Mentre la banda suonava

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L’ispettore Lawrence Donovan, avvolto nella veste da camera, si trova sprofondato nella molle poltrona posta davanti al caminetto e, contemplando la fiamma scoppiettante e calda, ripensa a quel giorno di fine marzo di tre anni addietro quando una chiamata improvvisa e concitata gli aveva fatto cadere dalle mani la cornetta del telefono.

Era la primavera del 1894 e tutta Londra, in particolare gli ambienti più alla moda di quei tempi, erano rimasti colpiti e sconvolti dall’assassinio di Lord Edward Brown. Era accaduto subito  dopo l’ora del tè mentre il tempo, imprevedibile e capriccioso come sempre,  regalava gli ultimi brevi sprazzi di luce che foravano il cielo coperto di nuvole rendendo tutti ancora più ombrosi ed infreddoliti.

Si era precipitato di corsa in carrozza alla villetta vittoriana in cui era stato rinvenuto il cadavere di Lord Brown che era fra i personaggi più ammirati negli aristocratici salotti londinesi.

Il cadavere giaceva scomposto per terra nella sua camera da letto sopra ad un lussuoso tappeto di forgia orientale. La giacca ed il gilet profilati di raso erano intrisi di sangue ed il viso, raggrinzito in una smorfia sbilenca, sembrava raccontare lo stupore che l’uomo doveva aver provato per quella mano che aveva deciso, senza alcun preavviso, la sua morte cruenta e prematura. La nera bombetta era rotolata per terra ed era finita sotto ad una poltrona. Anch’essa ormai aveva un aspetto spettrale e desolato.

Il colpo mortale era stato inferto direttamente al cuore e Lord Brown, che volgeva le spalle al suo assassino, era stato evidentemente colto di sprovvista mentre, come ogni sera, si stava accuratamente preparando per recarsi al suo club esclusivo per  bersi un generoso bicchierino di ottimo sherry.

Questa abitudine era anche una preziosa occasione per intavolare quelle solite quattro chiacchiere che, benchè prive di alcuna sostanza, riteneva indispensabili per rafforzare i legami con la sua cerchia di amicizie facoltose ed intrise dell’odore di quel denaro di cui si sentiva sempre più avido e mai pago.

Immobile nell’ingresso del salotto della casa, Lady Constance Brown fissava l’ispettore con sguardo dolce e smarrito. Il suo abito, chiuso attorno al collo con le maniche lunghe e le spalle cadenti, era privo di tutti quei drappeggi di pizzo e tulle che da tempo andavano tanto di moda fra le dame più eleganti e licenziose. Il volto mesto e cereo facevano risaltare il suo aspetto che appariva fragile ed arrendevole.

La moglie perfetta ed ideale, l’angelo del focolare lontano dalla corruzione della città e quindi la più appropriata per un uomo inquieto, appariscente e notoriamente vanesio come Lord Brown. Solo i capelli rossi scomposti e le pallide labbra tremanti facevano trasparire la passione ed il dolore che la laceravano dentro.

L’ispettore la contemplò commosso mentre udiva aleggiare in lontananza la musica allegra di una banda che suonava, probabilmente, sotto ad un gazebo in qualche parco non troppo distante.

Gli agenti di Scotland Yard si accingevano intanto a portare alla sede centrale Mary Butler la piccola e giovane cameriera, dagli occhi cerulei, arrivata pochi anni prima a Londra dal lontano e gelido Yorkshire.

Non volendo divenire una donna perduta, ella aveva deciso di combattere la propria miseria e, affamata ma pronta a sobbarcarsi ogni fatica, aveva trovato lavoro come domestica nell’agiata dimora dei signori Brown.

Aveva confessato subito la propria infamia e, torcendosi le mani arrossate dai troppi bucati, aveva tra i singhiozzi raccontato di aver pugnalato il padrone per i ripetuti rimbotti e riproveri che le rivolgeva. Era solito inoltre insultarla ed i suoi nervi fragili avevano ceduto, senza volere, improvvisamente.

Prima che gli agenti la scortassero fuori Lady Constance, dando prova di grande misericordia, la abbracciò pietosa per darle un ultimo conforto e riuscì a sussurrarle nell’orecchio:

“Mia cara, hai creduto veramente che in cambio del tuo sacrificio avrei allevato il vostro piccolo bastardo? Ora avete avuto entrambi quello che vi meritate!”.

La piccola Mary di colpo si accasciò svenuta tra le braccia del baffuto sergente Burton che, fuori forma e con i riflessi poco pronti, a mala pena riuscì ad afferrarla.

L’ispettore Donovan, assorto e pensieroso mentre continua a fissare sbadatamente come consuetudine la fiamma del camino,  stiracchia i piedi avvolti nelle calde pantofole e poi addenta una gustosa focaccina cosparsa di miele. Pensa, ancora adesso, che pagherebbe un penny per sapere che cosa avesse detto a Mary la dolce e compassionevole Lady Brown.

Lo scandalo del Collegio salesiano di Varazze

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Già a partire dalla fine dell’800 gli scandali legati a suore, preti e prelati avevano grande rilevanza per la stampa di area socialista e così faceva notizia tutto ciò che poteva riguardare la corruzione morale e materiale del clero.

Fra i tanti scandali che coinvolsero la chiesa in quell’epoca, spicca quello che coinvolse il collegio dei Padri salesiani di Varazze. Nella cittadina ligure vi era un collegio costruito a spese della comunità locale che venne venduto ai padri salesiani  al prezzo ridicolo di 40.000 lire. Inoltre i cittadini di Varazze dovevano a pagare prima 12.000 e poi 6.000 lire ai confratelli di don Bosco come contributo per le attività scolastiche.

Nel 1907 la signora Besson, figlia di un ex console francese presso il Regno di Sardegna, aveva avuto dal figlio Alessandro confessioni circa abusi sessuali subiti nel collegio di Varazze dov’era ospitato. La madre aveva obbligato allora il figlio a redigere un diario giornaliero dettagliato. Nel “Diario Besson” il ragazzo aveva raccontato di effigi del re distrutte, di messe nere tenute in “costume adamitico” e di atti sessuali fra i frati, le suore del vicino collegio di Santa Caterina da Siena ed alunni compagni.

Il diario del giovane riportava di fantasmi, che credeva anime dei trapassati, che apparivano nella notte invitando i ragazzi ad asportare dalle proprie case oggetti preziosi e denaro e di dare poi il tutto ai padri del collegio. Queste anime inoltre chiedevano ai ragazzi di compiere sacrifici, come prestare il proprio corpo o svegliarsi nella notte per pregare.

I ragazzi avrebbero avuto anche l’obbligo di assistere a messe tenute in strani abiti  in cui le preghiere erano centrate sul fatto che il Governo dell’Italia sarebbe dovuto essere consegnato al Papa e all’Austria; ed ancora erano stati costretti a vedere l’impiccagione di un fantoccio raffigurante il re e la distruzione di un ritratto raffigurante Garibaldi.

Subito era partita un’inchiesta ed il 30 luglio 1907 dalle prime indagini risultò che cinque ragazzi avevano subito violenze comprovate da certificazione medica che aveva riscontrato lesioni da sevizie. Verso sera fu spiccato un mandato d’arresto per il sacerdote trentenne don Giulio Disperati, insegnante presso il ginnasio e per il guardarobiere del collegio, Giovanni Lattuada. Nel frattempo una folla inferocita si era recata sotto le finestre del collegio urlando invettive contro i padri salesiani. Anche a Savona e La Spezia vi furono dimostrazioni anticlericali, sobillate anche dalle forze socialiste e laiche  radicate nelle due città portuali.

Giunse poi a Varazze la signora Besson per ritirare il figlio dall’istituto  ma fu minacciata dagli abitanti tanto da dover essere messa sotto la scorta. Il giorno successivo “Il Corriere della Sera” riportava che il Vaticano accusava gli  inquirenti di aver sottoposto i giovani “a una vera tortura morale da insidiosi interrogatori” e di aver estorto le confessioni anche con percosse. Le messe nere inoltre sarebbero state solo le messe da morto che vengono celebrate con le pianete nere.

La Segreteria di Stato Vaticano protestava anche contro la “vergognosa visita fatta da un medico scelto dagli interroganti” ed il Papa Pio X dichiarava di essere molto colpito dall’appoggio che il Governo aveva dato alla campagna anticlericale organizzata dalla massoneria e dal socialismo  e che “i rappresentanti del Governo hanno tenuto un comportamento ributtante di settari” .

Gli inquirenti interrogarono separatamente gli alunni del collegio ed emerse che alcuni di essi avevano confermato gli abusi denunciati dal giovane Besson. Fu spiccato un mandato d’arresto nei confronti del padre salesiano don Musso che però si era già dato alla fuga e qualche giorno dopo anche un altro padre salesiano inquisito, tal don Rolla, fece perdere le sue tracce.

Il Corriere della Sera del 2 agosto riportava una descrizione caricaturale e quasi lombrosiana del ragazzo Besson: “Egli ha circa 14 anni ed è un tipo speciale, degno dello studio di qualche scienziato. Ha tutte le caratteristiche esteriori del rachitico e dell’isterico: molto sviluppato di statura ha, come tutti i rachitici, le gambe eccessivamente lunghe, il busto corto ed esile, il torace pochissimo sviluppato, ha capelli biondi e alquanto lunghi, occhi non molto vivi, naso aquilino, quasi privo di setto nasale, terminante a punta e alquanto aguzzo. Parla a scatti e pare sotto l’impressione continua di una grande agitazione non giustificata“.

Intanto i disordini ed i moti anticlericali stavano assumendo proporzioni preoccupanti. e vi erano stati diversi casi di religiosi aggrediti con carabinieri e dimostranti gravemente feriti e con chiese saccheggiate.

A Roma furono appesi manifesti dai filoclericali con i quali si dava sostegno alla tesi secondo cui i fatti di Varazze altro non erano che manovre massoniche e socialiste atte a screditare l’Italia nei confronti dei Paesi esteri. In Parlamento ci furono invettive di deputati di una parte contro quelli dell’altra, comizi nelle piazze di tutta Italia dove gli esponenti dell’ala filoclericale attaccavano duramente tutti i politici contrari alla Santa Romana Chiesa.

A Firenze fu aggredito il noto astronomo padre Guido Alfani, a Milano don Guido Gondangelo, a Roma l’abate dei cistercensi, don Amedeo de Bie, fu oggetto di una sassaiola come anche il vescovo di Faenza. A Palermo Padre Pasta venne soccorso da un giovane operaio filoclericale armato di rivoltella, il quale lo salvò da un gruppo di socialisti inferociti.

A Sampierdarena una folla inferocita si diresse al convento dei padri salesiani con l’intento di appiccarvi fuoco. I dimostranti sfondarono il portone e furono gli stessi frati,  sparando sette colpi a vuoto, ad allontanare i manifestanti ma ci vollero un battaglione di alpini ed uno di finanzieri per disperdere i rivoltosi. Diversi collegi dei salesiani furono chiusi ed i preti fecero domanda per ottenere il porto d’armi.

La Chiesa sospese i pellegrinaggi previsti per il giubileo sacerdotale ed allora la Camera del Lavoro ligure indisse uno sciopero generale mentre invece le donne di Varazze organizzarono una marcia di sostegno ai padri salesiani. Il 5 agosto una nota dal Vaticano informava che la massoneria francese aveva speso in Italia circa 150.000 lire in quella campagna anticericale e sottolineava che i Besson erano francesi.

E così nell’estate del 1907 un ragazzo di quattordici anni fu ritenuto nel contempo un sognatore, un diffamatore e uno strumento della massoneria. Forse era solo un povero giovane molto stanco di essere vittima di abusi sessuali da parte dei padri salesiani del collegio di Varazze che, in quello stesso anno, ospitava anche l’allora undicenne Sandro Pertini futuro Presidente della Repubblica italiana.

Attacchi di panico

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La parola “panico” è correlata alla narrazione nella mitologia greca del “dio Pan”, metà uomo e metà caprone, che compariva all’improvviso  suscitando paura e scompariva poi velocemente, lasciando le proprie vittime in preda al terrore.

Anche l’attacco di panico è un episodio breve, intenso ed improvviso che provoca  ansia acuta, sintomi fisici e sensazione di terrore. I sintomi più frequenti sono la difficoltà respiratoria con sensazione di soffocamento, tachicardia o palpitazioni spesso associati a dolori al torace, sudorazione oppure brividi legati a sbalzi di pressione, rossore al viso o all’area del petto, capogiri con sensazione di perdere i sensi, tremori o intorpidimenti delle mani, dei piedi e del viso ed anche nausea e  sensazioni di chiusura alla bocca dello stomaco o di brontolii intestinali.

Nello stesso momento la persona può provare anche la sensazione di non essere parte della realtà,  di essere osservatore esterno del proprio corpo e dei propri processi mentali, di pensare che stia per avvenire qualcosa di terribile, paura di essere vicina alla morte o di rivivere qualcosa di già provato.

La durata di questo malessere acuto può andare da qualche minuto fino a crisi di circa mezz’ora e  gli effetti psicofisici sono debilitanti e la sensazione, dopo un attacco di panico, è di essere molto deboli, scoraggiati e confusi.

L’esclusione di una problematica fisica genera rifiuto ed incredulità e per questo il problema deve essere affrontato con l’aiuto professionale giusto e cambiando lo stile di vita. Senza opportuni trattamenti, l’attacco di panico può ripresentarsi e acquisire una frequenza media plurisettimanale o, nei casi peggiori, presentarsi anche più volte al giorno.

Talvolta alcune persone hanno attacchi di panico occasionali perchè associati a periodi di stress che tendono a non ripresentarsi se ci si allontana da situazioni stressanti. L’evitamento di tutte quelle situazioni considerate “a rischio”,  porta velocemente a sviluppare un problema definito agorafobia cioè  la paura di  frequentare ogni luogo pubblico dopo il ricordo di un attacco di panico avuto in tale contesto.

Se invece la prima esperienza di attacchi di panico si manifesta in contesti casalinghi si può sviluppare l’ecofobia, ossia la paura di star soli a casa sopratutto quando le persone  non hanno trovato un aiuto tra i parenti o i vicini. Spesso si genera così un certo isolamento sociale dovuto all’evitamento di un gran numero di eventi sociali, quali feste, cene, incontri in locali. Anche i rapporti di coppia possono essere gravemente compromessi poichè si genera dipendenza dal partner  che a sua volta si sente soffocato.

Non esiste una causa univoca e specifica di tale problematica ma essa si presenta spesso in persone in cui sono presenti fattori predisponenti o di vunerabilità quali eventi risalenti alla prima infanzia, tendenze al pensiero negativo, soglie fisiche più basse di reattività allo stress e tendenza caratteriale a preoccuparsi o agitarsi, rilevanza di fattori psicologici scatenanti e in particolare di perdite affettive o reali di persone significative.

Nelle donne il problema degli attacchi di panico sembra più frequente in ragione dei maggiori fattori di stress a cui sono sottoposte dal punto di vista ormonale e alla crescente complessità della moderna vita femminile, che impone una costante necessità di dividersi tra molteplici esigenze lavorative e familiari.

Un aspetto che tende a scatenare una nuova crisi di panico è costituito dall’iperventilazione, ossia da una tendenza a respirare in modo tale da introdurre una quantità d’aria nei polmoni superiore a quella normale, che in genere è di circa 4-6 litri al minuto.  La ventilazione polmonare serve ad immettere ossigeno ed espellere anidride carbonica e l’esecuzione di atti respiratori prolungati, veloci e profondi genera anche una emissione esagerata di anidride carbonica che è responsabile di capogiri, sensazione di debolezza e di instabilità, problemi respiratori. Un altro aspetto che favorisce la comparsa o l’aumento di crisi di panico è l’abuso di alcolici, di farmaci o altre sostanze stimolanti il sistema nervoso.

È opportuno innanzitutto imparare a collegare i sintomi ai fattori scatenanti, in modo da acquisire un certo controllo delle crisi e cambiare il proprio stile di vita, curare l’alimentazione, l’attività fisica, il riposo e la protezione della sfera psichica. È importante imparare anche tecniche per gestire l’ansia, come il Training Autogeno, il rilassamento respiratorio e tecniche di pensiero positivo.

 

I popoli che vogliono restare isolati

Una mappa delle tribù incontattate del governo brasiliano.

Nell’Amazzonia brasiliana abitano più tribù isolate che in qualunque altra regione del mondo e questi gruppi  sarebbero almeno 100. La loro decisione di non stabilire contatti con le altre tribù e gli esterni è quasi certamente il risultato dei disastrosi rapporti precedenti e del reiterarsi delle invasioni e della distruzione della loro foresta.

Per esempio i gruppi  che vivono nello stato di Acre sono probabilmente i sopravvissuti all’epoca del boom del caucciù, durante la quale molti furono ridotti in schiavitù. È probabile che i sopravvissuti siano fuggiti risalendo i fiumi ma i ricordi delle atrocità commesse contro i loro antenati potrebbero essere ancora molto forti.

Questi gruppi vogliono rimanere isolati e rispondono agli esterni e agli aerei che li sorvolavano scoccando contro di loro delle frecce o nascondendosi nel folto della foresta. Alcuni, come gli Awá, sono cacciatori e raccoglitori nomadi, si spostano costantemente e sono in grado di costruire una casa in poche ore per poi abbandonarla dopo qualche giorno.

Altri gruppi sono più sedentari, vivono in case comunitarie, coltivano manioca e altre piante nelle radure ricavate nella foresta e praticano caccia e pesca. Nello stato di Acre potrebbero esserci fino a 600 persone appartenenti a quattro differenti gruppi.

Gli uomini  isolati del territorio di Massacó, in Rondônia, potrebbero essere invece circa 300 e utilizzano archi e frecce molto grandi tanto che  è stato trovato un arco di oltre 4 metri. Questi archi sono molto simili per stile e dimensione a quelli della tribù dei Sirionó che vivono nella confinante Bolivia. Amano mangiare tartarughe perché in alcuni campi abbandonati sono stati trovati tumuli di gusci.

Tuttavia, altri gruppi sono giunti al limite dell’estinzione e vivono dispersi principalmente negli stati di Rondônia, Mato Grosso e Maranhão e sono i sopravvissuti ai brutali furti di terra compiuti da compagnie del legname, allevatori e altri invasori, che hanno preso di mira e assassinato molti dei loro famigliari. Una grave minaccia viene per loro dai progetti di costruzione di una gigantesca diga e di una strada, come previsto dal “programma di crescita accelerata” (PAC) del governo.

Le tribù isolate sono tutte estremamente vulnerabili a malattie come l’influenza o il comune raffreddore trasmessi dagli esterni, contro cui non hanno difese immunitarie e il rischio di ammalarsi costituisce per loro un buon motivo per evitare il contatto. Spesso succede che il 50% di una tribù venga annientata da malattie come il morbillo e l’influenza nell’anno che segue il primo contatto. La popolazione dei Matis è una di quelle che si sono dimezzate dopo il primo contatto.

Il loro isolamento non significa però che siano gruppi sconosciuti o che restino immutati nel tempo in quanto le loro culture e i loro stili di vita evolvono continuamente adattandosi ai cambiamenti circostanti. Molti gruppi hanno contatti occasionali, a volte ostili, con le tribù vicine.

Alcune tribù contano ormai pochi membri, esiste un gruppo che i suoi vicini, gli Indiani Gavião, chiamano Piripkura, cioè il “popolo farfalla” alludendo al modo con cui si spostano continuamente nella foresta. Parlano il tupi-kawahib, una lingua condivisa da numerose tribù del Brasile.

Quando furono contattati per la prima volta alla fine degli anni ‘80, i Piripkura contavano circa 20 individui. Dopo il contatto ritornarono nella foresta e, da allora, sono stati ristabiliti dei rapporti solo con tre membri della tribù. Nel 1998, due uomini Piripkura, Mande-í e Tucan, uscirono dalla foresta spontaneamente. Uno di loro era malato e venne ricoverato in ospedale.

Durante il breve periodo della malattia, l’uomo raccontò la sua storia e quella del suo popolo, che poco tempo prima era più numeroso ma fu poi massacrato dai Bianchi. Lui e il suo compagno cominciarono così a spostarsi da soli nella foresta sopravvivendo di caccia, pesca e raccolta.

Un’altra tribù che appartiene al gruppo dei Kawahiva anni fa era composta da una cinquantina di persone, ma oggi potrebbero essere di meno. Si pensa che abbiano smesso di avere figli perché costretti costantemente alla fuga dai tagliatori di legno e da altri invasori. Essendo sempre in movimento, non possono coltivare la terra e devono dipendere unicamente da caccia e pesca.  Le loro foreste sono costantemente invase dalle compagnie del legname, molte delle quali operano da Colniza, una delle città di frontiera più violente del Brasile in una delle regioni più deforestate dell’Amazzonia.

Nella valle Javari, lungo il confine tra Brasile e Perù, abitano sette popoli contattati e circa sette gruppi incontattati. Uno di questi gruppi, i Korubo, sono conosciuti nella zona come “caceteiros’ o “uomini clava” a causa dei grandi bastoni che utilizzano per difendersi. Esiste un gruppo di 30 Korubo che si erano separati dal gruppo principale che vive tutt’ora isolato evitando qualsiasi contatto con i gruppi che lo circondano.

Questi  popoli devono avere il diritto di decidere se vivere isolati oppure no e pertanto è necessario che la loro terra, cui hanno diritto secondo la legge nazionale e internazionale, sia protetta. Dovrebbero poter vivere in pace, liberi dalla paura dello sterminio e di contatti devastanti.

Isotta degli Atti e Sigismondo Pandolfo Malatesta

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Isotta (1432 – 1474) era figlia di Francesco degli Atti, ricco mercante la cui nobile famiglia veniva da Sassoferrato nelle Marche, poiché un ramo della famiglia si era trasferita nel Trecento a Rimini.

Nel 1445 il signore di Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417 – 1468), ventottenne e già al secondo matrimonio, notò Isotta ancora tredicenne o quattordicenne. Ella abitava vicino al Palazzo del Cimitero dove viveva in quel periodo il signore poichè il suo castello di Rimini  era in fase di restauro e ampliamento e pertanto lui era ospite presso il padre.

Isotta divenne l’amante del focoso Sigismondo nel 1446, dopo un anno di corteggiamento, e nel 1447 diede alla luce il primo figlio chiamato Giovanni che però morì solo dopo pochi mesi. La morte del bambino fu da lei vissuta come punizione divina per una relazione peccaminosa e per un certo periodo gli amanti evitarono di frequentarsi, ma col tempo il senso di colpa si attenuò ed il loro legame divenne ancora più forte. Sigismondo allora fece innalzare nella chiesa di San Francesco una magnifica tomba per onorare Isotta ed assicurarne la fama eterna.

Nel 1449 la moglie Polissena Sforza morì e nel 1456 i due amanti si sposarono. Da tale matrimonio Sigismondo non trasse alcun vantaggio politico-militare, per cui si può supporre che si trattasse di un vero e proprio matrimonio d’amore. Certo egli non fu sempre fedele e a volte fu esasperato dalla gelosia di Isotta, ma il legame profondo non venne mai meno.

Sigismondo volle celebrare questo amore, che fu cantato dai rimatori e dagli altri artisti della corte, facendo fiorire una celebrazione collettiva nota col nome di “letteratura isottea”.

Dalla loro unione nacquero altri figli ma sopravvisse solo Antonia che nel 1481 andò in sposa a Rodolfo Gonzaga e da questi fu uccisa, con le sue mani, nel 1483 perchè lo aveva tradito con un maestro di danza.

Ambizione e presunzione portarono Sigismondo a scontrarsi con Papa Pio II che decise di rientrare in possesso delle sue terre e pertanto sciolse i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà e scomunicò Sigismondo. Nel 1463 le truppe pontificie comandate dal conte di Montefeltro ripresero le terre lasciandogli solo Rimini.

Sigismondo morì di febbri nel 1468  a 51 anni dopo aver nominato suoi eredi l’amata moglie Isotta e suo figlio Sallustio. Essi governarono fino all’uccisione di Sallustio, l’anno successivo, per ordine di Roberto Malatesta, figlio illegittimo di Sigismondo, il quale  esautorando anche la matrigna assunse il controllo della città.

Isotta morì “di febbre lenta, aiutata da veleno” nel 1474 e su sepolta nel Tempio Malatestiano che era già pronto per lei da ben 25 anni.

Per quell’attimo

bty

Per quell’attimo di amore

che non vuoi afferrare

perchè ti aspetti ostinatamente

che io sappia ancora dare.

 

Per quell’attimo di gioia,

diluito in mezzo al niente,

che fluisce stanco

e si rivolta ebbro

dentro al tuo presente.

 

Per quell’attimo di noia

che decora la mia mente

mentre ti stringo forte,

colpisco duro contro il cuore

e poi chiudo gli occhi

e non mi accorgo più di niente.

 

Antonietta Barbara Giulia Faustina Angiola Lucia Fagnani e Ugo Foscolo

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Antonietta Barbara Giulia Faustina Angiola Lucia Fagnani fu figlia di  Giacomo Fagnani, Marchese di Gerenzano e Costanza Brusati dei Marchesi di Settala. Il padre amava dilapidare al gioco i denari di famiglia e la madre era una grande amante della moda, famosa per la sua eccentricità. Erano chiacchierate le sue capigliature alte anche fino a un metro sulla cui sommità troneggiavano frutta, fiori e uccelli.

Antonietta nacque a Milano nel novembre del 1778, era una donna colta, amante di  teatro, letteratura, poesia e parlava correntemente il francese, l’inglese e il tedesco. Quando compì sette anni il padre morì di sifilide e la madre le fece sposare nel 1798 Marco Arese Lucini dei conti di Barlassina, un fedele di Napoleone Bonaparte.

Lei è brillante e mondana, lui posato e rigoroso e pertanto la loro unione non era destinata ad essere felice. Il marito si dedicò presto agli impegni politici viaggiando tra l’Italia e la Francia e Antonietta cominciò a frequentare i salotti più in voga.

Nel 1801 la Fagnani conobbe in un palco del Teatro alla Scala Ugo Foscolo, considerato uno degli uomini più affascinanti dell’epoca. Foscolo le chiese di collaborare alla traduzione italiana dei Dolori del giovane Werther di Goethe, che sarebbe servita per la prima stesura de Le ultime lettere di Iacopo Ortis.

Iniziò così una relazione amorosa molto passionale e Foscolo le dedicò l’ode All’amica risanata, dopo che Antonietta rimase a letto per una lunga malattia. Lei però nello stesso periodo intrecciò altre relazioni finché Foscolo, follemente innamorato, non la colse in flagrante con un suo nuovo amante. Pare che lui, dopo violente scenate di gelosia, l’avesse presa anche a scudisciate ma questo non le impedì di lasciarlo.

Antonietta probabilmente dal Foscolo ereditò le malattie veneree che la tormentarono poi per tutta la vita, anche se si accusarono a vicenda del contagio, ma continuò a non rinunciare ad ogni mondanità senza peraltro che il suo matrimonio venisse mai messo in discussione. Dopo un soggiorno veneziano, lei frequentò la corte del Viceré Eugenio Beauharnais e divenne amica intima della sorella Ortensia, Regina d’Olanda.

Finita l’era napoleonica nel 1814 e arrivata la Restaurazione con gli austriaci, nonostante fosse sposata a un fedelissimo di Napoleone, riuscì comunque a farsi ammettere alla corte asburgica.

La Fagnani ebbe cinque figli: due morirono in tenera età, Margherita visse solo 30 anni e Costanza 19. L’ultimogenito Francesco, acceso bonapartista, appoggiò i moti carbonari e lei cercò di costringerlo a chiedere l’amnistia all’imperatore ma Francesco rifiutò e Antonietta gli tolse il mantenimento. Il figlio poi aderì alla Giovine Italia di Mazzini e nel 1839 sposerà, con grande sollievo della madre, la figlia di un generale dell’esercito austriaco.

Antonietta soffrendo molto per le malattie veneree  si trasferì poi a Genova, sperando così nell’aiuto di un clima più mite, e qui morì nel 1847. La sua salma venne poi trasferita nella chiesa di San Babila a Milano, a due passi dallo splendido palazzo Arese di corso Venezia dove aveva vissuto, poi abbattuto durante la guerra mondiale.

Stoffa intelligente


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Sembra che sia stata prodotta una stoffa intelligente capace di diventare più fresca quando fa caldo e di proteggere dal freddo quando è freddo perché i fili che la costituiscono sono sensibili agli infrarossi e si espandono o si addensano a seconda delle condizioni della pelle alla quale aderiscono.

Questa stoffa è stata  messa a punto dalla Università americana del Maryland in collaborazione con la cinese Xiamen University e potrebbe dare il via allo sviluppo di vestiti capaci di adattarsi autonomamente alle temperature del corpo.

La maggior parte dei tessuti riscalda perché intrappola il calore che il corpo  emana sotto forma di radiazione infrarossa, ma nessun tessuto era finora in grado di dissipare il calore. La prima stoffa capace di rinfrescare deve il suo segreto alla composizione delle sue fibre, basata su un materiale che assorbe l’umidità e da uno che la disperde, rivestiti da nanotubi di carbonio sensibili ai raggi infrarossi.

Di conseguenza quando fa caldo e si suda, le fibre del filato si restringono avvicinandosi fra loro aumentando la spaziatura tra l’intreccio del tessuto e questo fenomeno crea dei fori tra le fibre che permettono al calore di fuoriuscire. Quando invece fa freddo, le fibre si espandono, riducendo gli spazi vuoti e impedendo la fuoriuscita di calore.

Questa tecnologia deve essere ancora perfezionata prima che il tessuto possa essere commercializzato, ma si ritiene che possa essere messo presto sul mercato perché le fibre possono essere intrecciate e tinte con procedimenti industriali già disponibili.

La nuova tecnologia comprende un tessuto capace di adattarsi alla temperatura del corpo e di alterare la struttura dei filamenti che lo costituiscono ed il nuovo tessuto ideato è completamente diverso da quello utilizzato per i comuni vestiti.