Si è avariato il tempo

Fragile e angoscioso singhiozzo

che si spezza contro

ai muri scardinati delle stanze

tenebrose e buie mentre

vaga stranito in cerca del

cuore tumido che ritrova

annodato ed  impigliato

ad un vecchio chiodo arrugginito .

Alle finestre del tempo

l’umido destino spande una

appiccicosa fragranza

spingendo contro al parapetto

che ammalia con una lenta

e flautata voce gitana.

Giro giro tondo

mi giro e mi avvolgo,

giro giro tondo

mi accorgo sconvolto

che è scaduto e si è avariato 

il tempo quando è scivolato,

senza avvertimento, in questo

insensato e lercio tormento.

Il calo demografico in Giappone ed il fenomeno delle case abbandonate

La crisi demografica colpisce tutte le economie avanzate e secondo la Banca mondiale, la risposta più efficace al problema sarebbe l’apertura governata agli stranieri. In Giappone, dove la crisi demografica è più acuta, gli stranieri rappresentano meno del 3% della forza lavoro e, solo di recente, si è cominciato a modificare le regole sui visti per gli immigrati.

Oggi in Giappone quasi un terzo della popolazione ha almeno 65 anni, l’età media di 48 anni è la più alta al mondo e, secondo stime effettuate, nel 2070 la popolazione giapponese diminuirà di circa il 30%, scendendo a 87 milioni di persone.

Il Paese non registra un tasso di natalità al livello di sostituzione dal 1974, probabilmente a causa della stressante cultura del lavoro, del deterioramento delle opportunità di carriera per i giovani e per la disparità di genere. Il calo del numero di giovani riduce la manodopera disponibile, soprattutto nel manifatturiero e l’invecchiamento della forza lavoro anche la produttività e la capacità di innovazione.

Si prevede che fino al 42% delle donne giapponesi nate nel 2005 non avrà mai figli e tra le donne nate nel 1970, il 27% è oggi senza figli. E’ significativo che i congedi parentali sono ancora poco diffusi tra i padri: solo il 17% dei maschi giapponesi ne ha usufruito nel 2022, contro l’80% delle donne, sulle quali ricade così un carico pesante.

Una delle conseguenze dirette di questa situazione demografica è anche il fenomeno in costante crescita delle case abbandonate e sfitte. Secondo un’indagine governativa le abitazioni non occupate sono in tutto 9 milioni, il 13,8% del totale nel Paese, ovvero 1 su 7. 

Circa la metà delle case non abitate, che sono 4,76 milioni, è in affitto o in vendita mentre altre 380mila sono destinate ad un uso stagionale o occasionale. Ma il dato più significativo è il numero delle case abbandonante e senza destinazione d’uso che ora sono ben 3,85 milioni.

Sono gli anziani che vengono mandati in case di cura e che muoiono a ingrandire il fenomeno poichè le case ereditate vengono spesso abbandonate a causa dei costi proibitivi di manutenzione e/o abbattimento oltre alle questioni legali spesso dovute a famiglie «nucleari» con figli o con separazioni alle spalle.

Il premier Fumio Kishida ha definito il fenomeno del grave calo demografico come la crisi più grave che il Giappone si trova ad affrontare e il Governo ha annunciato per i prossimi anni il potenziamento dell’assistenza all’infanzia e la promozione di aumenti salariali per i lavoratori più giovani.

La bellissima Madonna del Silenzio

L’icona della Vergine del Silenzio è ispirata ad un affresco copto risalente all’VIII secolo. Una copia dell’opera è stata benedetta il 18 maggio 2015 da Papa Francesco che, colpito dall’immagine, l’ha fatta collocare all’ingresso principale del palazzo Apostolico al cortile di San Damaso.

L’icona originale è stata poi benedetta il 15 giugno 2016 dal pontefice che, qualche anno dopo, ha espresso formalmente il desiderio di trovare in Abruzzo un luogo di culto dedicato alla Vergine del Silenzio.

Accogliendo il desiderio del Papa, il 13 maggio 2020 il vescovo mons. Pietro Santoro ha ufficialmente elevato una chiesa, che si trova ad Avezzano in Abruzzo, a santuario diocesano con il titolo di Madonna del Silenzio in San Francesco dove è custodita l’icona originale.

Maria Oliviero, detta Ciccilla, la brigantessa calabrese condannata a morte

Maria Oliverio, detta Ciccilla, nacque a Casole Bruzio nel 1841 e all’età di 17 anni sposò il brigante Pietro Monaco. Nel 1862, senza alcun motivo, fu arrestata assieme alla sorella Teresa per fare in modo che il marito si costituisse o forse per ricattarlo al fine di catturare alcuni briganti filoborbonici che in effetti furono uccisi subito prima della scarcerazione delle sorelle.

Ciccilla, uscita di prigione ventenne, uccise la sorella con 48 colpi di scure e, unitasi alla banda di briganti del marito, fu poi accusata di sequestri, rapine violente e a mano armata, furti, incendi, omicidi e uccisioni di animali domestici.

I capi di imputazione furono ben 32, elencati nel processo a suo carico che si tenne a Catanzaro nel 1864 dopo il suo arresto. Fra i reati però confessò solo l’omicidio della sorella, mentre per tutti gli altri disse di esservi stata costretta.

Con la banda di Pietro Monaco, Ciccilla fu protagonista di molti atti di brigantaggio e il più noto fu il sequestro di 9 persone, tra nobili, religiosi e proprietari di Acri avvenuto nel 1863 e il sequestro dei cugini Achille Mazzei e Antonio Parisio, avvenuto nello stesso anno, che fece incassare un riscatto che fruttò l’enorme cifra di 20 000 ducati.

Durante lo stesso processo un brigante pentito, Francesco Ciarlo, rivelò che la banda di Monaco fu chiamata da una persona dipendente dello stesso Achille Mazzei per rapire un giudice, ma Pietro Monaco e Ciccila decisero di cambiare obiettivo e di rapire, invece, proprio Achille Mazzei.

Nel 1863, dopo un tradizionale cenone di Natale, il Monaco fu ucciso dal suo braccio destro Salvatore De Marco, detto Marchetta, con la complicità di Salvatore Celestino detto Jurillu e di Vincenzo Marrazzo detto Diavolo, che peraltro aveva tentato di avvelenare la banda pochi giorni prima. L’omicidio avvenne dentro un essiccatoio per le castagne, dove si era appena appisolato accanto alla moglie.

In quella occasione, la stessa pallottola che colpì Monaco al cuore ferì al polso anche lei che cercò di inseguire gli assassini e poi tornò a decapitare il cadavere del marito per evitare che a farlo fossero i soldati piemontesi. Ne bruciò la testa e poi fuggì in Sila assieme al fratello Raffaele, al cugino del marito Antonio e al resto della banda.

Per 47 giorni sfuggì alla caccia spietata della forza pubblica, con la ferita mal medicata al braccio che teneva stretto al collo ma alla fine fu catturata, nel 1864, in una grotta in luogo impervio a strapiombo sul fiume Neto insieme ad alcuni uomini della banda. La cattura fu preceduta da uno scontro a fuoco che durò due giorni durante il quale tra gli altri fu ucciso e poi decapitato Antonio Monaco.

Processata a Catanzaro fu l’unica brigantessa italiana alla quale venne inflitta la pena di morte ma poi il re Vittorio Emanuele II le concesse la grazia commutando la pena in ergastolo, con lavori forzati a vita, forse presso il Forte di Fenestrelle in Val Chisone dove probabilmente morì quindici anni dopo.

Nulla è più sciocco d’una sciocca risata



Nulla è più sciocco d’una sciocca risata

Ignazio, per esibire i suoi denti candidi, ride,
ride in ogni luogo e per qualunque cosa. Quando il colpevole
attende il giudizio, nel momento in cui l’oratore desta il pianto,
lui ride; se si assiste afflitti al rogo d’un figlio devoto,
mentre la madre orbata del suo solo ragazzo piange disperata,
lui ride. Per qualunque cosa, ovunque si trovi,
in qualunque momento che sia grave, ride, ride sempre:
ha questo difetto che non è elegante, io penso, e neanche cortese.
Dunque te lo devo proprio dire, mio buon Ignazio.
Se tu fossi uno di Roma o un Sabino o un Tiburtino
o un Umbro grosso o un grasso Etrusco
o un Lanuvino orribile e coi denti di fuori
o un Transpadano, per metterci anche i miei,
o uno di un qualunque altro posto, dove si lavano i denti con acqua pura,
pure ridere in ogni luogo e per qualunque cosa ti renderebbe antipatico:
poiché non c’è nulla di più sciocco d’una sciocca risata.
Ma tu sei un Celtibero: in terra Celtibera
quello che uno piscia, la mattina dopo lo utilizza
per strofinare a sangue denti e gengive,
così quanto più questi vostri denti son puliti,
tanto più si palesa il piscio che ti sei bevuto.

Gaio Valerio Catullo – Carmen 39

Gaio Valero Catullo (Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.) è stato un grande poeta romano, uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, per l’intensità delle sue passioni, per la scioltezza dei suoi versi, per l’estrema spontaneità dei suoi sentimenti privi di artifici e manierismi.

Wisława Szymborska, premio Nobel per la Letteratura

“Al mio cuore, di domenica”

Ti ringrazio, cuore mio:
non ciondoli, ti dai da fare
senza lusinghe, senza premio,
per innata diligenza.

Hai settanta meriti al minuto.
Ogni tua sistole
è come spingere una barca
in mare aperto
per un viaggio intorno al mondo.

Ti ringrazio, cuore mio:
volta per volta
mi estrai dal tutto,
separata anche nel sonno.

Badi che sognando non trapassi in quel volo,
nel volo
per cui non occorrono le ali.

Ti ringrazio, cuore mio:
mi sono svegliata di nuovo
e benché sia domenica,
giorno di riposo,
sotto le costole
continua il solito viavai prefestivo.

Wisława Szymborska (1923- 2021) è una poetessa polacca tra le più apprezzate tanto che le sue raccolte hanno raggiunto numeri di vendita pari ai più importanti autori di prosa. Nata a Kornik, è cresciuta a Cracovia dove ha studiato Lettere e Sociologia. Abbandonati gli studi, ha iniziato a lavorare nelle ferrovie riuscendo a scampare alla deportazione tedesca della Seconda Guerra Mondiale. Nel dopoguerra ha lavorato in ambito culturale ed ha collaborato con la rivista “Walka” (Lotta). E’stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996.

Le sue poesie toccano spesso argomenti di respiro etico che riflettono sulla condizione delle persone, sia come individui che come membri della società umana. Il suo stile si caratterizza per l’introspezione intellettuale, l’arguzia e la succinta ed elegante scelta delle parole.

Stiftsbibliothek St. Gallen o biblioteca dell’abbazia di San Gallo

Per scrivere Il nome della rosa, lo scrittore Umberto Eco si è ispirato alla biblioteca dell’abbazia benedettina di San Gallo, in Svizzera, una delle più antiche al mondo tuttora in attività. Dedicata a San Gallo di Svizzera e San Othmar di San Gallo, l’insieme dell’abbazia è inscritta tra i primi siti del patrimonio mondiale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) nel 1983, come «esempio perfetto del grande monastero carolingio del Sacro Romano Impero germanico».

Il primo insediamento religioso fu eretto qui nell’anno 612 dal monaco Gallus mentre la biblioteca dell’abbazia di San Gallo venne fondata dall’abate Waldo di Reichenau (740-814) e già nel X secolo il monastero era annoverato tra i centri spirituali più importanti dell’Occidente.

La biblioteca del monastero, costruita nel 1755, è una delle più belle, grandi e antiche biblioteche conventuali al mondo. Nella sala rococò, caratterizzata da gallerie in legno e stucchi, sono conservati 160.000 volumi originali, tra cui il Psalterium Aureum, scritto ed illustrato in oro attorno all’anno 860. Anche la cattedrale, con le sue torri gemelle alte 68 metri, gli stucchi e gli altari rococò, costruita dal 1755 al 1766 dai migliori progettisti del tempo, è un monumento da visitare assolutamente.

La biblioteca è una delle biblioteche monastiche più antiche e importanti al mondo in quanto il luogo fu un grande centro di scrittura per copisti e fra le opere vi sono ben 2 100 manoscritti copiati tra il VIII secolo e il XV secolo, 1 650 incunaboli, numerosi codici, vecchi libri e documenti stampati.

Nelle abbazie benedettine l’intero complesso architettonico e la vita stessa dei monaci ruotavano attorno a due fulcri, la chiesa e la biblioteca. La lettura è del resto prescritta dalla stessa Regola di San Benedetto, sia come lettura eseguita da un monaco ad alta voce durante i pasti in refettorio, sia come esercizio individuale.

ll  Balaeniceps rex Gould o Shoebill detto “becco a scarpa” è un uccello vulnerabile all’estinzione

ll  Balaeniceps rex Gould o Shoebill è un uccello dal becco a scarpa che si distingue per il collo tarchiato e la testa grossa. La sua altezza può variare dai 110 ai 140 centimetri e alcuni esemplari possono raggiungere anche i 152 centimetri, la lunghezza corporea può variare da 100 a 140 centimetri mentre l’apertura alare è di 230-260 centimetri. Il peso varia da 4 a 7 kg ed il piumaggio degli adulti è di colore blu-grigio.

La caratteristica della specie è il suo enorme becco, che ricorda vagamente uno zoccolo di legno, di colore paglierino con macchie grigiastre irregolari e che è il terzo becco più lungo tra gli uccelli esistenti dopo pellicani e cicogne. Le zampe di colore scuro sono piuttosto lunghe e aiutano l’animale a farsi strada nella fitta vegetazione acquatica del suo habitat.

Durante la caccia questo uccello avanza molto lentamente, rimanendo a tratti immobile, senza distogliere mai lo sguardo dal suo obiettivo e, quando la preda individuata è alla sua portata, scatta in avanti con tutto il corpo, quasi tuffandosi in acqua, lanciando in avanti il becco e catturando la preda spesso insieme all’acqua e alla vegetazione circostante che fuoriesce poi dai bordi del becco. Tuttavia, a seconda delle dimensioni della preda, il becco a scarpa può impiegare fino a 10 minuti per riuscire ad ingoiarla .

Questo uccello perlopiù si nutre di pesci ma anche di una vasta gamma di vertebrati di piccole-medie dimensioni delle zone umide come rane, serpenti acquatici, varani e piccoli coccodrilli e più raramente anche di tartarughe, lumache e roditori. I pesci consumati da questa specie hanno solitamente dimensioni comprese tra i 15 e i 50 centimetri di lunghezza e i serpenti predati generalmente sono di circa 60 centimetri.

I loro nidi sono ben distanziati tra di loro, di solito vi sono meno di tre nidi per chilometro quadrato, e le coppie sono monogame e solitarie. Una volta costruito il nido, la femmina depone da 1 a 3 uova bianche che pesano circa 164 grammi e l’incubazione dura circa 30 giorni. Entrambi i genitori covano e nutrono attivamente i piccoli e il cibo viene rigurgitato intero dalla gola del genitore direttamente nel becco del pulcino.

I becchi a scarpa raramente allevano più di un pulcino a covata anche se più uova dovessero schiudersi. I pulcini più giovani sono generalmente più deboli e vengono attaccati dal pulcino più grande e, ignorati dai genitori, spesso muoiono per mancanza di cure. I pulcini più giovani vengono tenuti solo come eventuali “rimpiazzi” nel caso in cui il pulcino più grande muoia o sia troppo debole. I giovani uccelli possono iniziare a volare entro 112 giorni.  

Questo volatile era già noto sia agli antichi egizi che agli arabi, ma è stato classificato per la prima solo nel XIX secolo, dopo che alcuni esemplari furono portati in Europa, anche se a lungo è stato ritenuto una cicogna. Oggi è una specie vulnerabile all’estinzione, con 5-8 mila individui viventi, la maggior parte dei quali vive nelle paludi del Sudan del Sud, dell’Uganda, dove è endemico ma molto raro avvistarlo, del Congo orientale e dello Zambia.

Nella casa del gerarca Göring sita nella “Tana del Lupo o Wolfsschanze”sono stati rinvenuti resti umani.

Lontano dal primo centro abitato in una zona che ora fa parte della Polonia fu costruita la “Tana del Lupo” o ” Wolfsschanze”, che aveva una superficie di 6,5 chilometri quadrati ed era il quartier generale dei nazisti sul fronte orientale. La fortezza fu teatro dell’Operazione Valchiria, un tentativo di assassinio contro Hitler effettuato nel luglio 1944, prima di essere distrutta nel gennaio 1945 per evitare che cadesse nelle mani dell’esercito sovietico in avanzata.

Un team tedesco-polacco di ricercatori ha recentemente rinvenuto  all’esterno della casa che occupava il comandante nazista Hermann Göring, un pilota di caccia durante la Prima Guerra Mondiale che divenne uno dei più potenti leader nazisti nella Seconda Guerra Mondiale e un amico intimo di Adolf Hitler, gli scheletri di cinque persone privi di mani e piedi. I resti umani sarebbero appartenuti a tre adulti, un adolescente e un neonato, probabilmente appartenenti ad un’unica famiglia.

Gli scheletri sono stati trovati in quello che forse era un ex bagno posto all’esterno della casa del gerarca ed erano disposti l’uno accanto all’altro, rivolti nella stessa direzione . Accanto ai resti c’erano tavole bruciate, pezzi di infrastrutture fognarie, altre ceneri, una chiave bruciata, un frammento di cranio ma nessuna traccia di vestiti.