
Gaio Giulio Cesare nacque il 13 luglio del 101 o il 12 luglio del 100 a. C. da un’antica e nota famiglia patrizia, la gens Iulia, che secondo il mito, annoverava tra gli antenati anche il primo e grande re romano, Romolo e discendeva da Iulo (o Ascanio), figlio del principe troiano Enea, figlio a sua volta della dea Venere.
Con l’espressione conquista della Gallia si indica la campagna di sottomissione dei popoli delle regioni che oggi formano l’attuale Francia, tranne la parte meridionale cioè la Gallia Narbonense che era già sotto il dominio romano dal 121 a.C., oltre il Belgio, il Lussemburgo, parte della Svizzera, Paesi Bassi e Germania, portata a termine da Gaio Giulio Cesare dal 58 al 51/50 a.C. e da lui narrata nel De bello Gallico, che resta la principale fonte per questi eventi.
Tuttavia, la guerra di Gallia non fu semplice per Cesare poiché i Galli opposero una feroce resistenza e sconfissero i romani in diverse occasioni. Lo stile del comandante fu però determinante per il trionfo romano e si può riassumere in tre parole: aggressività, velocità e rischio.
In questa guerra l’abilità di Cesare nel muovere l’esercito con grande rapidità ebbe un’importanza decisiva e gli permise di compensare il fatto di essere in netta inferiorità numerica rispetto agli avversari. Infatti durante la campagna del 57 a.C. contro i popoli Belgi, i Romani si scontrarono nei pressi di Bibracte con un enorme contingente di tribù belghe ma Cesare, per vari giorni, non iniziò una battaglia campale contro i nemici poiché valuto’ la loro incapacità di garantirsi il rifornimento di viveri.
Ma quando le tribù si dispersero per fare ritorno alle loro basi, Cesare agì rapido e guidò l’esercito dapprima contro la capitale dei Suessioni e poi contro quella dei Bellovaci, fino alla resa di entrambe le popolazioni. Subito dopo invase il territorio dei Nervi e, nonostante un loro attacco a sorpresa, li sconfisse. In questo modo egli, con un esercito di soli 40.000 soldati, riuscì a sconfiggere una coalizione che contava quasi 300.000 guerrieri.
Cesare non subì mai una sconfitta clamorosa anche se, in qualche occasione, sfiorò il disastro. Tra il 55 e il 54 a.C. condusse parte del suo esercito in due diverse spedizioni anche verso l’isola della Britannia ma sottovalutò il pericolo rappresentato dalle frequenti tormente estive nel canale della Manica. In entrambe le occasioni perse parte della flotta e fu sul punto di rimanere bloccato in Britannia, anche se riuscì a ritornare sul continente con la maggior parte del suo esercito.
Fortunatamente per Cesare, non dovette mai affrontare tutti i Galli in blocco, poiché questi erano divisi in oltre quaranta popoli diversi, che lottavano ferocemente tra loro per il potere e il prestigio, e Cesare ricorse alla propria esperienza maturata nell’ambiente romano per sfruttare queste divisioni.
Inoltre egli fu anche un fine ed eccellente motivatore delle sue truppe tanto che i suoi uomini si dedicavano anima e corpo a qualsiasi impegno, che fosse una marcia, un assedio o una battaglia. Bisogna considerare anche che l’esercito romano era il risultato delle riforme apportate mezzo secolo prima dal console Gaio Mario, marito di Giulia Maggiore che era zia di Cesare, ed era formato praticamente da professionisti sottoposti ad una disciplina molto dura.
Forse individualmente, i soldati romani non erano più valorosi o più forti dei loro avversari Galli ma sicuramente erano più addestrati e disciplinati. Per questo le unità romane erano più efficaci di quelle galliche in combattimento e, soprattutto, erano di gran lunga più capaci di superare situazioni avverse.
In occasione della battaglia del fiume Sabis, nel 57 a.C. i Belgi sorpresero i Romani mentre questi costruivano un accampamento fortificato e li attaccarono di sorpresa. Cesare diede ordine alle sue truppe di formare una linea di battaglia e i legionari si misero subito in formazione lì dove si trovavano, raggruppandosi attorno ai centurioni e agli stendardi più vicini. L’esito fu una schiacciante vittoria romana.
Invece, nonostante grandi atti di coraggio individuale, le unità galliche mancavano di coesione interna e della disciplina che avevano invece le unità romane e per questo furono sconfitte in gran parte delle battaglie campali.
Inoltre i centurioni garantivano l’unione delle legioni e ogni legione contava sessanta di questi ufficiali, al comando di una centuria di ottanta uomini. Da loro ci si aspettava che in combattimento dessero prova di coraggio e di sprezzo della morte davanti ai loro uomini ed evidentemente spesso si comportarono in questo modo, a giudicare dal numero elevato di perdite subite in alcune battaglie.
Ad esempio in Gallia nel 52 a.C. dopo un fallito assalto a Gergovia, la capitale degli Arverni, i Romani persero quasi 700 legionari e 46 centurioni, il che equivale a dire che i legionari avevano subito il 14 % di perdite a fronte del 76 % dei centurioni.
Il De bello gallico abbonda di episodi di eroismo da parte dei centurioni e ad esempio racconta di Tito Pullone e Lucio Voreno, ufficiali continuamente in competizione fra loro per dimostrare davanti all’esercito il proprio coraggio.
Nell’inverno del 54 a.C., i due centurioni romani facevano parte della legione che fu assediata nell’accampamento dai Nervi. Tito Pullone uscì dall’accampamento e affrontò da solo un gruppo di guerrieri nervi ma fu seguito subito dopo da Lucio Voreno. Combattendo valorosamente si salvarono reciprocamente la vita e riuscirono anche a rientrare all’accampamento.
Anche la superiorità tecnologica ebbe un ruolo determinante per la vittoria finale dei romani, in particolare per quanto riguarda la conquista delle città. La scienza militare romana conosceva molte tattiche e macchine d’assedio che si potevano utilizzare nell’assalto alle fortezze, come torri mobili, artiglieria e arieti. Prima i soldati realizzavano immense opere di circonvallazione per porre in isolamento le città attaccate, un lavoro per il quale erano particolarmente allenati per via della loro abitudine a costruire accampamenti fortificati in territorio nemico.
L’esempio più noto e più spettacolare di accerchiamento di una città gallica fu quello di Alesia. Per prendere la città dove con il suo esercito si era rifugiato Vercingetorige, il leader della grande rivolta del 52 a.C. contro il dominio romano, Cesare ordinò di accerchiarla con una circonvallazione di 16 chilometri.
Questa era formata da una muraglia con torri ogni 25 metri e protetta da due fossati, uno dei quali colmo d’acqua. Davanti ai fossati vi era una zona di trappole, come pali appuntiti conficcati in buchi del suolo e piccole punte metalliche nascoste tra l’erba. Al sopraggiungere di un esercito gallico di soccorso, Cesare costruì anche una linea di controvallazione di 21 chilometri, che doveva proteggere il suo esercito dagli attacchi dall’esterno.
Alla fine, Cesare sconfisse sia l’esercito assediato all’interno di Alesia sia l’esercito di soccorso e le fortificazioni romane ebbero un ruolo chiave nella vittoria. Senza dimenticare che i legionari erano molto pericolosi sia quando impugnavano la dolabra, o dolabella, un’arma che era metà piccone e metà ascia e veniva usata durante gli assedi, sia quando impugnavano il gladius, la spada corta.
I Romani ebbero successo in tutti gli assedi intrapresi, tranne quello di Gergovia, e anche se in diverse occasioni la situazione di Cesare e del suo esercito in Gallia si rivelò precaria tuttavia le vittorie e le conquiste di Cesare cambiarono per sempre la storia della Gallia e della stessa Roma.