Gaio Giulio Cesare conquisto’ la Gallia con un esercito invincibile (dal 58 al 51/50 a.C.)

Gaio Giulio Cesare nacque il 13 luglio del 101 o il 12 luglio del 100 a. C. da un’antica e nota famiglia patrizia, la gens Iulia, che secondo il mito, annoverava tra gli antenati anche il primo e grande re romano, Romolo e discendeva da Iulo (o Ascanio), figlio del principe troiano Enea, figlio a sua volta della dea Venere.

Con l’espressione conquista della Gallia si indica la campagna di sottomissione dei popoli delle regioni che oggi formano l’attuale Francia, tranne la parte meridionale cioè la Gallia Narbonense che era già sotto il dominio romano dal 121 a.C., oltre il Belgio, il Lussemburgo, parte della Svizzera, Paesi Bassi e Germania, portata a termine da Gaio Giulio Cesare dal 58 al 51/50 a.C.  e da lui narrata nel De bello Gallico, che resta la principale fonte per questi eventi.

Tuttavia, la guerra di Gallia non fu semplice per Cesare poiché i Galli opposero una feroce resistenza e sconfissero i romani in diverse occasioni. Lo stile del comandante fu però determinante per il trionfo romano e si può riassumere in tre parole: aggressività, velocità e rischio. 

In questa guerra l’abilità di Cesare nel muovere l’esercito con grande rapidità ebbe un’importanza decisiva e gli permise di compensare il fatto di essere in netta inferiorità numerica rispetto agli avversari. Infatti durante la campagna del 57 a.C. contro i popoli Belgi, i Romani si scontrarono nei pressi di Bibracte con un enorme contingente di tribù belghe ma Cesare, per vari giorni, non iniziò una battaglia campale contro i nemici poiché valuto’ la loro incapacità di garantirsi il rifornimento di viveri.

Ma quando le tribù si dispersero per fare ritorno alle loro basi, Cesare agì rapido e guidò l’esercito dapprima contro la capitale dei Suessioni e poi contro quella dei Bellovaci, fino alla resa di entrambe le popolazioni. Subito dopo invase il territorio dei Nervi e, nonostante un loro attacco a sorpresa, li sconfisse. In questo modo egli, con un esercito di soli 40.000 soldati, riuscì a sconfiggere una coalizione che contava quasi 300.000 guerrieri.

Cesare non subì mai una sconfitta clamorosa anche se, in qualche occasione, sfiorò il disastro. Tra il 55 e il 54 a.C. condusse parte del suo esercito in due diverse spedizioni anche verso l’isola della Britannia ma sottovalutò il pericolo rappresentato dalle frequenti tormente estive nel canale della Manica. In entrambe le occasioni perse parte della flotta e fu sul punto di rimanere bloccato in Britannia, anche se riuscì a ritornare sul continente con la maggior parte del suo esercito.

Fortunatamente per Cesare, non dovette mai affrontare tutti i Galli in blocco, poiché questi erano divisi in oltre quaranta popoli diversi, che lottavano ferocemente tra loro per il potere e il prestigio, e Cesare ricorse alla propria esperienza maturata nell’ambiente romano per sfruttare queste divisioni.

Inoltre egli fu anche un fine ed eccellente motivatore delle sue truppe tanto che i suoi uomini si dedicavano anima e corpo a qualsiasi impegno, che fosse una marcia, un assedio o una battaglia. Bisogna considerare anche che l’esercito romano era il risultato delle riforme apportate mezzo secolo prima dal console Gaio Mario, marito di Giulia Maggiore che era zia di Cesare, ed era formato praticamente da professionisti sottoposti ad una disciplina molto dura.

Forse individualmente, i soldati romani non erano più valorosi o più forti dei loro avversari Galli ma sicuramente erano più addestrati e disciplinati. Per questo le unità romane erano più efficaci di quelle galliche in combattimento e, soprattutto, erano di gran lunga più capaci di superare situazioni avverse.

In occasione della battaglia del fiume Sabis, nel 57 a.C. i Belgi sorpresero i Romani mentre questi costruivano un accampamento fortificato e li attaccarono di sorpresa. Cesare diede ordine alle sue truppe di formare una linea di battaglia e i legionari si misero subito in formazione lì dove si trovavano, raggruppandosi attorno ai centurioni e agli stendardi più vicini. L’esito fu una schiacciante vittoria romana.

Invece, nonostante grandi atti di coraggio individuale, le unità galliche mancavano di coesione interna e della disciplina che avevano invece le unità romane e per questo furono sconfitte in gran parte delle battaglie campali.

Inoltre i centurioni garantivano l’unione delle legioni e ogni legione contava sessanta di questi ufficiali, al comando di una centuria di ottanta uomini. Da loro ci si aspettava che in combattimento dessero prova di coraggio e di sprezzo della morte davanti ai loro uomini ed evidentemente spesso si comportarono in questo modo, a giudicare dal numero elevato di perdite subite in alcune battaglie. 

Ad esempio in Gallia nel 52 a.C. dopo un fallito assalto a Gergovia, la capitale degli Arverni, i Romani persero quasi 700 legionari e 46 centurioni, il che equivale a dire che i legionari avevano subito il 14 % di perdite a fronte del 76 % dei centurioni.

Il De bello gallico abbonda di episodi di eroismo da parte dei centurioni e ad esempio racconta di Tito Pullone e Lucio Voreno, ufficiali continuamente in competizione fra loro per dimostrare davanti all’esercito il proprio coraggio.

Nell’inverno del 54 a.C., i due centurioni romani facevano parte della legione che fu assediata nell’accampamento dai Nervi. Tito Pullone uscì dall’accampamento e affrontò da solo un gruppo di guerrieri nervi ma fu seguito subito dopo da Lucio Voreno. Combattendo valorosamente si salvarono reciprocamente la vita e riuscirono anche a rientrare all’accampamento.

Anche la superiorità tecnologica ebbe un ruolo determinante per la vittoria finale dei romani, in particolare per quanto riguarda la conquista delle città. La scienza militare romana conosceva molte tattiche e macchine d’assedio che si potevano utilizzare nell’assalto alle fortezze, come torri mobili, artiglieria e arieti. Prima i soldati realizzavano immense opere di circonvallazione per porre in isolamento le città attaccate, un lavoro per il quale erano particolarmente allenati per via della loro abitudine a costruire accampamenti fortificati in territorio nemico.

L’esempio più noto e più spettacolare di accerchiamento di una città gallica fu quello di Alesia. Per prendere la città dove con il suo esercito si era rifugiato Vercingetorige, il leader della grande rivolta del 52 a.C. contro il dominio romano, Cesare ordinò di accerchiarla con una circonvallazione di 16 chilometri. 

Questa era formata da una muraglia con torri ogni 25 metri e protetta da due fossati, uno dei quali colmo d’acqua. Davanti ai fossati vi era una zona di trappole, come pali appuntiti conficcati in buchi del suolo e piccole punte metalliche nascoste tra l’erba. Al sopraggiungere di un esercito gallico di soccorso, Cesare costruì anche una linea di controvallazione di 21 chilometri, che doveva proteggere il suo esercito dagli attacchi dall’esterno. 

Alla fine, Cesare sconfisse sia l’esercito assediato all’interno di Alesia sia l’esercito di soccorso e le fortificazioni romane ebbero un ruolo chiave nella vittoria. Senza dimenticare che i legionari erano molto pericolosi sia quando impugnavano la dolabra, o dolabella, un’arma che era metà piccone e metà ascia e veniva usata durante gli assedi, sia quando impugnavano il gladius, la spada corta.

I Romani ebbero successo in tutti gli assedi intrapresi, tranne quello di Gergovia, e anche se in diverse occasioni la situazione di Cesare e del suo esercito in Gallia si rivelò precaria tuttavia le vittorie e le conquiste di Cesare cambiarono per sempre la storia della Gallia e della stessa Roma.

Fiori di melograno

Vieni con me

sul fiume di erba verde

e profumata

che tremando galleggia

nel vento imbronciato.

Respira con me

mentre il preludio

degli echi della vallata

fa tintinnare l’orizzonte

inghiottito, a poco a poco,

dal buio della notte

che avanza a tentoni.

Resta con me

e non assopire mai

la mia anima solitaria

che continua

ad impaurire il giorno

ed impedisce ad ogni alba

di spuntare tra i dolci petali

dei rossi fiori di melograno.

L’unica gente possibile sono i pazzi

Perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano… bruciano… bruciano come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno ooohh.
Jack Kerouac 

Jean-Louis Lebris de Kérouac, meglio conosciuto come Jack Kerouac ( Lowell, 1922  – St. Petersburg , 1969), è considerato uno dei maggiori e più importanti scrittori statunitensi del XX secolo , nonché “padre del movimento beat “, perché nei suoi scritti esplicitò idee di liberazione della propria coscienza e di realizzazione alternativa della propria personalità.


L’indiano sikh Amritpal Singh Sandhu predica la nazione indipendente del Khalistan 

Amritpal Singh Sandhu (nato il 17 gennaio 1993) è un radicale indiano che vorrebbe separare il Khalistan  dal Punjab, predicatore sikh e leader dell’organizzazione Waris Panjab De (“Eredi del Punjab “). E’ bello, carismatico, abile, il leader secessionista che predica di voler creare la nazione indipendente del Khalistan, scavandola all’interno dell’India. Da sei giorni è un super-latitante scampato alla caccia all’uomo di 80mila agenti dello Stato del Punjab, che fa da cuscinetto tra la capitale Delhi e il “nemico” Pakistan, e tutta l’India segue ora l’avventurosa fuga dell’uomo che alcuni considerano come una minaccia all’unità nazionale e che ha dichiarato nei suoi comizi che «i Sikh sono schiavi da più di 150 anni, prima sotto i britannici e oggi sotto gli induisti».

I sikh sono i fedeli di una religione monoteista nata in India circa 500 anni fa. Tra le loro tradizioni religiose c’è tenere il capo coperto in pubblico con un turbante e portare con sé il “kirpan”, un coltello simbolo di fermezza e resistenza: quasi il 25 per cento dei sikh vive fuori dall’India, in particolare nei paesi anglosassoni.

Il predicatore trentenne Amritpal Singh Sandhu è stato ripreso dalle telecamere mentre sfuggiva agli inseguimenti degli agenti: sgusciato da un’auto, ha cambiato camicione e palandrana per giacca e pantaloni in una Gurudwara, luogo di culto sikh, facendosi dare da un sacerdote il suo turbante, obbligatorio per gli osservanti. Poi ha mangiato un boccone ed è sfrecciato via scappando in motocicletta. E da allora è scomparso e sembra imprendibile. Nella sua auto abbandonata hanno trovato un fucile e a casa sua una collezione di giubbotti antiproiettili ed armi automatiche.

E’ ricercato per il reato di “minaccia all’ordine sociale” dalla polizia in Punjab, la regione nord-occidentale dell’India al confine col Pakistan e negli ultimi giorni la polizia e l’esercito, indispettiti dai video della fuga, «per evitare fake news» hanno sospeso internet e l’invio di sms nella regione, lasciando 27 milioni di persone senza la possibilità di collegarsi. Così sono rimasti bloccati anche negozi, imprese, università e i pagamenti digitali, molto diffusi in India.

Sandhu, il più giovane di tre fratelli, fino all’estate scorsa lavorava nella ditta di trasporti di famiglia a Dubai dove molto probabilmente si è radicalizzato alla causa del Khalistan e sarebbe stato reclutato dal notorio Inter-Service Intelligence pakistano, l’Isi, che l’avrebbe addestrato in Georgia per destabilizzare l’India, con l’idea, si suppone, di creare «squadre suicide».

L’analista politico Malwinder Singh Mali ha affermato che c’era un senso di abbandono nel Punjab, che lo rendeva vulnerabile alle forze radicali. “Oggi il Punjab affronta un vuoto politico. Data la sfortunata storia dello stato, c’è rabbia e disperazione tra le persone stufe del sistema politico. Stanno cercando un eroe che possa risolvere i loro problemi”.

La scienza della de-estinzione riporta in vita animali estinti

Crispr-Cas9,

Milioni di anni fa i tilacini, noti anche come tigri della Tasmania, erano diffusi in tutta l’Australia. Queste creature, che erano grandi come i coyoti americani e simili a cani a strisce, sono scomparse dalla terraferma circa 2.000 anni fa anche se sono rimaste in Tasmania fino agli anni ’20, periodo in cui sono state abbattute dai colonizzatori europei che le consideravano una minaccia per il bestiame.

Andrew Paska, capo di un team di scienziati, insieme con la società di “de-estinzione” Colossal Biosciences mira a riportare in vita questo animale ma, grazie ai recenti progressi della genetica e in particolare all’avvento della tecnologia di editing genico Crispr-Cas9, il tilacino non è l’unica specie perduta che si prefigge di restituire a vita.

Anche quando si trova in buone condizioni, il DNA non è mai completamente integro poichè nel corso del tempo l’esposizione ai raggi UV e l’azione dei batteri scompongono il DNA in brevi frammenti e quindi quando il campione è molto vecchio non rimangono abbastanza frammenti da utilizzare. Per gli scienziati il compito di capire come i vari frammenti di DNA si incastrino tra loro risulta pertanto estremamente complesso in assenza di un riferimento certo.

Fortunatamente però un piccolo marsupiale delle dimensioni di un topo, chiamato dunnart, è stato in grado di fornirne un modello di riferimento poichè i dunnart e i tilacini condividono il 95% del loro DNA che non è cambiato molto nel tempo. Però anche conoscere il DNA di un animale non è sufficiente per riportarlo in vita. Pertanto in questo caso gli scienziati, per raggiungere l’obiettivo, hanno provveduto a modificare i geni del dunnart in modo da farli corrispondere con quelli del tilacino utilizzando il Crispr-Cas9, il metodo di editing del genoma vincitore del premio Nobel.

Il sistema CRISPR/Cas9 (si pronuncia crisper) si basa sull’impiego della proteina Cas9, una sorta di forbice molecolare in grado di tagliare un DNA bersaglio, che può essere programmata per effettuare specifiche modifiche al genoma di una cellula, sia questa animale, umana o vegetale. A seguito del taglio introdotto da Cas9, attraverso opportuni accorgimenti, è infatti possibile eliminare sequenze di DNA dannose dal genoma bersaglio oppure è possibile sostituire e modificare delle sequenze, andando ad esempio anche a correggere delle mutazioni causa di malattie. Quindi anche altre specie potrebbero essere riportate in vita e frammenti conservati di DNA di mammut lanoso, estinto circa 10.000 anni fa, che sono stati trovati congelati nella tundra artica rendono possibile che anche questo grande mammifero possa tornare in vita.

Tuttavia, la ricostruzione del genoma non è l’unico metodo che gli scienziati possono utilizzare per resuscitare animali estinti poichè è possibile clonare l’animale morto, prelevando il nucleo da una cellula intatta e trasferendolo poi nell’ovulo di un parente stretto vivente, nella speranza che si formi un embrione. La cellula deve essere però completa ed il problema è che, dopo la morte, si rompono rapidamente pertanto un animale come il tilacino, estintosi da molto tempo anni fa, non potrebbe essere riportato in vita in questo modo ma questa tecnica potrebbe essere utilizzata per le specie estinte di recente.

Bisogna considerare però che riportare in vita animali estinti pone dei temi di carattere etico in quanto ad esempio la reintroduzione di mammut e tilacini potrebbe sconvolgere gli ecosistemi esistenti poichè da quando questi animali si sono estinti, altri si sono evoluti e adattati in loro sostituzione e potrebbero subirne delle ripercussioni negative.

A causa dei cambiamenti climatici inoltre, gli ambienti in cui vivevano queste specie potrebbero essere cambiati drasticamente ed in effetti alcune delle piante di cui si nutrivano i mammut lanosi sono scomparse da tempo. Infine gli sforzi, anche economici, per riportare in vita specie scomparse da tempo potrebbero distogliere risorse utili a salvare quelle esistenti e persino aumentare il rischio di perdita di biodiversità.

La malattia del sonno (Hat) verrà debellata entro il 2030

La tripanosomiasi africana umana (Hat), nota come malattia del sonno, si trasmette attraverso il morso della mosca tse-tse La Hat è una malattia tropicale che può essere fatale se non trattata ed è presente in tutti i Paesi dell’Africa occidentale e centrale, con un particolare incidenza di casi nella Repubblica Democratica del Congo e quindi minaccia milioni di persone.

Nelle fasi precoci della malattia il tripanosoma si moltiplica nei tessuti sottocutanei, nel sistema ematico e in quello linfatico. Si può osservare un’ulcera dolorosa, che origina come papula per poi evolvere verso il nodulo, nella sede primaria della puntura della mosca tse-tse; nel giro di poche settimane vi è febbre, ingrossamento dei linfonodi, dolori muscolari e delle articolazioni, mal di testa e irritabilità.

Negli stadi avanzati il parassita attraversa la barriera ematoencefalica e invade il sistema nervoso centrale. Si parla allora di fase neurologica o meningo-encefalica della malattia. In generale, essa corrisponde alla comparsa dei segni e dei sintomi manifesti della malattia: modificazioni del comportamento, confusione, disturbi sensoriali e cattiva coordinazione dei movimenti. I disturbi del ciclo del sonno, che danno il nome alla malattia, costituiscono un’importante caratteristica del secondo stadio
della malattia. In assenza di cure, la malattia del sonno è mortale, nonostante siano stati segnalati casi di portatori sani.

Un recente studio ha confermato che una singola dose del farmaco acoziborolo, assunto per via orale, ha un’efficacia al 95% dopo 18 mesi dalla sua somministrazione indipendentemente dallo stato della malattia. Inoltre, a differenza dei trattamenti utilizzati oggi, l’acoziborolo non richiede ricovero del paziente né personale sanitario altamente qualificato e quindi potrebbe essere raggiunto l’obiettivo dell’Oms di eliminare la trasmissione della malattia del sonno entro il 2030.

Molte delle persone a rischio vivono in aree rurali remote dove c’è scarso accesso a servizi sanitari adeguati e quindi l’acoziborolo ha il potenziale per rivoluzionare il trattamento della malattia. Vengono eliminate così numerose barriere per le persone più vulnerabili alle malattie, come i trattamenti invasivi e le lunghe distanze che separano spesso l’abitazione da un ospedale o da una clinica. Inoltre può portare vantaggi nell’elaborazione di screening, che vengono fatti direttamente nei villaggi.

Nel corso dello studio sono stati reclutati pazienti da 10 ospedali della Repubblica Democratica del Congo e della Guinea. A 18 mesi dal trattamento, il 95% (159 su 167) dei pazienti con g-Hat in stadio avanzato trattati con acoziborolo era guarito poichè nessun tripanosoma, i microscopici parassiti che causano g-Hat, era presente nei fluidi corporei. Nei pazienti in stadio iniziale e intermedio, il 100% (41 su 41) era guarito. I dati sono stati anche confrontati con una precedente terapia, che prevedeva la somministrazione dell’acoziborolo assieme a un altro farmaco, il nifurtimox eflornitina (Nect), la cui efficacia era risultata pari al 94%.

Inoltre, gli effetti collaterali sono risultati minimi e tutti gli eventi sono risultati lievi o moderati. Nonostante gli ottimi risultati emersi dallo studio, gli autori riconoscono alcuni limiti, legati soprattutto alla mancanza di un numero sufficiente di pazienti utilizzati durante lo studio. Ma, vista la problematica e le difficoltà incontrate nello svolgere il lavoro di ricerca, è stato preferito un approccio un po’ più pragmatico e un po’ meno ‘scientifico’ per poter proseguire con successo sulla strada della zero trasmissione della malattia del sonno entro il 2030.

21 marzo 2023 Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie

Ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera,l’Associazione Libera celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. L’iniziativa nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e rivendica il diritto che venga ricordato con il proprio nome.

Dal 1996, ogni anno in una città diversa, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria e vengono recitare i nomi e i cognomi delle vittime innocenti delle mafie, non dimenticando le vittime delle stragi, del terrorismo e del dovere, come un interminabile rosario civile, per farli vivere ancora, per non farli morire mai.

La Giornata è riconosciuta ufficialmente dallo Stato, attraverso la legge n. 20 dell’8 marzo 2017 e il 21 marzo 2023 la Manifestazione nazionale si svolgerà a Milano.

Nei ricordi di ogni uomo….

Nei ricordi di ogni uomo ci sono certe cose che egli non svela a tutti, ma forse soltanto agli amici. Ce ne sono altre che non svelerà neppure agli amici, ma forse solo a sé stesso, e comunque in gran segreto. Ma ve ne sono infine, di quelle che l’uomo ha paura di svelare perfino a sé stesso, e ogni uomo perbene accumula parecchie cose del genere.

Fëdor Michajlovič Dostoevskij 

Fëdor Michajlovič Dostoevskij (Mosca 1821 – San Pietroburgo,1881) è stato uno scrittore e filosofo russo. Le sue opere più famose sono Memorie dal sottosuolo, Delitto e castigo, L’idiota, I demoni e I fratelli Karamazov e viene considerato un esponente dell’esistenzialismo e dello psicologismo.

I problemi irrisolti dell’Unificazione d’Italia

L’Italia ha il primato del più duraturo divario fra due aree, il Nord e il Sud, e invece di risanarlo spesso si attribuisce a una parte del Paese il merito dei progressi ottenuti e all’altra la colpa dei problemi irrisolti e dell’immobilismo come se questo non fosse il risultato di come l’Italia viene gestita da 162 anni.

Francesco Saverio Nitti, poi capo di governo nel 1900, diede alle stampe Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1896-97, dove si dimostrava che nel Mezzogiorno le spese statali non erano maggiori dei tributi raccolti e quindi denunciava lo squilibrio della spesa pubblica, che di fatto rappresenta i soldi di tutti gli italiani, e rendeva noto che dei 458 milioni spesi per le bonifiche, meno di tre era stato assegnati al Sud e così per tutto il resto. Anche oggi nella sola Lombardia circolano più treni che in tutte le regioni del Sud messe insieme e per le famiglie in difficoltà lo Stato spende 583 euro pro-capite a Bolzano e 6 euro a Vibo Valentia.

I Savoia ottennero la Sardegna nel 1720, con il trattato dell’Aia, e poi vararono il “Piano per la colonizzazione” che riduceva l’isola a “fattoria del Piemonte” con poco riguardo per il benessere dei cittadini residenti ed infatti, come si evince anche dalla lettura del libro La breve storia d’Italia – Dal Regno alla Repubblica (1861- 1946) del professor Francesco Cesare Casula, testo che mette in evidenza quanto fu sottratto ai sardi e in particolare ai ceti sociali meno abbienti. Infatti il commercio da e per l’isola venne dato in esclusiva a speculatori genovesi, su 40 concessioni minerarie solo una fu affidata ad un sardo e tramite le leggi “delle chiudende” e della “proprietà perfetta” venne consentito alla classe dirigente locale di appropriarsi delle terre pubbliche.

Le legittime proteste furono represse con stati d’assedio, plotoni di esecuzione itineranti, retate come per i mille di Nuoro, nella notte della “Caccia grossa” e nei testi dell’epoca i sardi sono citati con nomi di animali. Sorse un ciclo di studi per capire e correggere la condizione di svantaggio, che prese il nome di “Questione Sarda”e successivamente, quando quei metodi furono trasferiti nel Mezzogiorno, la “Questione” diventò più ampiamente “Meridionale”.

Quando l’esercito sabaudo invase il Regno delle Due Sicilie, per ridurlo a colonia, come raccontato anche da Antonio Gramsci e Nicola Zitara, aveva alle spalle già 140 anni di tecniche di repressione sperimentate in Sardegna. Lo stato sabaudo, che era come grandezza territoriale la metà delle Due Sicilie e in dissesto economico, riuscì così ad inglobarsi un territorio molto più grande. Di fatto i garibaldini, e dopo di loro i moderati piemontesi, giunsero in Italia meridionale con poche idee sulla concreta linea politica da seguire e privi di qualsiasi piano dettagliato riguardo a quello che avrebbero fatto una volta che avessero preso in mano le redini del potere.

Le “morti anomale” a Sud furono più di mezzo milione, come attestato dal censimento del 1861 in cui si dice anche che avvennero a causa della guerra nelle nuove provincie conquistate, e dieci anni dopo vi erano centinaia di migliaia di carcerati, quasi centomila i deportati e i militari borbonici morti in caserme e campi di concentramento detti di rieducazione, fra cui il forte di Fenestrelle, furono almeno 16mila,

Si stima che fra le migliaia di persone arrestate fra il 1863 e il 1865 circa i due terzi fossero contadini, e a queste azioni coercitive si aggiunse il fardello della leva e di una pesante esasione fiscale. Molte e complesse furono le cause del brigantaggio dopo l’Unità d’Italia ma alla base di esso vi fu soprattutto un grande disagio sociale, la triste realtà economico-sociale dell’Italia meridionale e precisamente l’estrema secolare miseria della classe contadina.

I provvedimenti adottati in questi anni per controllare e governare il Sud risultarono anche estremamente impopolari, tanto da eclissare interamente gli sforzi messi in atto in quegli stessi anni per migliorare l’economia meridionale con investimenti nella costruzione di strade e di ferrovie, così come i continui tentativi di dare istruzione ai poveri e di introdurre la riforma agraria.

Tutti questi problemi contribuirono a creare l’impressione che fra i governanti italiani e le classi più povere della società meridionale vi fosse un baratro. Fu così che il difficile incontro fra il Nord e il Sud negli anni successivi all’Unità generò una percezione della differenza tra le due realtà che assunse gradualmente il carattere di un fatto riconosciuto, fornendo una spiegazione per tutto quello che era andato storto in base a forti stereotipi negativi riguardo al carattere meridionale.

Il Risorgimento è fatto di luci ed ombre e per una storia più trasparente bisognerebbe fare come hanno fatto gli Americani che sono andati alla radice della contrapposizione fra Nord e Sud facendo i conti con la storia. In particolare per le masse contadine i Piemontesi operarono una politica di conquista ed annessione e di fatto un esercito straniero prese possesso con la forza del regno del Sud cercando di integrarlo senza averne compreso le questioni economiche e soprattutto l’anima e la storia.

Estinzione di massa alla fine del Cretaceo

La prova dell'inverno "da impatto" di 65 milioni di anni fa

Per la prima volta sono state trovate prove dirette che la caduta di un massiccio asteroide sulla Terra, avvenuta alla fine del Cretaceo fra 65 e 66 milioni di anni fa, fu seguita da un “inverno da impatto”, causato dalla diffusione nella stratosfera di polveri e aerosol che ridussero drammaticamente e per decenni la quantità di radiazione solare in grado di raggiungere la superficie del pianeta.

Il famoso impatto avvenne quando un asteroide largo circa 10 km si abbatté sulle acque della penisola messicana dello Yucatán in Messico e probabilmente l’evento innesco’ un’intensa attività vulcanica in tutto il pianeta. Inizialmente vi fu un aumento delle emissioni di anidride carbonica e un calo dei livelli di ossigeno negli oceani e poi accadde un rapido raffreddamento post-impatto.

Quella apocalittica collisione innescò inoltre un’estinzione di massa che eliminò più di tre quarti di tutte le specie, ad eccezione degli uccelli, lasciando dietro di sé un gigantesco cratere sottomarino noto come Chicxulub. Fu allora che circa il 76% delle specie e il 40% dei generi si estinsero, ponendo fine al regno dei dinosauri.

Recentemente alcuni ricercatori che stavano studiando una serie di pesci fossili morti in quell’evento hanno concluso che l’asteroide ha colpito durante la primavera dell’emisfero settentrionale. Ritengono inoltre che dopo pochi minuti dall’impatto, le rocce formatesi a quelle temperature estreme sono piovute per più di 1.600 chilometri fino al centro del cratere.

Sono stati trovati inoltre segni di un altro possibile cratere sottomarino al largo delle coste dell’Africa occidentale, che ha circa la stessa età di Chicxulub, che forse prova che un frammento dell’asteroide precipitato si sia staccato e si sia schiantato sulla Terra in un altro punto.

Dopo questo evento, i mammiferi si adattarono rapidamente per sfruttare le nicchie ecologiche appena lasciate libere, così come un singolo ramo di dinosauri che oggi sono meglio conosciuti come uccelli. Ciò ha reso possibile anche il successivo arrivo degli esseri umani.