L’energica Bianca dei Paleologi di Monferrato duchessa di Savoia

Bianca dei Paleologi di Monferrato (Casale Monferrato, 1472 – Torino, 1519) era la figlia del marchese Guglielmo VIII Paleologo e della sua seconda moglie Elisabetta Maria Sforza.

Rimase orfana dei genitori all’età di undici anni e, sotto la tutela dello zio Bonifacio III, venne promessa in sposa al duca Carlo I di Savoia che, tramite questa unione, ambiva ad impossessarsi del Monferrato in quanto riteneva ormai prossima l’estinzione della dinastia dei Paleologi.

Le nozze furono celebrate nel castello di Casale per procura nel 1485 e Carlo era rappresentato da Antonio de la Forest, suo ciambellano di fiducia. Il matrimonio, contratto quindi “per verba de presenti”, venne consumato solo dopo che giunse la dispensa papale, necessaria a causa della consanguineità tra i due giovani, e la conseguente assoluzione dalla scomunica in cui gli sposi erano incorsi per aver celebrato il matrimonio prima della dispensa.

Nel 1487 nacque a Torino la prima figlia Iolanda Ludovica e circa due anni dopo, sempre a Torino, l’erede maschio Carlo Giovanni Amedeo ricordato come Carlo II.

Il marito però morì solo cinque anni dopo a Pinerolo e, vista la giovanissima età del figlio, Bianca fino al 1496 divenne la reggente dello Stato Sabaudo. Associò subito al potere, con il titolo di luogotenente generale, lo zio del marito Francesco di Savoia arcivescovo d’Auch e vescovo di Ginevra e poi nel 1490 gli affiancò, dopo qualche resistenza e lunghe trattative, un altro zio e cioè l’ ambizioso Filippo di Bresse, detto il “Senza Terra”, che poi dopo la morte di Francesco rimase unico luogotenente.

Cancelliere fu invece nominato l’esperto Antonio Champion, vescovo di Mondovì e poi anche di Ginevra e si affidò anche a Sebastiano Ferrero, feudatario piemontese, nominandolo consigliere di Stato e tesoriere generale.

In ogni caso Bianca si occupò personalmente sia dell’amministrazione dello Stato sia della politica estera e spesso prese supreme decisioni e direttive, imponendole in qualche caso con energia.

A soli diciott’anni Bianca, dal carattere volitivo e determinato, tenne testa con tenacia ai parenti del marito, in particolare all’ambizioso zio Filippo di Bresse, che rivendicavano i propri diritti di successione dello stato Sabaudo.

In politica estera, ella seppe mantenere lo Stato indipendente destreggiandosi tra il potente regno di Francia e il pericoloso ducato di Milano e riportando la pace in Piemonte.

A tal fine, dopo le guerre temporaneamente vittoriose intraprese dal defunto sposo col Marchesato di Saluzzo, restituì all’agguerrito marchese Ludovico II il Saluzzese ma rifiutò però, non seguendo il consiglio di suo zio Ludovico il Moro, di trasferire la capitale a Vercelli.

Nel 1494 accordo’ al cugino Carlo VIII di Francia, che vantava pretese di ingerenza nei territori sabaudi, il permesso di attraversare il Piemonte per giungere nel napoletano e lo accolse trionfalmente a Torino in occasione del suo passaggio con le truppe donandogli perfino i suoi gioielli.

Nel 1496 morì ancora bambino suo figlio Carlo II e Bianca cedette alle pressioni dell’intrigante zio Filippo di Bresse il quale riuscì finalmente a diventare duca di Savoia. Dopo la cessione del potere concordo’ però subito il futuro matrimonio tra sua figlia Iolanda Ludovica e Filiberto l’erede di Filippo.

Continuò comunque ad avere ascendente a corte sia durante il breve ducato dello zio Filippo, sia nei primi anni di governo del genero e ne approfittò per favorire i buoni rapporti tra i duchi di Savoia e lo zio Sforza e cercando di impedire la guerra tra Luigi XII di Francia e il Moro.

Solo dopo la morte prematura della figlia nel 1499 si ritirò nel castello di Carignano, che verrà demolito nel 1820, dove ricevette persino le visite dei re francesi Luigi XII e Francesco I i quali le richiesero anche consigli politici. Qui trascorse la vita a ricamare tessuti per le chiese e ad allevare bachi per filarne la seta e divenne celebre per le sue preparazioni a base di sciroppi, confetture e soprattutto per i rinomati zest cioè scorze di agrumi candite. 

Fu donna virtuosa e pia ma anche amante delle feste e soprattutto dei tornei cavallereschi e ne organizzò uno a Carignano in cui giostrò anche il famoso condottiero francese Pierre Terrail detto il Baiardo.

Fece testamento nel 1519, lasciando erede universale il duca Carlo III di Savoia, figlio di Filippo II di Savoia e della sua seconda moglie Claudina di Brosse. Morì nello stesso anno, fu sepolta a Carignano dove oggi è inumata nella chiesa di Nostra Signora delle Grazie.

Il bianchetto è anche la sardina

La sardina o sarda, in forme giovanili chiamata bianchetto, è un pesce marino della famiglia dei Clupeidae ed è l’unica specie del genere Sardina.

Si trova nell’Oceano Atlantico orientale, di solito non è presente più a settentrione del mare del Nord, è comune nel mare Mediterraneo  mentre invece è rara nel mar Nero e nel mar d’Azov.

Vive in acque aperte senza alcun contatto con il fondale e si può trovare sia lontano dalle coste sia, soprattutto durante la buona stagione, in acque basse e costiere dove migra anche per deporre le uova.

La sardina è spesso confusa con l’acciuga sia come stile di vita che come modalità di consumo ma in realtà le due specie di  clupeiformi appartengono a famiglie diverse e hanno aspetto completamente differente.

Ha il corpo affusolato ma più alto e più compresso lateralmente rispetto all’acciuga e sul ventre ha una fila di scaglie rigide ed appuntite che però non formano una vera carena. La testa è appuntita, con occhio piuttosto grande ricoperto da una palpebra adiposa. La bocca grande arriva, rivolta in alto, sotto l’occhio e la mandibola inferiore è più lunga della superiore mentre i denti sono minuscoli.

Sull’opercolo branchiale sono presenti delle carene ossee disposte a ventaglio e le grandi scaglie vengono perdute facilmente al semplice contatto. Le pinne non sono spinose e la  breve pinna dorsale è posta alla metà del corpo mentre la pinna anale, posta quasi sul peduncolo caudale, è più lunga e bassa. Le pinne pettorali sono abbastanza grandi, inserite vicino al bordo ventrale, quelle ventrali sono sulla verticale del centro della dorsale e quella caudale è biforcuta.

Il colore dell’animale vivo è verdastro o azzurro iridescente sul dorso, argenteo sui fianchi e biancastro sul ventre. Lungo la parte dorsale dei fianchi sono allineate alcune macchioline nere, spesso poco visibili.

Raggiunge i 27 cm di lunghezza nel Mediterraneo occidentale e i 30 cm nell’Atlantico ma la lunghezza comune è di 15–20 cm.

È una specie gregaria che forma banchi molto fitti e disciplinati, composti da centinaia o migliaia di individui adattate cioè a vivere in gruppi formati da migliaia di individui spesso così densi da apparire come un gigantesco corpo solido.

Manifestazione tipica di questi pesci gregari è la coordinazione dei movimenti, per cui essi si spostano tutti insieme come se fossero un solo individuo e ciò è possibile grazie a un complesso sistema di comunicazione visiva, olfattiva e tattile. Studi di biochimica sul comportamento di questi pesci hanno dimostrato che essi emettono sostanze chimiche (feromoni) con cui comunicano tra loro inviando messaggi di allarme, coesione, soddisfazione in presenza di cibo, richiamo sessuale e altro ancora.

Le sardine si riuniscono in banchi assieme ad individui di altre specie di taglia simile come le acciughe. Di giorno si mantengono in genere in acque profonde (25–55 m), spostandosi verso la superficie durante la notte (15–35 m). La durata massima della vita è di 5 anni nel mar Mediterraneo e può raggiungere i 14 nell’Atlantico.

La sardina si nutre esclusivamente di plancton (l’insieme degli organismi acquatici, animali e vegetali che vivono sospesi, a galla o in seno alle acque, in balia delle onde e delle correnti e senza alcun rapporto con il fondo) e di piccoli crostacei. Si alimenta nelle ore diurne, soprattutto serali, ma non di notte.

Si riproduce tutto l’anno con un massimo in inverno e la femmina può deporre fino a 80 000 uova che rimangono a galleggiare sull’acqua per 2-4 giorni, fino a che si schiudono e nascono i cosiddetti bianchetti, cioè larve trasparenti lunghe circa 3 millimetri che hanno la pinna dorsale molto arretrata.

A 3–4 cm prendono la colorazione adulta anche se la maturità sessuale è raggiunta a 1 o 2 anni di età. Ogni anno, in Sudafrica milioni di sardine nuotano verso la costa per deporre le uova e durante il viaggio, nutrono una vasta schiera di predatori, tra i quali delfini, sule, pinguini, squali, otarie e balenottere.

La sardina viene catturata soprattutto con la rete da circuizione denominata ciànciolo: di solito il branco, nelle ore notturne, viene attratto in un determinato tratto di mare da una o più piccole imbarcazioni dotate di potenti fonti luminose cioè le lampare. Quando il branco è ben compatto, viene stesa intorno ad esso una rete rettangolare, con sugheri nella parte alta e piombi (lima di piombi) in quella inferiore, che lo circonda e poi la rete viene chiusa nella parte inferiore e lentamente ritirata fino a quando i pesci sono concentrati in uno spazio piccolo e possono essere recuperati con un coppo. 

Talvolta vengono utilizzate reti da posta disposte verticalmente e spesso molto lunghe che vengono lasciate in mare lasciando che siano le prede a raggiungerle ed a rimanervi impigliate.

Grazie al suo alto valore nutritivo e alla facilità con la quale viene sottoposta ai processi di conservazione, la sardina, che fa parte del cosiddetto pesce azzurro, è uno dei pesci più pescati al mondo.

Caratterizzata da contenuto di grassi medio-elevato è ottima fonte di proteine ad elevato valore biologico ed acidi grassi polinsaturi omega-3, vitamina D, vitamine del gruppo B, fosforo e selenio. Il contenuto di sodio nel prodotto fresco non trasformato è basso.

La solitudine è indipendenza

” La solitudine è indipendenza: l’avevo desiderata e me l’ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri.”

HERMANN HESSE

Bona Sforza, la collerica regina di Polonia

Bona Sforza (Vigevano 1492 – Bari 1557) era figlia del duca di Milano Gian Galeazzo e di Isabella d’Aragona, figlia del re di Napoli Alfonso II, ed inoltre nipote di Bianca Maria Sforza che nel 1493 aveva sposato l’ imperatore Massimiliano I.

Non aveva ancora compiuto un anno quando ella rimase orfana del giovane padre, forse avvelenato dallo zio Ludovico il Moro, il quale, già suo reggente durante la minore età, prese poi il potere assumendo il titolo di duca di Milano. Sua moglie Beatrice d’Este assunse il titolo di duchessa di Milano trasferendo alla vedova  Isabella d’Aragona il suo titolo di duchessa di Bari. Isabella, con le figlie Ippolita e Bona si allontanò dalla corte milanese nel 1500, quando comprese che i suoi tentativi di far riconoscere i diritti del figlio Francesco Maria Sforza erano vani.

A Napoli e a Bari, Bona ricevette un’educazione accurata e versatile com’era d’uso presso le corti rinascimentali ma la formazione della sua personalità fu curata soprattutto dalla madre, che si preoccupò anche di procurarle un matrimonio vantaggioso per gli interessi della dinastia. Nel 1518, a ventiquattro anni, Bona sposò a Napoli il re cinquantunenne di Polonia Sigismondo I, vedovo da tre anni.

Bona Sforza partì insieme al suo seguito dal porto di Manfredonia e fu incoronata a Cracovia, dove risiedeva la corte nella quale la regina diffuse la cultura rinascimentale italiana. Poi nel 1524, alla morte della madre ereditò anche i titoli di duchessa di Bari e di principessa di Rossano e divenne pure pretendente al Regno di Gerusalemme.

In Polonia in politica estera Bona nel 1525 riuscì a fare della Prussia una sua tributaria, nel 1533 stipulò un trattato di pace con la Turchia, intrattenne relazioni amichevoli con la Lituania tanto che nel 1569 si unì con la Polonia e la Francia per premunirsi da eventuali politiche espansioniste imperiali degli Asburgo anche se nel frattempo nel 1543 aveva fatto sposare il figlio Sigismondo Augusto con la principessa Elisabetta d’Asburgo. Intrattenne anche relazioni amichevoli con la Spagna a favore dei suoi interessi nel Ducato di Bari.

In politica interna Bona rafforzo’ il potere reale, organizzando alla corte un proprio partito e accumulando una notevole quantità di latifondi. Combatté il potere dei nobili per fare della Polonia un moderno Stato assolutista e nel 1530, quando era ancora vivo il marito, fece incoronare l’unico figlio Sigismondo Augusto appena decenne, senza richiedere l’approvazione della nobiltà.

Ottenute le necessarie dispense papali, scelse i vescovi tratti dalla nobiltà, per assicurarsi i servigi di vescovi meno fedeli alle direttive di Roma e più devoti alla causa dello Stato polacco e anche per sottrarre potere alla nobiltà, che cercò di dividere contrapponendo alla piccola nobiltà che controllava la Dieta la grande aristocrazia del Senato.

In Polonia la popolazione non seguiva un’unica confessione religiosa: oltre a una maggioranza cattolica, vi erano ortodossi, cristiani armeni e musulmani a Oriente, luterani a Nord, ebrei e piccoli gruppi di calvinisti e di antitrinitari giunti soprattutto dall’Italia per sfuggire alle persecuzioni.

Formalmente, Bona era cattolica ma non è certo se fosse realmente devota a questa Confessione. Il medico di Bona Sforza era poi Giorgio Biandrata che era, almeno apparentemente cattolico ma che poi divenne un aperto antitrinitario.

Nel 1547, dopo la morte della moglie Elisabetta avvenuta due anni prima, il figlio Sigismondo sposò, a insaputa della madre e della Dieta polacca, Barbara Radziwill appartenente a una famiglia della nobiltà lituana. Questo matrimonio, visto sotto l’aspetto degli interessi dinastici e nazionali, sembrava dimostrare l’immaturità politica del giovane re.

Bona infatti stava invece progettando il suo matrimonio con Anna d’Este, che era figlia del duca Ercole e soprattutto di Renata figlia di Luigi XII di Francia, matrimonio che avrebbe potuto favorire i suoi sforzi di insediare sul trono di Ungheria la propria figlia Isabella e che avrebbe aiutato i suoi interessi in Italia.

È però possibile che Sigismondo avesse intenzionalmente evitato un matrimonio d’interesse: nella sua biblioteca vi erano libri di Calvino e di Erasmo da Rotterdam umanista olandese che condannava i matrimoni stipulati dai regnanti per perseguire interessi politici.

Nemmeno la Dieta dei nobili approvò il matrimonio e cercò di far recedere Sigismondo dal passo compiuto attraverso il ripudio o abdicando, oppure ancora privando la moglie dei suoi diritti di regina. Tutto fu inutile, e Barbara Radziwiłł fu incoronata, senza che Bona Sforza assistesse alla cerimonia.

Tuttavia Barbara si ammalò molto presto e a quel punto Bona si riconcilio’ con la nuora ma Barbara Radziwiłł morì a soli trent’anni nel 1551. Sigismondo si risposò due anni dopo con Caterina d’Austria, sorella della sua prima moglie Elisabetta, ma anche questa volta non riuscì ad avere figli, portando così la casata degli Jagelloni all’estinzione.

La morte prematura di Barbara riversò dei sospetti su Bona in quanto la fama di «avvelenatori» nel Cinquecento circondava i principi italiani. Inoltre, la sua attività di governo destava lo scontento dello stato nobiliare che vi intravedeva una minaccia al proprio potere, tanto più umiliante perché esercitato da una donna che oltretutto appariva autoritaria e collerica.

Dopo trenta anni di regno, nel 1556 la stessa Bona decise di lasciare la Polonia e, dopo il matrimonio della figlia Sofia, tornò in Italia portando con sè le proprie collezioni di oreficeria insieme alle ingenti somme di denaro accumulate negli anni e si stabilì a Bari. L’ultimo suo periodo polacco fu inoltre contrassegnato dalla sua aspirazione, poi delusa, ad essere nominata Viceregina di Napoli dagli Asburgo.

Il suo vecchio ducato di Bari era stato impoverito dalle guerre condotte dagli spagnoli contro la Francia poiché Filippo II si era impadronito dei suoi beni. Fu per questo motivo, e per la tradizionale leggenda dei veleni che sarebbero circolati nelle corti italiane, che alla sua morte, nel 1557 nacque la diceria che fosse stata avvelenata dal suo segretario Gian Lorenzo Pappacoda su mandato del re spagnolo Filippo.

La sua bara, portata nella Basilica di San Nicola, rimasta incustodita per molte ore, fu incendiata dalle candele e i resti di Bona carbonizzati furono sepolti in una cappella senza particolari decorazioni. Più tardi i figli Sigismondo e Anna fecero costruire un sepolcro sontuoso ora situato dietro l’altare maggiore della Basilica di Bari.

Il bruxismo disturbo anche dei bambini

Chi soffre di bruxismo digrigna i denti sfregando l’arcata superiore contro l’inferiore o stringendo con una certa forza le mascelle a seguito della involontaria contrazione dei muscoli della masticazione. Si verifica in prevalenza di notte, a volte può essere molto rumoroso e può causare diversi disturbi: usura dei denti, dolore alla mandibola e mal di testa. Digrignare i denti di notte influenza anche la qualità del sonno perché è spesso associato a scatti improvvisi delle gambe.

È difficile indicare la causa del bruxismo poiché studi scientifici hanno indicato numerosi fattori che spesso possono concorrere a provocare il problema tra i quali ansia e stress, problemi emotivi e psicologici, disturbi del sonno, un disallineamento delle arcate dentarie o anche una risposta muscolare a qualche malattia neurodegenerativa.

A favorirne la diffusione sono pertanto anche i ritmi di vita sempre più stressanti e alcuni comportamenti a rischio quali il fumo o il consumo di alcolici, l’abuso di caffeina e, fra i giovani, inoltre il bruxismo può manifestarsi come effetto secondario di alcune droghe sintetiche come l’ecstasy.

Il disturbo si presenta sempre più spesso anche nei bambini sin dall’eruzione dei primi denti e rispecchia molte volte un normale processo di sviluppo del sistema nervoso centrale per cui si può considerare fisiologico almeno fino ai 12 anni. Può essere però anche il segnale di uno stato di disagio psicologico magari legato alle ansie scolastiche o sportive. Inoltre, recenti studi hanno appurato che si associa spesso anche alla presenza di apnee notturne per cui, oltre che andare dall’odontoiatra, gli esperti consigliano di fare anche una visita dall’otorino-laringoiatra. Il bruxismo cioè potrebbe essere dovuto anche al tentativo di alleviare il dolore di un’otite o del mal di denti. 

Questo fenomeno può causare delle conseguenze che includono: lesioni e usura dei denti, che possono scheggiarsi, aumento della sensibilità dei denti soprattutto per la perdita dello strato di smalto, dolore alla mascella, dolore alle orecchie e dolore ai muscoli della testa normalmente coinvolti nel processo di masticazione.

Le strategie di prevenzione di questo fenomeno includono metodi per la riduzione dello stress, come ascoltare la musica, fare bagni caldi, fare attività fisica moderata e regolare ed inoltre, evitare di bere alcolici, caffè o tè dopo cena.

Per la diagnosi di bruxismo è sufficiente una visita medica del dentista, che ispezionerà la salute dei denti verificando l’usura, le lesioni, la sensibilità dei muscoli della mascella.

Il trattamento del bruxismo è finalizzato a proteggere i denti, ma anche la qualità della vita e del riposo, che può avere conseguenze sulla salute cardiovascolare.

Può essere necessario ricorrere a cure dentali per riallineare le mandibole e per ridurre i punti di contatto anomali tra i denti. Può quindi essere applicato durante la notte un tipo di bite che permette di mantenere il corretto spazio occlusale, di scaricare la forza esercitata dai muscoli sulla placca di resina piuttosto che sui denti e di rilassare i muscoli mandibolari e cervicali preservando così lo stato dei denti e non aggravando il loro deterioramento.

I farmaci non sono efficaci contro il questo fenomeno anzi in alcuni casi, quando si usano alcuni neurolettici che favoriscono il bruxismo, il neurologo potrebbe cambiare dosaggio o tipo di farmaco.

L’uso della bacchetta magica

L’uso della bacchetta magica può essere ricondotto alla civiltà proto – indo europea poiché presente sia nello zoroastrismo sia nell’induismo primitivo.

I magi del mondo antico erano i sacerdoti della religione zoroastriana e il barsom, o sacro fascio di ramoscelli, aveva un ruolo importante nelle loro pratiche religiose ed era un antico emblema indo-iraniano che stabiliva un collegamento tra questo mondo getig (materiale) e il regno menog (spirituale).

Era anche uno strumento attraverso il quale si acquisiva il potere sacro e un mezzo per incanalare il potere verso l’esterno, e quindi era una “bacchetta magica” prototipica. Il barsom era tradizionalmente realizzato con rametti di tamerici o melograno, in tempi moderni poi sostituiti da aste di metallo.

L’uso del barsom, la bacchetta magica, era anche conosciuta tra gli antichi greci e romani e anche gli antichi flamini romani o i sacerdoti del fuoco portavano in mano simili fasci di ramoscelli. Già gli etruschi avevano tra gli strumenti magico-religiosi il lituo che attesta come l’uso della verga augurale fosse comune ai popoli italici. 

Omero e Virgilio descrivono entrambi la maga Circe che fa uso di una bacchetta magica e la collezione di papiri magici greci e demotici di Betz racchiude esempi di incantesimi che includono l’uso di una bacchetta o di un bastone.

Giamblico (ca. 250-325 d.C.), uno dei più importanti filosofi neoplatonici, nel suo De Mysteriis Aegyptiorum menziona una profetessa che tiene in mano un bastone o una bacchetta invocando la divinità.

Con la caduta del paganesimo anche i simboli religiosi e magici correlati vennero meno e il senso del sovrannaturale e la richiesta di protezione si spostò verso il culto delle reliquie. Tuttavia vi sono raffigurazioni protocristiane del Cristo con la bacchetta in mano poiché la magia era ancora vista come una pratica legata ai nemici religiosi, i Pagani, e quindi la presenza della bacchetta in mano a Gesù simboleggiava il potere di realizzare meraviglie in nome del Padre secondo un’iconografia ancora legata ai vecchi schemi.

Solo nel tardo medioevo si incontrerà di nuovo la bacchetta magica ma con un significato più moderno. I primi manoscritti di magia occidentali detti grimori hanno molti riferimenti all’uso e all’importanza della bacchetta nella magia.

Secondo il libro di Onorio del 1200 esistono due strumenti rituali simili, comunemente descritti nella letteratura magica, e sono il bastone che ha le dimensioni di un bastone da passeggio e la bacchetta che è più piccola e affusolata in punta. L’idea della bacchetta presente in questo libro di magia fu successivamente incorporata nel grimorio del 1500 chiamato La chiave di Salomone. 

Secondo questo grimorio “Il bastone dovrebbe essere di legno di sambuco o di canna e la bacchetta di nocciolo o di noce, in ogni caso di legno vergine, cioè della crescita di un anno. Dovrebbe essere tagliato dall’albero con un solo colpo, il giorno di Mercurio (cioè mercoledì), all’alba. I simboli dovrebbero essere scritti o incisi su di essi nel giorno e nell’ora di Mercurio”.

La chiave di Salomone divenne popolare tra gli occultisti per centinaia di anni, ispirando nell’occultismo ottocentesco molte correnti di pensiero magico attive anche oggi soprattutto nel mondo anglosassone. Nel 1888, fu pubblicata una traduzione inglese di questo libro di Samuel Mathers che era uno dei co-fondatori dell‘Ordine ermetico dell’alba d’oro.

Quella versione inglese del 1888 ispirò Gerald Gardner, il creatore della Wicca, a utilizzare la bacchetta insieme ad altri oggetti rituali. La Wicca è considerata una religione o un percorso spirituale di tipo misterico, che ritiene che il divino sia presente nel mondo sotto infinite forme, spesso riassunte in un principio divino femminile, la Dea, e in uno maschile, il Dio, emanazioni dell’Uno, simmetrici ma complementari. Il loro incessante interscambio sta alla base del continuo divenire del mondo e pertanto la Wicca celebra i cicli della natura. Nella Wicca le bacchette erano tradizionalmente usate per evocare e controllare angeli e geni, ma in seguito sono state usate anche per la realizzazione di incantesimi.

A fine Ottocento fu creata inoltre la società segreta Golden Dawn, fondata sulla tradizione della Qabalah, che aveva adottato l’immagine dell’Alba come simbolo del risveglio spirituale e dell’illuminazione alla consapevolezza. I loro creatori ebbero l’idea di usare la bacchetta, così come altri principali oggetti rituali che sono pugnale, spada, pentacolo esagrammico e coppa, mutuandoli dagli scritti dell’autore occultista Eliphas Levi.

Nel libro di Levi del 1862, Philosophie Occulte, vi era un falso estratto di una versione ebraica della Chiave di Salomone, che aveva ispirato l’uso degli oggetti rituali della Golden Dawn ed in particolare della loro bacchetta di loto.

La magia cerimoniale dell’Ordine Ermetico della Golden Dawn utilizza diversi tipi di bacchette per scopi diversi, i più importanti dei quali sono la bacchetta di fuoco e la bacchetta di loto.

I colori dell’impugnatura della bacchetta di loto si riferiscono a influenze planetarie/elementali e la bacchetta andrebbe impugnata all’altezza del colore opportuno concordemente all’operazione da compiersi. In effetti, tradizionalmente, dal punto di vista cerimoniale, la bacchetta andrebbe impugnata come uno scettro cioè nel mezzo e tenuta perpendicolarmente al terreno invece che come i direttori d’orchestra.