto visto le fotografie delle vittime di Simmons, due ragazze e il loro fratellino. Harris rispose che avevano bei volti, erano di buona famiglia e molto educati.  Il dottore asseri’ allora che i supplizi patiti in gioventù rendono i supplizi inflitti da adulti più… concepibili. Poi chiese a Harris come si racconta la paura del supplizio in gergo giornalistico e se avrebbe avuto  il coraggio di trovare una formula brillante.

In quel momento arrivò una guardia e allora Harris  lo invitò, se mai si fosse trovato in Texas, per un pranzo insieme o un drink. Lui rispose che non avrebbe mancato  di chiamarlo.  

Fuori dalla porta, nel corridoio, vi erano due guardie, una suora infermiera e un piccolo gruppo di persone:  uomini e donne in abiti da lavoro stirati e huaraches, tipici sandali messicani, puliti per la visita dal medico. Non erano carcerati, ma gente che abitava nei dintorni, e il dottor li curava gratis.

La guardia accompagnò fuori Harris e solo allora gli  raccontò  che il dottore era un assassino, un chirurgo così bravo che riusciva a inscatolare le vittime in contenitori minuscoli e che non sarebbe mai uscito dal carcere perché pazzo. Era pazzo ma non con i poveri.

Harris scrisse l’articolo su Dykes Simmons e poi si occupò di crimini in altre zone del Messico, ma non vide mai più il dottore che lui chiamava Salazar per non rivelare il suo vero cognome.

Nel frattempo la moglie di Simmons aveva annunciato di essere incinta, e cominciò ad aumentare di circonferenza. Ci fu una visita coniugale nel giorno in cui le suore arrivavano dal convento per prendersi cura dei prigionieri malati. In carcere erano arrivate dodici suore ma alla fine della giornata se ne andarono in tredici. Una di loro era Dykes Simmons, in abito e scarpe da suora che la moglie aveva nascosto sotto un vestito premaman.

Simmons era tornato in Texas ma qualche mese dopo fu trovato morto dentro un’automobile a Fort Worth, dopo una rissa. Il dottore Salazar passò altri vent’anni in prigione e poi, rilasciato, si dedicò alla cura di anziani e poveri nel barrio più degradato di Monterrey.

Harris si ispirò a lui perché affascinato da quella sua capacità di capire le menti criminali quando fece  nascere Hannibal Lecter. La gente  per strada ancora gli chiede di Hannibal perché in fondo i personaggi cattivi sono affascinanti e la gente è attratta dai lati oscuri della psiche e della stessa esistenza umana.  Anche Lecter è umano ma è nel suo stare continuamente in bilico tra normalità ed eccesso che risiede, forse, il segreto del fascino di personaggi di questo tipo.

Nel film, successivamente realizzato, la voce di Lecter secondo Harris doveva ricordare un po’ quella di Hal, il computer di 2001 Odissea nello spazio: suadente e freddissima insieme. Hal è molto pulito e molto ordinato e capace di uccidere freddamente. Anche Hannibal Lecter non sopportava il disordine e anche lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenerlo.

 

 

 

Guardami mentre……

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Non guardarmi soltanto quando sogno. Quando sorrido. Quando apro finestre nel cielo e guardo cosa c’è oltre.
Guardami mentre inciampo e cado. Quando combatto e sbaglio. Guardami quando ho paura. Quando il buio sta per arrivare.
Allora sì, potrai dire chi sono.

(Fabrizio Caramagna)