Cosacchi russi e cosacchi ucraini

La regione ucraina della Zaporizhzhia, che vuol dire oltre le rapide in riferimento al fiume Dnepr, sede peraltro di una delle centrali nucleari, è di fatto, insieme alle rive del Don in Russia, la culla dei cosacchi. L’inno nazionale ucraino infatti dice: «Mostreremo, fratelli, che siamo la nazione cosacca». Mito russo per eccellenza e mito letterario per Gogol e Tolstoj, i cosacchi hanno in realtà un ruolo molto più importante nell’identità ucraina che in quella russa.

I cosacchi erano una popolazione seminomade di diversa provenienza che si muoveva a suo piacimento nelle immense pianure a Nord di Mar Nero e Mar Caspio e costituivano una comunità autonoma di guerrieri, a cui si univano avventurieri e servi della gleba in fuga, che eleggeva democraticamente il loro capo, l’atamano o etmano, dal tedesco Hauptmann. Tutte le cariche erano di norma elettive e le questioni più rilevanti erano affrontate dall’assemblea della comunità (krug) secondo principi di uguaglianza e autonomia assoluta.

Il loro abbigliamento era costituito da un caffettano o dalla čerkessa, tunica lunga con le cartuccere. Il loro armamento tradizionale comprendeva un pugnale ricurvo, la sciabola e la frusta. Maneggiavano una lancia molto lunga e la loro preparazione militare prevedeva anche una danza chiamata hopak che eseguivano accovacciati, a braccia conserte. Il loro grido di battaglia era Gu-Rai!  (Verso la beatitudine del cielo!) da cui si pensa derivi il grido di battaglia urrà, diffuso nel mondo dai soldati della prima guerra mondiale che l’avrebbero udito al fronte dai cosacchi.

Originario della Zaporizhzhia è il cosacco più famoso della letteratura: Taras Bulba, creato dall’ucraino russificato Nicolaj Gogol e reso famoso dal film degli anni Sessanta «Taras Il Magnifico» interpretato da Yul Brynner e Tony Curtis. La violenza è tra gli elementi più caratteristici della storia cosacca ma quando Hollywood decise di produrre questo film prese come spunto la trama del libro ma cambiò i toni e il finale, inventando un lieto fine più adatto ai gusti del pubblico cinematografico di quel periodo.

Tra cosacchi russi e ucraini vi è però una grande differenza: i primi non riuscirono mai ad esprimere la propria indipendenza politica rispetto alla potenza degli zar mentre i secondi, almeno dal XIV al XVII, rimasero autonomi e grazie alle capacità dei loro atamani si giostrarono tra le grandi potenze dell’epoca: il nascente impero russo, il regno polacco-lituano, il Khanato della Crimea, erede delle orde di Gengis Khan, il Sultano di Costantinopoli.

Alleandosi a volte con gli uni a volte con gli altri, i cosacchi ucraini riuscirono infatti alla metà del XVII secolo a creare una specie di stato indipendente e nel 1654 a firmare un trattato con lo zar fino a quando nel 1775, Caterina di Russia fece distruggere definitivamente la Zaporizhzhia.

Alla fine dell’800, lo storico ucraino Mykhailo Hrushevsky ha dichiarato che i cosacchi, liberi guerrieri della steppa selvaggia, sono i predecessori dell’Ucraina moderna e rappresentano uno dei simboli dell’identità ucraina. Ed infatti quando tra il 2013 e il 2014 a Kiev è esplosa la protesta di EuroMaidan (EuroPiazza) contro il presidente filo-russo Yanukovich, i manifestanti accampati per settimane in piazza si sono organizzati secondo le antiche usanze cosacche: hanno formano una starshina, cioè un consiglio dei capi, si sono divisi in sòtni o centurie alla cui guida vi era un sòtnik cioè un leader dal nome cosacco.

Il potere in Ucraina ha quindi all’origine un rapporto di tipo contrattuale in quanto i guerrieri cosacchi si accordavano ed eleggevano democraticamente i propri leader in cambio del riconoscimento dei propri diritti e delle proprie libertà. Di questa mentalità cosacca, anarchica e insofferente all’autorità, sono testimonianza le molte ribellioni che li hanno visti contrapporsi al potere dello zar.

Chiedeva la liberazione dei servi della gleba Emel’jan Ivanovic Pugacëv, immortalato nella Figlia del capitano di Pushkin, che tra il 1773 e il 1775 sotto il regno di Caterina II, capeggiò la più grande rivolta contadina della storia zarista andando incontro ad una morte orrenda tra atroci sofferenze.

Tipicamente cosacco è anche il gusto della sfida e della beffa. Il quadro di Il’ia Repin, il più noto tra i realisti russi della seconda metà dell’Ottocento, intitolato «I cosacchi della Zaporozhzhia scrivono una lettera al Sultano» racconta un episodio leggendario. A metà del XVII secolo, durante una delle periodiche guerre russo-turche, il Sultano aveva chiesto agli avversari cosacchi di sottomettersi e loro gli avevano risposto imitando lo stile aulico delle missive ufficiali arricchito di beffardi e sanguinosi insulti.

Lo stesso gusto per l’impudente coraggio si è visto nell’episodio recente dell’Isola dei serpenti, quando una sparuta pattuglia di ucraini ha risposto con insulti alla nave russa che li invitava ad arrendersi. E il francobollo commemorativo dell’evento, che rappresenta un soldato che alza il dito medio alla nave russa ritratta sullo sfondo, è letteralmente andato a ruba nel Paese.

Oggi il mito dei cosacchi viene sbandierato da entrambe le parti impegnate nell’attuale conflitto e se gli ucraini ne rivendicano origini e valori, i russi con una legge del 2005 hanno ricreato una milizia paramilitare ispirata al passato. Secondo l’associazione che li rappresenta «L’Unione delle forze cosacche», 5mila tra loro, cittadini ucraini, hanno già combattuto per le milizie separatiste in Donbass a partire dal 2014.

Altri 30mila provenienti dalla Russia li hanno affiancati e tutti i loro morti sono stati sepolti in Ucraina perchè, come ha dichiarato Viktor Vodolatsky deputato della Duma di Mosca ed ex atamano, volevano riposare nella terra dei loro antenati.

Custodi delle tradizioni e legatissimi alla religione ortodossa i Cosacchi russi sono stati nel tempo impiegati come cavalleria specializzata dagli zar, fuori legge ai tempi del comunismo e rinati con la perestroika. Negli anni Novanta sono stati inviati nelle aree ribelli e spesso vengono impiegati con compiti di ordine pubblico. Hanno contribuito così a soffocare le proteste dei seguaci di Alexey Navalny e sono stati mobilitati in gran numero per il referendum in Crimea sull’annessione alla Russia. Secondo gli ucraini a loro era stato affidato il compito di picchiare e mettere in galera chi protestava.

Chi sono i veri guerrieri

Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi è chi sacrifica sé stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a sé stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell’umanità.”

Toro Seduto (1831-1890)- nativo americano, capo tribù dei Sioux Hunkpapa.

Hippolyte Léon Denizard Rivail o Allan Kardec teorico della dottrina spiritista cristiana

Hippolyte Léon Denizard Rivail nacque nel 1804 a Lione da una famiglia di avvocati e magistrati. Effettuati gli studi iniziali nella sua città, egli si recò a Yverdun, in Svizzera, presso il celebre pedagogista Pestalozzi di cui, dopo essere stato allievo, diventò poi collaboratore fino al 1848. Insegnò inoltre Filosofia, Astronomia, Anatomia, Chimica e Fisica presso l’Università di Parigi e scrisse dei trattati in materia di insegnamento.

Si avvicinò allo Spiritismo già cinquantenne con un approccio prudente e soprattutto scientifico e quindi si recava alle sedute spiritiche con una serie di domande preparate e le risposte che otteneva gli apparivano sempre precise e logiche. Rivelò che per dimostrare la propria esistenza, le Entità furono costrette a parlargli di cose che solo lui poteva conoscere e che gli avevano rivelato una delle sue precedenti incarnazioni, quella di Allan Kardec che aveva vissuto in Britannia tra gli antichi Celti.

Nel corso di queste sedute, Kardec si rese conto che la realtà degli spiriti derivava da nuove leggi naturali poichè, esistendo un mondo invisibile, esisteva anche un’altra forza della Natura che legava i rapporti tra un mondo invisibile e quello visibile dall’uomo.

Quando ritenne che il tutto avesse assunto le proporzioni di una dottrina, decise di fare una pubblicazione utile per l’istruzione di tutto il mondo allo scopo di far crescere spiritualmente l’umanità stessa, come peraltro gli era stato richiesto dagli spiriti stessi.

Nel 1857 scrisse la sua opera maggiore “Il Libro degli Spiriti” in cui affrontava il lato filosofico della sua dottrina che si basava su molti principi del cristianesimo ma che, riconoscendo gli errori del dogmatismo cattolico, dava il giusto spazio alla presenza di entità certamente esistenti ed alla reincarnazione. Quindi sulla base del riconoscimento dell’esistenza di Dio e dell’Immortalità dell’anima, egli attribuiva all’intervento di spiriti di defunti vari fenomeni parapsichici e medianici, affermando la possibilità di contatti tra gli spiriti dell’aldilà e i vivi. 

Gli spiriti sono pertanto presenti nella nostra vita di tutti i giorni, in forma invisibile, ed è possibile percepirli o persino interpellarli tramite gli interventi dei medium cioè persone in grado di mediare tra mondo materiale e mondo invisibile. Alla base della dottrina di Kardec c’è quindi il concetto di trasmigrazione e reincarnazione delle anime, partendo dal presupposto che l’anima è immortale.

Il libro contiene 501 quesiti, stampati su doppia colonna, una dedicata alle domande ed una alle risposte, fatti in forma di intervista da un medium a uno spirito elevato. In questo dialogo vengono affrontati temi che riguardano Dio, quello che accade prima della nascita e dopo la morte, le leggi che riguardano i fenomeni paranormali, il messaggio di Cristo, la responsabilità per le azioni degli uomini, la descrizione dell’aldilà e l’evoluzione morale e spirituale dell’uomo. Il “manifesto” kardicista è infatti il seguente:


“Nascere, morire, rinascere ancora e sempre progredire”.

Ogni anima segue quindi un percorso specifico, fino a raggiungere la propria elevazione, processo che può essere più o meno lungo a seconda della dedizione a mettere in pratica i criteri base di tale crescita: l’amore, la carità e la misericordia, in contrapposizione all’egoismo, all’orgoglio e al materialismo. Purtroppo non tutti riescono a comprendere l’ importanza di questi aspetti, motivo per cui non evolvono rimanendo imprigionati in stati materiali e comportamentali molto bassi.

Coloro che terminano il loro percorso spirituale vivendo in questa vita terrena secondo questi principi diventeranno, una volta terminato il proprio processo di trasmigrazione, degli spiriti elevati fatti solo di bontà e tendenti perciò esclusivamente alla luce. Fulcro della dottrina di Kardec è quindi la ricerca della propria spiritualità attraverso il bene, concetto da mettere in pratica ogni giorno e in ogni situazione.

Il 1° aprile del 1858 fondò la “Società degli Studi Spiritici di Parigi” ma le sue idee fecero sì che la Chiesa cattolica nel 1866 mettesse all’indice le sue opere e parte dei suoi libri vennero pubblicamente bruciati a Barcellona. Scrisse comunque una serie di libri poichè egli fu in assoluto il primo e uno dei pochi scienziati che si sia avvicinato a questo genere di esperienze in modo serio e ponderato, riuscendo poi a convogliare tutto questo in una dottrina filosofico-religiosa.

Lo Spiritismo nonostante la censura cattolica si diffuse e in vari paesi del mondo nacquero numerosi centri spiritici, in particolare in Brasile, dove lo spiritismo si integrò facilmente con la cultura locale e dove tuttora ha numerosi proseliti. Questo anche perchè vi era la libertà di culto e tolleranza di pensiero, aspetti che ancor oggi caratterizzano la società multiculturale e multietnica brasiliana. Inoltre in questa nazione il concetto di spiritismo era più naturale perché sin dai tempi della schiavitù proliferavano religioni di matrice tribale e africana, come l‘umbanda e il candomblè, che avevano a che fare con il mondo degli spiriti.

Le fobie più diffuse fra gli uomini

Gli esseri umani hanno moltissime fobie, alcune sono dette semplici perchè riguardano un particolare oggetto, animale o attività che è possibile quindi cercare di evitare. Altre, invece, sono più complesse, e possono essere più limitanti nella vita sociale perchè provocano una forte ansia in una specifica situazione, come per esempio, l’agorafobia che si scatena negli spazi aperti come piazze, parcheggi e mercati, oppure in posti troppo affollati oppure la claustrofobia che si scatena negli spazi stretti e chiusi come tunnel o ascensori.

La World Mental Health Survey Initiative ha stilato la seguente classifica inerente le fobie che, in forma moderata, sono più diffuse nel mondo:

1 – FOBIA PER UN ANIMALE . Quasi il 4% della popolazione mondiale soffre di una fobia per un animale. Può riguardare insetti (entomofobia), ragni (aracnofobia), serpenti (odiofobia), uccelli (ornitofobia) e cani (cinofobia), ma anche altre specie. Chi ne è affetto può temere persino animali finti, come un ragno di gomma.

2 – EMOFOBIA. Colpisce il 3% delle persone nel mondo. Chi ha la fobia del sangue può perfino svenire appena lo vede e gli esperti ritengono che si tratti di un meccanismo di sopravvivenza: il cervello percepisce un allarme emorragia e induce un collasso cardiocircolatorio per impedire un’ulteriore perdita di sangue.

3 – ACROFOBIA. La paura di luoghi alti colpisce quasi il 3% delle persone. Alcuni acrofobici possono provare malessere anche quando vedono altre persone in luoghi ad altezze elevate (grattacieli, funivie, strapiombi, ruote panoramiche) soprattutto se in prossimità del vuoto e senza protezione, per esempio qualcuno che si sporge da un balcone.

4 – TALASSOFOBIA. Poco più del 2% della popolazione ha paura di immergersi nell’acqua: la fobia può limitarsi all’acqua profonda e scura, ma nella maggioranza dei casi porta al rifiuto di nuotare, e alcune persone non possono mettere la testa sott’acqua neppure per breve tempo, oppure se fanno un bagno in mare, non vanno oltre a immergere le caviglie.

5 – CLAUSTROFOBIA. Questa fobia colpisce più del 2% della popolazione mondiale. La paura di luoghi chiusi ma anche ristretti che danno un senso di oppressione come gli ascensori, le gallerie, le stanze piccole o certe apparecchiature mediche come la risonanza magnetica.

6 – BRONTOFOBIA. Ne soffre quasi il 2% della popolazione mondiale. Chi teme il rumore dei tuoni imposta la sua vita in base alle previsioni meteo ed alcuni non escono di casa nemmeno per andare al lavoro se vi è minaccia di maltempo.

7 – AEROFOBIA. Più dell’1% della popolazione ha paura di volare. Circa la metà delle persone prova preoccupazione e agitazione a bordo di un aereo, ma chi soffre di questa fobia sta male alla sola idea di volare. Infatti, sale su un aereo soltanto se costretto da serie necessità, spesso facendosi prescrivere dal medico un farmaco ansiolitico per affrontare il viaggio.

In ognuno di noi c’è un altro essere

“Guernica” di Pablo Picasso – icona di pace

“In ognuno di noi c’è un altro essere che non conosciamo. Egli ci parla attraverso i sogni e ci fa sapere che vede le cose in modo ben diverso da ciò che crediamo di essere”.

CARL GUSTAV JUNG

En chacun de nous existe un autre être que nous ne connaissons pas. Il nous parle à travers le rêve et nous fait savoir qu’il nous voit bien différent de ce que nous croyons être.

Memento mori = ricordati che devi morire

Adriaen van Utrecht, Natura morta di Vanitas con fiori e teschio, 1642.

La frase trae origine da una usanza dell’antica Roma poichè quando un generale rientrava nell’Urbe dopo una vittoria bellica e, sfilando nelle strade, raccoglieva gli onori che gli venivano tributati dalla folla correva il rischio di essere sopraffatto dalla superbia e dalle manie di grandezza. Per evitare che ciò accadesse, un servitore alle sue spalle gli pronunciava la frase:

«Respice post te. Hominem te memento»

“Guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo”.

Questa consuetudine richiedeva alle persone di distaccarsi dai propri beni e dai lussi terreni poiché la natura fugace di questi oggetti di vanità era opposta all’immortalità dell’anima e all’idea che l’energia dovesse essere messa al servizio dell’aldilà. Naturalmente questa filosofia nel tempo ha portato a un ricco immaginario artistico.

In queste rappresentazioni è onnipresente il teschio quale simbolo universale della morte e di fatto nell’antichità lo si vedeva spesso sui mosaici che adornavano le case, come quello ritrovato in una casa a Pompei che lo rappresenta accanto a una farfalla, emblema dell’anima.

L’arte cristiana è stata particolarmente affascinata dal Memento mori infatti nel Medioevo, la gente amava le danze della morte e i dipinti che mescolavano morti e vivi e ricchi e poveri e che ricordavano l’inutilità del potere e del denaro di fronte alla morte in quel periodo in cui le pestilenze abbondavano.

Durante il Rinascimento, il Memento mori si moltiplicò con i transis, cioè le sculture che adornavano le tombe e rappresentavano i corpi dei defunti. E’ famosa Transi di René de Chalon, eseguita da Ligier-Richier, che ha la particolarità di rappresentare uno scheletro scarno in posizione eretta, come una persona vivente, che tiene il suo cuore in mano e che fu scolpita per adornare il luogo di sepoltura barese del principe di Orange morto nel 1544 durante l’assedio di Saint-Dizier. 

Il Memento mori diventa poi molto popolare nella pittura cristiana della Controriforma e il suo massimo sviluppo simbolico si ebbe nella pittura seicentesca e nella natura morta. Nei Paesi Bassi, in particolare, la pittura di nature morte fu utilizzata per esplorare questi concetti e, nel corso del XVI e XVII secolo, questi dipinti spesso indicati come vanitas (in latino “vanità”), hanno rappresentato simboli come frutta marcia, strumenti musicali, orologi, clessidre e bolle per mostrare il decadimento e la natura fugace della vita.

Nel Seicento inoltre, nell’ordine di clausura dei Trappisti, i frati ripetevano spesso la frase Memento mori (“Ricordati che devi morire”) e quotidianamente si scavavano la tomba, un poco alla volta, con lo scopo di tenere sempre presente la propria morte al fine di non smarrire il vero significato della vita.

Il Memento mori è quindi un ammonimento ed un invito a riflettere sulla brevità della vita e sulla vanità delle ambizioni umane. Ricordare la propria morte fino al XX secolo, anziché essere un fatto negativo, era considerato quindi un incitamento a vivere una vita retta e virtuosa.

Il viaggio spirituale del pittore russo Vasilij Vasil’evič Kandinskij, fondatore della pittura astratta

Vasilij Vasil’evič Kandinskij, nato a Mosca nel 1866, era figlio di un ricco commerciante di tè. Nel 1871, a seguito del divorzio dei genitori, si trasferì ad Odessa a casa di una zia dove ricevette le prime nozioni di disegno e imparò a suonare il violoncello. Dal 1886 al 1889 studiò legge a Mosca e nel 1892, dopo la laurea, sposò la cugina Anna Čimjakina con la quale aveva grande affinità intellettuale.

Aveva ottenuto una cattedra universitaria, quando, in una sperduta provincia della Russia settentrionale, dove si era recato per effettuare ricerche di economia politica, entrò in una casa di campagna e venne folgorato da colori intensi e disordinati di oggetti e immagini appese alle pareti: la stufa e la credenza, le icone sacre e le stampe popolari. Imparò per la prima volta a guardare un quadro non solamente dall’esterno, ma a entrarvi, a muoversi e a mescolarsi con la sua vita.

Pochi anni dopo, Kandinsky vide i  Covoni di Monet esposti a Mosca in una mostra dedicata all’impressionismo ed ebbe una nuova folgorazione poichè la pittura gli si mostrò in tutta la sua fantasia e in tutto il suo incanto.      

Nel 1896 abbandonò tutto e si trasferì per studiare arte a Monaco di Baviera nel quartiere di Schwabing dove si trovava una grande comunità di artisti e rivoluzionari russi. Nel 1901 fondò il gruppo Phalanx e aprì una scuola in cui teneva lezione e fra i suoi studenti vi era anche la sua futura compagna di vita Gabriele Munter.

Kandinskij dipinse paesaggi eseguiti a spatola, soggetti fantastici derivanti dalla tradizione russa o dalle leggende del medioevo tedesco usando tempera su carta scura per dare l’illusione di una superficie illuminata da dietro in trasparenza e realizzò xilografie.

Assieme a Gabriele comprò nel 1908 una casetta a Murnau in Alta Baviera, nominata “Russenhaus” (“la casa dei russi”), che diventerà luogo di incontro di innumerevoli artisti e musicisti di tutto il mondo. Qui Kandinskij, utilizzando colori accesi e antinaturalistici, dipinse immagini prive di volume e sperimentò sulle forme e sui colori togliendo ogni illusione di profondità e dando così il via all’astrazione dal reale.

Nel 1920 produsse il suo primo acquarello astratto, dove nelle macchie più scure predominano i colori rosso e azzurro che si trovano sempre insieme perchè : «Il rosso è un colore caldo e tende a espandersi; l’azzurro è freddo e tende a contrarsi”. I due colori sono come due forze che possono essere sommate o sottratte e secondo gli impulsi possono limitarsi o si esaltarsi a vicenda. Nei quadri vi sono anche segni lineari, filiformi quasi indicazioni di movimenti possibili, che suggeriscono la direzione ed il ritmo delle macchie che vagano sulla carta.

L’artista produsse in quel periodo tre gruppi di opere che, anche nelle loro denominazioni, indicano il legame dei dipinti con la musica: “impressioni”, “improvvisazioni” e “composizioni”. Dopo questo passaggio, egli non ritornò mai più alla pittura figurativa.

Nel 1911 Kandinskij pubblicò il libro Lo Spirituale nell’Arte che annunciava l’avvento di un’era che avrebbe soppiantato il materialismo dell’età moderna e che teorizzava il rapporto tra forma e colore, alla base dell’astrazione. La nuova arte doveva basarsi sul linguaggio del colore e Kandinskij dava indicazioni sulle proprietà emozionali di ciascun tono e di ciascun colore paragonandoli a strumenti musicali.

L’effetto psichico del colore è determinato dalle sue qualità sensibili: il colore ha un odore, un sapore, un suono. Perciò il rosso risveglia in noi l’emozione del dolore per il suo “suono interiore” : il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto, l’anima è un pianoforte con molte corde. Il colore può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Questi quattro “suoni” principali possono essere combinati tra loro e il punto di riferimento per i colori caldi è il giallo, quello dei colori freddi è l’azzurro.

Il giallo inoltre è dotato di un movimento che lo fa avanzare verso lo spettatore e inoltre si allarga verso l’esterno, abbaglia, respinge. L’azzurro è dotato di un movimento che lo fa indietreggiare dallo spettatore e si avvolge su sé stesso attirando lo spettatore. Egli si occupò dei colori primari (giallo, blu, rosso) e poi di colori secondari (arancione, verde, viola), ciascuno dei quali è frutto della mescolanza tra due primari. Analizzò anche le proprietà di marrone, grigio, bianco e nero.

La composizione pittorica è formata dal colore, che nonostante nella nostra mente sia senza limiti, nella realtà assume anche una forma. Se un colore viene associato alla sua forma privilegiata gli effetti e le emozioni che scaturiscono vengono potenziati. Il giallo ha un rapporto privilegiato con il triangolo, il blu con il cerchio e il rosso con il quadrato.

Kandinskij era anche interessato alla Teosofia, intesa come la verità fondamentale, che fa da sottofondo alla dottrina ed ai rituali in tutte le religioni del mondo, che quindi nascosta dietro le apparenze fornisce una naturale razionalità all’arte astratta. Nel 1911, ad un concerto del compositore austriaco Arnold Schönberg, rimase colpito dalla sua musica e diede forma alle sue impressioni nel dipinto Impressione III: Concerto. Poi il pittore scrisse al musicista sottolineando la ricerca che li accomunava, dando vita ad un interessante scambio epistolare.

Nel 1913 dipinse Linee Nere dove non si può più parlare di astrazione a partire da un soggetto poichè il colore e la linea hanno assunto del tutto autonomia ed espressività e quindi l’opera può veramente definirsi astratta. Nel 1914 espose a Monaco e poi a Colonia e poi eseguì quattro grandi murali per la villa di Edwin A. Campbell a New York. Allo scoppio della prima guerra mondiale, tornò in Russia, dove rimase fino al 1921, lasciando la sua compagna Gabriele Munter che rimase a Murnau nella loro casa comune fino alla morte, conservando una vastissima raccolta di quadri di Kandinskij, donati successivamente alla città di Monaco di Baviera.

Nel 1917 sposò Nina Andreevskaja, figlia di un generale russo, e nello stesso anno nacque il figlio Volodia, che però morì nel 1920. A Mosca, dopo la Rivoluzione di ottobre, svolse un lavoro amministrativo con il progetto di fondare vari musei e di riformare il sistema scolastico nell’ambito delle Scuole d’Arte.

Nel 1921 si ritirò dall’Istituto per la cultura artistica di Mosca e venne incaricato di creare la sezione psicofisica della neofondata Accademia delle scienze artistiche, di cui diventò vicedirettore e di cui diresse il laboratorio delle riproduzioni. Presto però, lasciò la Russia assieme alla moglie e si trasferì a Berlino. Tra il 1922 e il 1933 lavorò come insegnante di decorazione murale al Bauhaus dove fece amicizia con Paul Klee e publicò il saggio: Punto e linea sul piano.

Kandinskij in questo saggio teorizzò la parte grafica che può esistere anche senza il colore. Il punto è il primo nucleo del significato di una composizione, che nasce quando il pittore tocca la tela, ed è statico. La linea è la traccia lasciata dal punto in movimento ed è dinamica poichè può essere orizzontale, verticale, diagonale, spezzata, curva e mista. Più la linea è variata, più cambiano le tensioni spirituali che suscita: drammatiche se è spezzata, più liriche se è curva. Anche lo spessore cambia: può essere sottile, marcato, spesso, variabile.

La superficie è il supporto materiale destinato a ricevere il contenuto dell’opera, si tratta solitamente di una tela, anche se Kandinskij ha dipinto anche del vasellame e dei piatti. L’opera risulta dunque essere limitata da due linee orizzontali e due verticali e l’autore può dare accentuazione alle forme girando la tela e sfruttandone i piani diversi, senza però cambiare dopo l’inizio dell’opera perchè ci vuole da subito lucidità e consapevolezza artistica.

Con l’instaurazione della dittatura, accusato di bolscevismo, fu costretto a lasciare il paese e si trasferì a Neuilly-sur-Seine, sobborgo di Parigi. Nel 1937 Adolf Hitler fece realizzare una mostra d’arte degenerata con cui si proponeva di condannare le nuove avanguardie artistiche. Nella mostra vi erano circa 50 opere di Kandinskij, poi vendute a basso costo all’asta ad acquirenti stranieri. Nel 1938 partecipò alla mostra Abstracte Kunst ad Amsterdam e pubblicò quattro poesie e xilografie.

Nel 1942 dipinse la sua ultima grande tela, Tensions délicates poichè, in seguito, realizzò soltanto opere di piccolo formato su cartone catramato. Morì nel 1944 nell’abitazione francese dove aveva vissuto negli ultimi dieci anni della sua vita.

Parte non secondaria della ricerca di Kandinskij è costituita dai lavori teatrali, concepiti in un’ottica di relazioni profonde tra forma, suono, colore, luce e movimento in funzione di un’ opera d’arte multimediale. I primi suoi studi, del 1908-1909, furono i frammenti teatrali Paradiesgarten e Daphnis

Degli anni 1909-1914, sono invece i testi delle sue “composizioni sceniche”: Suono gialloSuono verdeBianco e NeroViola. Solo il primo di essi venne pubblicato e nessuno venne realizzato dal suo autore, nonostante diversi tentativi fatti. Si tratta di testi visionari, nei quali i personaggi si muovono in un mondo astratto denso di evocazioni, di immagini, di colori.

Mala tempora currunt

Mala tempora currunt sed peiora parantur

Corrono brutti tempi, ma se ne preparano di peggiori

(Marco Tullio Cicerone 106 – 43 a. C., avvocato, filosofo, oratore, scrittore e politico romano. Membro di una famiglia dell’ordine equestre, è stato una delle più importanti figure della letteratura latina.)