
La vita è davvero semplice, ma noi insistiamo nel renderla complicata.
(Confucio)
La vita è davvero semplice, ma noi insistiamo nel renderla complicata.
(Confucio)
In passato i coreani mangiavano lo stesso cibo in tutti i tipi di pasti e quindi, anche adesso, la colazione coreana tradizionale è un pasto completo che deve dare molta energia per iniziare in forze la giornata. Vengono serviti molti piatti in porzioni piccole, in modo che concorrano insieme ad un apporto nutritivo completo. In tavola quindi viene messo sempre del riso bianco cotto al vapore, una zuppa e vari contorni, i banchan, tra cui sempre il kimchi e a volte vengono aggiunti anche pesce arrosto o alla griglia, il galbi cioè costolette di maiale, tofu o il gyeranmari che consiste in una frittatina arrotolata e ripiena.
Il kimchi è uno dei simboli della cucina ed è un fermentato di cavolo cinese in salsa piccante ma ne esistono anche altre varietà preparate con ingredienti diversi, dal rafano ai cetrioli. In passato veniva preparato in casa, nelle giare di terracotta dove subiva il processo di fermentazione che gli conferiva un caratteristico aroma e sapore, ma oggi viene spesso realizzato a partire da preparati.
La fermentazione è una pratica antica nata per rispondere alla necessità di preservare il più a lungo possibile i prodotti della terra in un clima rigido e difficile che limitava la disponibilità di ingredienti freschi durante i mesi più freddi. Per conservare i vegetali in principio si utilizzava solo il sale ma poi con il tempo sono stati aggiunti altri condimenti che, insieme all’acido lattico, danno il via alla fermentazione.
La preparazione della colazione tradizionale richiede però molto tempo perchè devono essere cucinati più piatti per cui negli ultimi anni i coreani hanno cominciato a consumare anche una colazione all’occidentale che comprende soprattutto pane e uova.
La colazione coreana all’occidentale consiste nel consumare del pane tostato con uova, che possono essere strapazzate, sode o al tegamino e viene chiamato tost-u (toast) o gaeran tost-u (toast all’uovo). L’uovo al tegamino verso la fine della cottura viene però rigirato come si fa con la frittata in modo che anche il tuorlo si solidifichi e non rimanga molle e il pane in cassetta coreano inoltre ha un sapore un po’ dolciastro. Questo panino per colazione, confezionato con l’aggiunta di cavolo e una spolverata di zucchero di canna, è venduto anche dai venditori ambulanti nelle città.
A pane e uova spesso viene affiancata anche la marmellata, solitamente di fragola, e una tazza di caffè solubile, americano oppure caffè e latte. Molti preferiscono comunque aggiungere a tutto il resto anche una tradizionale ciotola di riso.
LA VOCE DEL SILENZIO
Volevo stare un po’ da sola
per pensare e tu lo sai
ed ho sentito nel silenzio
una voce dentro me
e tornan vive troppe cose
che credevo morte ormai
e chi ho tanto amato
dal mare del silenzio
ritorna come un’onda nei miei occhi
E quello che mi manca
nel mare del silenzio
mi manca sai, molto di più.
Ci sono cose in un silenzio
che non m’aspettavo mai,
Vorrei una voce
ed improvvisamente
ti accorgi che il silenzio
ha il volto delle cose che hai perduto
Ed io ti sento amore,
ti sento nel mio cuore
stai riprendendo il posto che
tu non avevi perso mai,
che non avevi perso mai,
che non avevi perso mai.
E quello che mi manca
nel mare del silenzio
mi manca sai,
molto di più,
ci sono cose in un silenzio
che non m’aspettavo mai,
vorrei una voce
e improvvisamente
ti accorgi che il silenzio
ha il volto delle cose che hai perduto
Ed io ti sento amore,
ti sento nel mio cuore
stai riprendendo il posto che
tu non avevi perso mai
non avevi perso mai
non avevi perso mai
THE VOICE OF SILENCE
I wanted to be alone
a while to think, as you know,
and in the silence I heard
a voice inside myself and many things
that I thought were dead
now came back to life,
and the person I loved so much
returned from the sea of silence
like tears flooding my eyes,
and the one I’m missing in
the sea of silence you know
I miss you very much
There are things in silence
that I never expected.…
I want a voice…and suddenly you
realize that the silence has the appearance
of things you lost,
and I hear you love,
I feel you in my heart,
you’re reclaiming the place that you
hadn’t ever lost that
you hadn’t ever lost that you hadn’t ever lost.
I wanted to be alone a while to think,
as you know,but there are things in silence
that I never expected,…
I want a voice…and suddenly you realize
that the silence has the appearance of things you lost,
and I hear you love,I feel you in my heart,
you’re reclaiming the place that you hadn’t ever lost
you hadn’t ever lost you hadn’t lost you hadn’t ever lost.
Nella Corea del Sud, che supera i 48 milioni di abitanti, esistono soltanto meno di 300 cognomi che, in massima parte, sono costituiti da una sola sillaba, mentre il nome è di solito formato da due sillabe. Spesso i cognomi sono trascritti in caratteri latini affinché sembrino cognomi americani e così accade anche ad esempio che il cognome Kim a volte diventa Gim o Kym.
La completa libertà di scelta nello scrivere il proprio cognome in caratteri latini e la scarsa importanza che viene attribuita al fatto di avere un cognome fisso quando ci si presenta agli occidentali, fa sì che un coreano può presentarsi a volte come Lee oppure come Yi, Li, I Rhee, Rhi, Ri, Ree o Rey, mentre un coreano Jeong può diventare Jung, Jeng, Cheong, Cheung, Chung, Jeoung, Jeung, Joeng, Joung, Chong.
Il 54 %, cioè oltre la metà della popolazione della Corea del Sud, ha nella forma romanizzata più comune uno dei seguenti cinque cognomi: Kim (21,6%), Lee (14,8%), Park (8,5%), Choi (4,7%)e Chung(4,4%). Si arriva al 64,1% con i successivi Kang, Cho, Yoon, Chang e Lim.
Vi sono anche esempi di cognomi presi da stranieri che, nel corso della storia, si sono naturalizzati coreani e la maggior parte di questi sono cinesi. Esistono solo una dozzina di cognomi coreani che sono composti da due sillabe e due caratteri cinesi come Namkoong, che si trova al 93º posto nella lista dei cognomi, Hwangbo, Jegal, Sakong, Sunwoo e pochi altri.
I cognomi sono divisi inoltre in clan regionali, che in tutto sono 216, collegati ad un centro o all’origine del clan e pertanto, ad esempio ci sono i Kim di Gimhae, i Kim di Gyeongju, i Kim di Gwangsan e i Kim di Gimnyeong. Storicamente vi era in Corea una legge, ora non più osservata, che proibiva a persone dello stesso clan di sposarsi fra loro. Le donne coreane quando si sposano non cambiano il proprio cognome ma i figli assumono quello del padre.
Tutti i cognomi coreani sono rappresentati anche da caratteri cinesi perché l’aristocrazia coreana adottò le convenzioni confuciane dei nomi usate nella vicina Cina dal quinto secolo in poi e col tempo i cognomi cinesi furono adottati da tutta la popolazione e ora sono ritenuti tutti coreani a parte quelli arrivati più di recente come Maeng, Ma, Ka, Bing e Jegal che sono ancora identificati come cinesi. Accade però che quando gli elenchi dei cognomi scritti in caratteri cinesi vengono trascritti secondo l’alfabeto coreano o latino, una stessa trascrizione può essere usata per un certo numero di cognomi diversi poichè vari caratteri cinesi originali hanno in coreano la stessa pronuncia.
I cognomi usati nella Corea del Nord sono gli stessi di quelli usati nella Corea del Sud, anche se qui l’origine del clan non è più considerata importante, ma solo nel Nord alcuni cognomi che iniziano per vocale mantengono nella pronuncia una erre monovibrante iniziale.
(detto latino)
Il dolore represso soffoca e brucia dentro,
ed è costretto a moltiplicare la sua forza.
Strangulat inclusus dolor atque exaestuat intus,
cogitur et vires multiplicare suas.
Il grande poeta latino Gaio Valerio Catullo (Verona, 84 a. C.–Roma, 54 a. C.) proveniva da un’agiata famiglia che aveva contribuito a fondare la città di Verona, nella Gallia Cisalpina, e pare che il padre avesse ospitato Giulio Cesare al tempo del suo proconsolato in Gallia.
Trasferitosi a Roma, forse intorno al 61-60 a.C., cominciò a frequentare ambienti politici, intellettuali e mondani e con un piccolo gruppo d’amici letterati, fra i quali Licinio Calvo ed Ennio Cinna, fondò un circolo privato.
Ebbe una relazione amorosa molto travagliata con Clodia, sorella del tribuno Clodio, che cantò nei suoi carmi con lo pseudonimo letterario “Lesbia” in onore della poetessa greca Saffo, che proveniva dall’isola di Lesbo.
Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.
Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto.
Carme V (traduzione di Salvatore Quasimodo)
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum,
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
Lesbia aveva una decina d’anni più di Catullo ed era descritta non solo graziosa, ma anche colta, intelligente e spregiudicata. La loro turbolenta relazione alternava periodi di litigi e di riappacificazioni. Da alcuni suoi carmi emerge però che il poeta ebbe anche un’altra relazione, omosessuale, con un giovinetto romano di nome Giovenzio.
Se i tuoi occhi di miele, Giovenzio,
mi fosse lecito baciare,
migliaia di volte io li bacerei
e non potrei esserne mai sazio,
anche se più fitta di spighe mature
fosse la messe dei miei baci.
Carme XLVIII
Nel 57-56 a.C. fece parte della cohors praetoria di Gaio Memmio in Bitinia dove andò a rendere omaggio alla tomba del fratello e in tale occasione scrisse il Carme 101 a cui si ispirò in seguito anche Ugo Foscolo per la poesia In morte del fratello Giovanni. Il poeta ritornò senza guadagni economici, come sperava al momento della partenza, né la lontananza era riuscita a fargli riacquistare la serenità perduta a causa dell’incostanza di Lesbia nei suoi confronti.
Catullo non partecipò mai attivamente alla vita politica e voleva fare una poesia leggera poiché disprezzava la politica di allora, dominata da personaggi corrotti che perseguitano solo il proprio interesse. Assistette però alla formazione del primo triumvirato, alla guerra condotta da Cesare in Gallia e Britannia, ai tumulti fomentati da Clodio comandante dei populares, fratello di Lesbia e acerrimo nemico di Marco Tullio Cicerone, che verrà da lui spedito in esilio nel 58 a.C. ma poi richiamato, e al secondo consolato di Pompeo.
Catullo è uno dei più noti rappresentanti della scuola dei neòteroi, poetae novi, cioè “poeti nuovi“, che facevano riferimento in particolare al poeta greco Callimaco creatore di un nuovo stile poetico che si distaccava dalla poesia epica di tradizione omerica.
Sia Callimaco che Catullo, infatti, non descrivono le gesta degli antichi eroi o degli dei ma si concentrano su episodi quotidiani ed hanno il gusto per la poesia breve, erudita e mirante alla perfezione stilistica. Coltivavano il loro amore solo ed esclusivamente alla composizione di versi tanto che Catullo asseri ‘: «nihil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere» «non m’interessa, Cesare, di andarti a genio» (carme 93).
I poetae novi, per lo più dalla Gallia Cisalpina, sostennero quel rinnovamento che era già stato anticipato dal circolo di Lutazio Catulo nel II secolo a.C.. rifacendosi ai grandi poeti ellenistici greci del III sec a.C. Creavano poesia di intrattenimento, lontana da qualsiasi propaganda ideologica e nazionalistica e rivendicavano l’ideale di otium letterario che intendeva la poesia come gioco.Caratteristiche di questo tipo di poesia erano la brevità, l’eruzione e il labor limae cioè la cura formale e stilistica di ogni carme.
Questo poeti incontrarono il disprezzo dei tradizionalisti che non condividevano questo ideale di vita, lontano dalla politica e dedito all’otium e al disimpegno più totale. Il poeta novus costituiva il rovesciamento dell’ideale aristocratico di civis romanus, tutto foro e politica.
Il Catulli Veronensis Liber, che comprende 116 componimenti, non fu ordinato dal poeta stesso che non aveva concepito l’opera come un corpo unico, ma da un editore che lo divise in tre parti secondo un criterio di tipo metrico.
I carmi da 1 a 60, sotto il nome di “nugae” cioè “sciocchezze”, sono brevi carmi polimetri, in cui predominano argomenti legati all’esperienza personale del poeta quali l’amore, l’amicizia, le preferenze letterarie e gli avversari.
I carmi da 61 a 68, detti “carmina docta“, sono d’impronta alessandrina e per lo più in esametri e distici elegiaci. Sono otto componimenti che si distinguono per la maggiore lunghezza, situati al centro del Liber
Infine i carmi dal 69 al 116 sono epigrammi in distici elegiaci in cui ritornano gli argomenti legati alla sfera privata del poeta.
Catullo stesso definì il suo libro expolitum, cioè “levigato”, elaborato, curato e pieno di ricercatezza formale. Inoltre, al contrario della poesia epica, l’opera catulliana intendeva evocare sentimenti ed emozioni profonde nel lettore, anche attraverso la pratica del vertere cioè rielaborando pezzi poetici di particolare rilevanza formale o di grande intensità emozionale e tematica.
foto di Eugene Smith
Per quell’attimo di amore
che non vuoi afferrare
perchè ti aspetti ostinatamente
che io sappia ancora dare.
Per quell’attimo di gioia,
diluito in mezzo al niente,
che fluisce stanco
e si rivolta ebbro
dentro al tuo presente.
Per quell’attimo di noia
che decora la mia mente
mentre ti stringo forte,
colpisco duro contro il cuore
e poi chiudo gli occhi
e non mi accorgo più di niente.
Publio Ovidio Nasone, noto come Ovidio, (Sulmona, 43 a. C – Tomi, 17 o 18 d. C.) è stato uno dei principali esponenti della letteratura latina e della poesia elegiaca . Nato da una famiglia facoltosa appartenente alla classe equestre, a 12 anni si trasferì a Roma per frequentare lezioni di grammatica e retorica poiché Il padre lo voleva oratore anche se Ovidio si sentiva già più portato per la poesia. Più tardi si recò ad Atene e visitò anche le città dell’Asia Minore e l’Egitto e per un anno soggiornò in Sicilia.
Tornato a Roma, egli intraprese la carriera pubblica e diventò funzionario, forse, di polizia giudiziaria ma continuò però a dedicarsi agli studi letterari ed entrò nel circolo di Mecenate, che era un sostenitore di Augusto, e conobbe i più importanti poeti del tempo: Orazio, Properzio e Virgilio.
Visse nel periodo storico della pax augustea quando i costumi di Roma si erano ammorbiditi e vi era una concezione più libera e rilassata della morale influenzata da quella ellenistica.
Ovidio si sposò due volte ed ebbe la figlia Ovidia, che divenne poi colta scrittrice, ma divorzio’ presto da entrambe le mogli. Si sposò per la terza volta con Fabia, appartenente all’omonima gens, vedova con una figlia, che divenne sua fedele consorte della quale il poeta, nelle sue opere, conservo’ sempre un ricordo commosso.
Nell’8 d. C., Ovidio cadde in disgrazia presso l’imperatore Augusto e fu relegato, senza confisca dei beni, nella lontana Tomis, oggi Costanza, che era un piccolo porto sul mar Nero nell’attuale Romania. Il poeta attribuì l’esilio a un carmen et error e tale vaga espressione ha favorito il proliferare di interpretazioni diverse.
Alcuni pensano che l’esilio fosse dovuto ad una sua illecita relazione con Giulia maggiore figlia dell’imperatore Augusto, cantata peraltro negli Amores con lo pseudonimo di Corinna. Altri pensano che egli avesse favorito la relazione di Giulia minore, figlia di Giulia maggiore, con un giovane patrizio, altri che avesse scoperto illeciti rapporti di Augusto a corte o avesse curiosato sulla condotta privata di Livia Drusilla o avesse partecipato ad una congiura contro Tiberio. Per altri infine avrebbe rivelato in un carme il nome segreto di Roma, che sarebbe stato Maia, la Pleiade madre di Mercurio.
Non si sa esattamente quale sia stato l’error ma fu sicuramente un fatto personale molto grave, tale da giustificare l’improvvisa decisione di Augusto che non perdonò mai più il poeta. Nemmeno Tiberio, succeduto ad Augusto nel 14 d.C., perdonò Ovidio così egli morì in esilio nella stessa terra dove era stato relegato un decennio prima.
Ovidio rifiutò i valori fissi e rigidi della vecchia società romana per aprirsi alle mode del tempo, cercando di assecondare il gusto volubile del pubblico.La tendenza al galante e al piccante, un certo ateismo e l’indifferenza alla vita politica gli derivavano dalla gioventù dorata imperiale nella quale era assorbito.
Scrisse un gran numero di opere che sono divise in tre gruppi: le opere giovanili o amorose, le maggiori o della maturità e le opere dell’esilio anche se molte opere sono andate perdute.
Il primo gruppo di opere, composto tra il 23 a. C. e il 2 d. C., è rappresentato dalle opere elegiache di argomento amoroso e comprende gli Amores, le Heroides, il ciclo delle elegie a carattere erotico-didascalico, la Gigantomachia e la tragedia Medea.
Amores,suddiviso in tre libri e 49 carmi, narra la storia d’amore per una donna chiamata Corinna. Il poeta è asservito alla domina, soffre per le sue infedeltà, è geloso degli altri ammiratori e contrappone la vita militare alla vita amorosa. L’amore è però un gioco e Ovidio giunge ad amare anche due donne contemporaneamente, chiede all’amata non di essergli fedele ma di nascondergli i tradimenti affinché lui possa fingere di non sapere.
Le Heroides sono 21 lettere che Ovidio immagina scritte da donne famose ai loro amanti e tre lettere, in particolare, hanno una risposta da parte dell’uomo amato. In esse il filone erotico-mitologico viene per la prima volta svolto in forma epistolare. Vi sono numerosi parallelismi con l’epica e con la tragedia, in particolare i monologhi delle eroine euripidee e vi sono riscritture di alcuni miti.
L’ Ars amatoria, in tre libri, è un capolavoro della poesia erotica latina. I primi due libri sono dedicati agli uomini e trattano la conquista della donna, le tecniche di seduzione e come far durare l’amore. Il III libro si propone di dare preziosi consigli alle donne e l’oggetto della caccia non è più l’amore, ma il sesso. Infatti, Ovidio consiglia di non innamorarsi, ma di saper vivere l’amore come un gioco, arrivando ad ammettere anche il tradimento in una relazione. Egli dà consigli anche alle liberte, alle schiave e alle cortigiane per cui l’Ars amatoria rappresenta vivacemente il quadro sociale del suo tempo.
Medicamina faciei femineae è una operetta sui cosmetici delle donne. Di quest’opera sono pervenuti solo 100 versi: i primi 50 costituiscono il proemio, i successivi 50 propongono cinque ricette di creme da applicare sul viso. Remedia amoris sono 400 distici elegiaci per resistere all’amore o liberarsene.
Il secondo gruppo di opere, composto tra il 2 d. C. e l’8 d. C., è caratterizzata dalle Metamorfosi e dai Fasti di intonazione religiosa, mitologica e politica.
Le Metamorfosi sono il capolavoro di Ovidio, contengono più di 250 miti di trasformazioni, dal Caos all’apoteosi di Cesare e Augusto. L’opera si chiude con una preghiera agli dei, affinché questi preservino a lungo l’imperatore Augusto. In esso, scritto in esametri e in quindici libri, si trova tutta la storia mitica del mondo, ma riorganizzata in una serie di racconti continuati. La compilazione segue l’ordine cronologico, ma spesso Ovidio collega le storie in base a rapporti familiari, affinità o diversità. È un racconto articolato che mostra l’abilità stupefacente del poeta di legare tra di loro storie che apparentemente non hanno un filo logico comune e l’unico principio unificatore è la metamorfosi. Tra gli strumenti adottati dal poeta vi è il racconto nel racconto e il poeta trasforma i personaggi “narrati” in personaggi “narranti” che raccontano vicende proprie o altrui. Vi è anche un invito al vegetarianesimo con una spiegazione della teoria della metempsicosi di intonazione orfico-neopitagorica.
Nei sei libri dei Fasti egli illustro’ invece le feste religiose e le ricorrenze varie del calendario romano introdotto da Cesare narrando aneddoti, favole, episodi della storia di Roma, impartendo nozioni di astronomia e spiegando usanze e tradizioni popolari.
Il terzo gruppo di opere, compreso tra l’ 8 d.C.e la morte include le elegie dell’invettiva e del rimpianto: Tristia (Tristezze), Epistulae ex Ponto (Lettere dal Ponto).
I Tristia sono cinque libri di distici elegiaci nei quali Ovidio riprende un tratto tipico della poesia elegiaca cioè il lamento che è senza destinatario.
Le Epustula ex Ponto sono lettere poetiche raggruppate in quattro libri e indirizzate a vari personaggi romani, tra cui la terza moglie del poeta rimasta a Roma, affinché potessero intercedere presso l’imperatore per porre fine all’esilio o, quanto meno, trasferire il poeta in una località più vicina a Roma.
Ibis è invece un carme imprecatorio contro un anonimo avversario di Ovidio, prima suo amico e poi calunniatore, Halieutica è poemetto sulla pesca nel Ponto mentre Phaenomena un poema astronomico non giunto.
Dante Alighieri nella Divina commedia colloca Ovidio nel Limbo, I cerchio infernale, tra gli “spiriti magni” come personalità illustre, ma senza battesimo. Ovidio e la sua poesia ha un’importanza vitale nella Divina Commedia poiché il repertorio mitografico delle Metamorfosi è per Dante fondamentale poiché fonte di immagini, similitudini e riferimenti al mondo classico.
Ovidio ebbe notevole influenza su poeti e scrittori inglesi quali Chaucer e Shakespeare, su tutta la poesia umanistica italiana e sui carmi dei filologi franco-olandesi.
Save the last dance for me
You can dance every dance with the guy
Who gives you the eye, let him hold you tight
You can smile every smile for the man
Who held your hand ‘neath the pale moonlight
But don’t forget who’s taking you home
And in whose arms you’re gonna be
So darlin’, save the last dance for me, mmm
Oh, I know that the music’s fine
Like sparkling wine go and have your fun
Laugh and sing but while we’re apart
Don’t give your heart to anyone
But don’t forget who’s taking you home
And in whose arms you’re gonna be
So darlin’, save the last dance for me, mmm
Baby, don’t you know I love you so?
Can’t you feel it when we touch?
I will never, never let you go
I love you, oh, so much
You can dance, go and carry on
Till the night is gone and it’s time to go
If he asks, if you’re all alone
Can he take you home, you must tell him, no
‘Cause don’t forget who’s taking you home
And in whose arm’s you’re gonna be
So darlin’, save the last dance for me
‘Cause don’t forget who’s taking you home
And in whose arm’s you’re gonna be
So darlin’, save the last dance for me, mmm
Save the last dance for me, mmm, mmm
Save the last dance for me, mmm
Save the last dance for me
The Drifters
Di: Doc Pomus, Mort Shuman – Warner Bros. Records
Lascia l’ultimo ballo per me
Tu puoi ballare tutti i balli con il tipo
Che ti ha fatto l’occhiolino lascialo stringerti forte
Puoi sorridere tutti i sorrisi per l’uomo
Che ti ha tenuto la mano sotto il lieve chiaro di luna
Ma non dimenticare chi ti porta a casa
E nelle braccia di chi starai
Quindi tesoro, lascia l’ultimo ballo per me, mmm
Oh, so che la musica è bella
Come vino spumeggiante vai a divertirti
Ridi e canta ma mentre siamo separati
Non concedere il tuo cuore a nessuno
Ma non dimenticare chi ti porta a casa
E nelle braccia di chi starai
Quindi tesoro, lascia l’ultimo ballo per me, mmm
Bambina, non sai che ti amo tanto?
Non lo senti quando ci tocchiamo?
Non ti lascerò mai, mai andar via
Ti amo talmente tanto
Puoi ballare, va a proseguire
Fino a che la notte volge al termine ed è ora di andare
Se lui chiede, se tu sei tutta sola
E se può portarti a casa, devi dirgli di no
Perché non dimenticare chi ti porta a casa
E nelle braccia di chi starai
Quindi tesoro, lascia l’ultimo ballo per me
Perché non dimenticare chi ti porta a casa
E nelle braccia di chi starai
Quindi tesoro, lascia l’ultimo ballo per me
Lascia l’ultimo ballo per me, mmm, mmm
Lascia l’ultimo ballo per me, mmm
Lascia l’ultimo ballo per me
Il Taekwondo (TKD) è un’arte marziale coreana che significa arte dei pugni e dei calci in volo ed è praticato nel mondo da circa 50 milioni di persone. Spesso vengono fatte dimostrazioni di questa disciplina eseguendo rotture di tavolette. Il suo stile più seguito, il taekwondo WTF, è anche uno sport olimpico che si compone di vari tipi di calci, soprattutto acrobatici, e contiene anche delle forme, chiamate poomse, che prendono generalmente il nome dagli elementi della natura (acqua, acciaio, vento, fuoco, terra), da concetti filosofici orientali o da avvenimenti della storia coreana.
La divisa viene chiamata dobok ed è composta da una casacca bianca, dai pantaloni dello stesso colore e dalla cintura. Il colletto della casacca, bianco per le cinture colorate e nero per le cinture nere, è chiuso con un collo a V affinchè non si apra durante i combattimenti, impedendolo i movimenti e rendendo non necessaria la sua risistemazione anche perchè sopra è indossata una corazza che è obbligatoria nei combattimenti agonistici. Gli atleti, divisi per sesso, età e in otto categorie di peso, sono muniti di protezioni, casco e corpetto, e si affrontano su un quadrato (o su un ottagono) di 8m x 8m.
Il Taekwondo ha come principi fondamentali l’etica e la morale, oltre alle norme spirituali attraverso le quali gli uomini possono vivere senza litigare ed ha come obiettivo quello di insegnare il rispetto per gli avversari e per se stessi, oltre che per l’ambiente circostante e per il proprio corpo. Quindi nel classico ordine i principi che lo ispirano sono: cortesia, integrità, perseveranza, autocontrollo e spirito indomito.
Fino al IV secolo la Corea era divisa in tre regni, Silla, Koguryo e Paekche, sempre in lotta tra loro, nei quali cominciarono a diffondersi diverse tecniche di combattimento, fra le quali la più importante era il taekyon, letteralmente combattimento con le gambe. Non esistono molte prove scritte che descrivono le tecniche e gli stili praticati in quel periodo e le poche informazioni provengono da dipinti e pitture murali ritrovate sui soffitti di alcune tombe reali risalenti ai primi secoli dopo Cristo e da due antichi manoscritti׃ il Samkuk Saki (Storia dei Tre Regni) scritto nel XII secolo ed il Samkuk Yusa (Memoriale dei Tre Regni) scritto nel XIII secolo.
Durante il Periodo dei Tre Regni nacquero inoltre due classi guerriere molto conosciute׃ i Sun Bi e più tardi, nel regno di Silla, i Hwa Rang, che significa “gioventù in fiore” costituita da valorosi guerrieri molto famosi anche per il loro codice di condotta e perchè istruiti nella letteratura. Questa classe di guerrieri fu utilizzata per unificare la Corea e forse ha influenzato il Bushido Giapponese, un codice di condotta seguito dalle classi guerriere giapponesi.
Nel 668 la penisola coreana fu unificata, con la conquista da parte del Regno di Silla degli altri due regni e, prima del 1400, si svilupparono vari sistemi di combattimento “a mani vuote” e molte delle idee filosofiche di queste diverse tecniche marziali poi furono integrate nel Taekwon-Do e nelle altre arti marziali coreane.
Tra il 1890 ed il 1945 la Corea fu coinvolta in diversi conflitti tra e con il Giappone e la Cina e fu in questo periodo che molti coreani impararono le arti marziali di questi altri Paesi. Nel 1910 il Giappone annesse la Corea, abolì la monarchia coreana e proclamò fuori legge le arti marziali coreane.
Nel 1945 la II Guerra Mondiale finì e la Corea riguadagnò la sua indipendenza dal Giappone e i maestri coreani, che avevano vissuto in Cina ed in Giappone, poterono tornare in patria portando con loro anche le arti marziali imparate in questi Paesi. Il periodo dopo-guerra fu quindi un periodo molto fertile per le arti marziali coreane, poiché molte di queste che erano state praticate in segreto per anni furono riscoperte e rese pubbliche.
Tra il 1944 ed il 1955 molti maestri fondarono le loro scuole, chiamate Kwan, ognuna con il suo stile. Queste prime 5 scuole nacquero nel periodo intercorrente la fine della II Guerra Mondiale, la liberazione della Corea e l’inizio della Guerra di Corea (1950-1953). Durante la Guerra di Corea ci fu un primo tentativo, andato a vuoto, di unificare i vari stili in un’unica arte marziale. Così, alla fine della guerra, alle scuole già esistenti se ne aggiunsero delle altre, spesso derivanti dalle prime.
Si ebbe una svolta nel 1955 quando ci fu un incontro tra i più importanti maestri, storici e leader politici dove si decise finalmente quale sarebbe stato il nome della nuova arte marziale coreana nata dall’unificazione dei vari stili ׃ Taekwon-Do. Nel 1966 venne fondata in Corea del Sud, da parte del Generale Choi Hong Hi, la International Taekwondo Federation (ITF), nel 1973 venne fondata in Corea del Sud la World Taekwondo Federation (WTF) e nel 1990 il Maestro Park Jung Tae, fondò anche la Global Taekwondo Federation (GTF). Dopo la morte del Generale Choi, nel 2002, la ITF si frammentò però in tre organismi indipendenti.
Dalla fine del 1978 in poi il nome Taekwon-Do è comunemente in uso e lo stile è uno dei maggiori praticati in Corea. Nel 1988, nelle Olimpiadi di Seoul, divenne uno sport di dimostrazione e rimase tale fino al 2000, quando nelle Olimpiadi di Sydney divenne una disciplina olimpica. Ancora oggi il Taekwon-Do non è unificato sotto un’unica federazione internazionale e l’organizzazione più rappresentata nel mondo è, ad oggi, la WTF.
L’attaccante calciatore Zlatan Ibrahimovic fuori dal tatami è uno degli esponenti di maggiore spicco del Taekwondo poichè sa utilizzare tecniche di calcio e girata, tipiche di questa arte marziale, a suo favore durante le partite di calcio. Lo svedese ha iniziato ad allenarsi da giovanissimo ottenendo a 17 anni una prima cintura nera mentre la seconda gli è stata concessa ad honorem nel 2010 durante la sua prima esperienza al Milan da una delegazione della Nazionale azzurra