” Chi ha la lingua troppo lunga, può inciamparci.”
Stanisław Jerzy Lec
” Chi ha la lingua troppo lunga, può inciamparci.”
Stanisław Jerzy Lec
Caterina Sforza (Milano 1463- Firenze 1509) fu una figlia naturale di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano e di Lucrezia che era la moglie di Gian Piero Landriani. Il nonno Francesco Sforza fu un grande condottiero che riuscì a sposare Bianca Maria, figlia di Filippo Maria ultimo duca della famiglia Visconti e pertanto divenne nel 1450 Duca di Milano. Anche il loro primogenito Galeazzo Maria, padre di Caterina, intraprese la carriera militare ma era considerato troppo impulsivo, prepotente e troppo distratto dalle battute di caccia, dai viaggi e dalle belle donne.
Caterina visse i primi anni della sua vita con la famiglia della madre naturale e solo nel 1466 si trasferì coi fratelli a corte dove vennero affidati alla nonna Bianca Maria e, in seguito, tutti e quattro furono adottati da Bona di Savoia, moglie legittima del Duca che li trattò con molto affetto.
Nel 1473 Caterina sposò Girolamo Riario nipote di Papa Sisto IV e a Roma si inserì rapidamente nell’ aristocrazia romana fatta di balli, pranzi e battute di caccia, alle quali partecipavano artisti provenienti da tutta Europa. Era ritenuta una delle donne fra le più belle ed eleganti e divenne una ricercata intermediaria fra Roma e le corti italiane.
Nel 1480 il Papa assegnò a Girolamo la signoria di Forlì e Imola dove egli attuò una politica di costruzione di opere pubbliche e di abolizione delle tasse. Nel 1484 morì però Sisto IV e a Roma vi fu un momento di gravi disordini e la residenza dei Riario, palazzo Orsini, fu assalita e quasi distrutta.
Caterina raggiunse a cavallo la rocca di Castel Sant’Angelo e la occupò a nome del marito, che ne era il governatore, decisa a consegnarla solo al nuovo papa. Il Sacro Collegio chiese a Girolamo di lasciare Roma, offrendogli in cambio la somma di ottomila ducati, il risarcimento dei danni subiti, la conferma della signoria su Imola e Forlì e la carica di capitano generale della Chiesa. Girolamo accettò e laciò Roma con Caterina.
Il nuovo Papa Innocenzo VIII confermò i patti ma lo dispensò dalla sua presenza a Roma. Nel 1485 Girolamo ripristinò i dazi, precedentemente soppressi nella sua signoria, inimicandosi in particolare il ceto artigiano e i proprietari terrieri. Nel 1488 venne ucciso da una congiura capeggiata dalla nobile famiglia forlivese degli Orsi e Caterina e i figli vennero fatti prigionieri.
Poiché la rocca di Ravaldino rifiutava di arrendersi, Caterina si offrì di entrare per convincere il castellano Tommaso Feo. Gli Orsi le credettero poichè avevano i suoi figli in ostaggio. Una volta dentro però, Caterina si preparò alla riconquista del potere incurante delle minacce ai suoi bambini. Una leggenda racconta che Caterina, stando sulle mura della Rocca, avrebbe risposto «Fatelo, se volete: impiccateli pure davanti a me – e, sollevandosi le gonne e mostrando con la mano il pube – qui ho quanto basta per farne altri!».
Caterina recuperò Forlì e di Imola e nel 1488 iniziò a governare in nome del figlio maggiore Ottaviano e per vendicare la morte del marito imprigionò i congiurati e anche tutte le donne della famiglia Orsi. Le case degli imprigionati vennero rase al suolo, mentre gli oggetti preziosi furono distribuiti ai poveri.
La giovane contessa revisionò il sistema fiscale , controllava anche tutte le spese e si occupava dell’addestramento delle sue milizie, dell’approvvigionamento delle armi e dei cavalli, del bucato e delle questioni casalinghe.
Nel 1492 morirono Lorenzo il Magnifico e il Papa Innocenzo VIII che fu sostituito dal cardinale Rodrigo Borgia con il nome di Papa Alessandro VI, che era anche il padrino di Ottaviano primogenito di Caterina. Si riaccesero gli attriti tra il Ducato di Milano e il regno di Napoli e nel 1494 Carlo VIII di Francia calò in Italia rivendicando Napoli.
Caterina sostenne re Ferdinando II di Napoli ma gli alleati napoletani al primo attacco dei francesi non la difesero e quindi finì per raggiungere un accordo con Carlo VIII. Il Re francese conquistò Napoli in soli tredici giorni e i principi italiani si riunirono in una Lega per cui Carlo VIII fu costretto a rientrare in Francia dopo la sconfitta di Fornovo.
La contessa si innamorò poi di Giacomo Feo, fratello ventenne del castellano suo fedele, e lo sposò in segreto per non perdere la tutela dei figli e il governo del suo Stato. Il marito però era temuto e odiato da tutti, anche dagli stessi figli di Caterina, e nel 1495 morì vittima di una congiura.
Nel 1494 Piero de’ Medici si era arreso al re Carlo VIII di Francia e il popolo fiorentino l’aveva scacciato ed aveva proclamato la Repubblica. Giovanni de’ Medici, ostile al cugino Piero de’ Medici, potè così rientrare a Firenze ed assunse il cognome di Popolano. Il governo repubblicano lo nominò ambasciatore di Forlì e commissario di tutti i possedimenti romagnoli di Firenze. Nel 1496 Giovanni giunse così alla corte di Caterina che lo sposò in terze nozze. Dal matrimonio nacque un figlio, chiamato Ludovico, che in seguito divenne famoso con il nome di Giovanni dalle Bande Nere.
Intanto i rapporti tra Firenze e Venezia andavano peggiorando e Caterina, che si trovava sulle vie di passaggio degli eserciti, si preparava alla difesa. Improvvisamente il marito Giovanni si ammalò e nel 1498 morì. L’esercito di Caterina riuscì ad avere la meglio sui veneziani che però aggirarono Forlì e raggiunsero Firenze da un’altra via.
Luigi XII, il nuovo re di Francia, vantava diritti sul Ducato di Milano e sul Regno di Napoli, e prima di iniziare la sua campagna di conquista in Italia, si alleò con i Savoia, Venezia e il Papa. Alessandro VI voleva costituire, con l’appoggio francese, un Regno in Romagna per il figlio Cesare Borgia e con una bolla fece decadere tutti i feudatari di quelle terre compresa Caterina.
Caterina iniziò subito ad arruolare e addestrare soldati poteva e ad immagazzinare armi e viveri ma gli abitanti di Imola aprirono le porte a Cesare Borgia che poi conquistò anche Forlì e pose l’assedio alla rocca e Caterina fu portata a Roma come prigioniera. Qui tentò di fuggire ma fu scoperta, imprigionata ed accusata dal papa Alessandro VI di averlo voluto avvelenare con delle lettere impregnate di veleno in risposta alla bolla pontificia che la deponeva.
Nel 1501 fu liberata ma dovette firmare la rinuncia dei suoi possedimenti visto che Cesare Borgia era stato nominato duca di Romagna. Nel 1503 con la morte di Alessandro VI, Cesare Borgia perse tutto il suo potere e Caterina richiese il feudo al Papa Giulio II. La popolazione di Forlì e Imola però preferì passare sotto il governo di Antonio Maria Ordelaffi. Nel 1509 Caterina morì a quarantasei anni di polmonite.
Caterina si occupò a lungo di erboristeria, medicina, cosmetica e alchimia e ha lasciato un libro composto da ricette che illustrano dei procedimenti per combattere le malattie e per conservare la bellezza del viso e del corpo. Sono i risultati dei numerosi “experimenti” chimici a cui Caterina si appassionò per tutta la vita.
“ Non rimpiango le persone che ho perso col tempo, ma rimpiango il tempo che ho perso con certe persone, perché le persone non mi appartenevano, gli anni si.”
Carl Gustav Jung
Nel 1495 avvenne la battaglia di Fornovo sul Taro, fra le truppe della lega degli stati italiani e quelle francesi che si erano ritirate da Napoli e in quella occasione vi furono le prime descrizioni mediche di una malattia del tutto sconosciuta.
Dapprima comparivano sugli organi genitali delle pustole che poi si diffondevano in tutto il corpo e la malattia poi provocava spesso la cecità e la cancrena delle cartilagini del naso, conducendo in breve tempo alla morte fra atroci dolori.
Questa malattia era già comparsa a Napoli nei mesi precedenti, durante l’occupazione francese, e per questo i francesi la chiamarono “mal napoletano” sostenendo di essere stati contagiati nella città, i napoletani invece la chiamarono “mal francese” perchè la ritenevano portata dalle truppe.
Si trasmetteva con i rapporti sessuali e si diffuse attraverso i movimenti dei militari e delle prostitute che erano al loro seguito. I marinai portoghesi la portarono poi in India nel 1498 e da qui la malattia raggiunse il porto cinese di Canton e il Giappone. La denominazione clinica ufficiale, cioè sifilide, si deve al medico veronese Gerolamo Fracastoro, che per primo parlò di invisibili germi come causa della infezione.
Una tesi sostiene che il batterio della sifilide venne portato in Europa nel 1493, al ritorno da Hispaniola, dai marinai che avevano seguito Colombo e una seconda tesi considera possibile che in Europa esistesse già un batterio imparentato a quello della sifilide, ma che fu certamente il germe americano a scatenare le prime epidemie.
Oltre che fonte di orribili menomazioni fisiche, essa fu nel XVI secolo un importante fattore di mortalità anche perchè per combattere la sifilide si facevano somministrazioni di mercurio, che però provocava gravi intossicazioni.
Nei Paesi industrializzati, l’incidenza della sifilide calò verso la fine del 1800, per poi avere un altro picco dopo la Prima guerra mondiale. Dopo la Seconda guerra, grazie anche al trattamento con antibiotici, la malattia ebbe una nuova riduzione ma recentemente la sua incidenza è di nuovo in aumento sia nei Paesi in via di sviluppo sia in Europa. Con 12 milioni, ogni anno, di nuovi malati nel mondo, la sifilide è, dopo l’Aids, l’infezione sessualmente trasmissibile con il più alto tasso di mortalità.
La sifilide oggi è ben curabile, specialmente se diagnosticata nella forma primaria, grazie alla penicillina che mantiene ancora la sua eccezionale efficacia o ad altri antibiotici specifici come le tetracicline.
In fondo non si hanno degli amici, si hanno soltanto dei complici. E quando la complicità cessa, l’amicizia svanisce.
(Pierre Reverdy)
Marta Felicina Faccio detta “Rina” (Alessandria 1876 – Roma 1960) era il vero nome della poetessa e scrittrice Sibilla Alberami. Figlia di Ambrogio Faccio, professore di scienze, e di Ernesta Cottino, casalinga, era la maggiore di quattro fratelli. Visse a Milano fino a quando la famiglia si trasferì a Civitanova Marche , dove il marchese Sesto Ciccolini aveva offerto al padre la direzione della propria azienda industriale
La sua vita si incrociò con la follia già a partire dal 1889 quando, ancora adolescente, assistette al tentativo di suicidio della madre che si gettò dal balcone di casa perché malata di depressione.
La quindicenne Rina fu poi violentata da Ulderico Pierangeli, un impiegato della fabbrica diretta da suo padre dove lavorava anche lei come contabile e rimase incinta. Fu costretta ad un matrimonio riparatore anche se perse il bambino. Rimase così intrappolata con un marito che non amava e in una cittadina della quale non sopportava il provincialismo. Nel 1895 Rina credette di trovare sollievo nella nascita del figlio Walter ma poi tentò, come la madre, di togliersi la vita.
Dal 1897 riuscì però a pubblicare i suoi primi articoli nella Gazzetta letteraria, ne L’Indipendente, nella rivista femminista Vita moderna e nel periodico, di ispirazione socialista, Vita internazionale.
Rina si impegnò nella lotta femminista cercando di costruire sezioni del movimento delle donne e partecipando anche a manifestazioni per il diritto di voto e per la lotta contro la prostituzione. Nel 1899 le fu affidata, dopo il trasferimento a Milano per via del nuovo lavoro del marito, la direzione del settimanale socialista L’Italia femminile e iniziò una relazione con il poeta Guglielmo Felice Damiani.
Dovette tornare a Civitanova, dove suo padre aveva lasciato la direzione della fabbrica a suo marito, ma nel 1902, per la difficoltà dei rapporti familiari e l’insofferenza per il luogo, decise di abbandonare marito e figlio e si trasferì a Roma. Si legò a Giovanni Cena che le suggerì sia il suo nuovo pseudonimo Sibilla Aleramo, preso da un verso di Carducci, sia la scrittura del romanzo Una donna.
Questo libro, pubblicato nel 1906, divenne un manifesto femminista ma Sibilla dopo pochi anni fuggì però da Cena e dal movimento femminista che riteneva troppo immobile. L’amore restava per lei al primo posto e rincorreva quello effimero, vorace, vizioso e lussurioso. Ebbe una relazione omosessuale con la giovane intellettuale ravennate Lina Poletti e poi altre con Giovanni Papini, Giovanni Boine, Clemente Rebora, Umberto Boccioni, Salvatore Quasimodo, Raffaello Franchi.
Nel 1916 incontrò Dino Campana, il poeta al quale sconvolgerà del tutto il già precario equilibrio mentale. Lei aveva quarant’anni, lui trenta e infuriava la Grande Guerra. Campana non era al fronte ufficialmente per una nefrite, ma in realtà per la malattia mentale che gli è stata diagnosticata appena quindicenne, causata dalla sifilide. A Marradi, il paesino dell’Appennino tosco emiliano in cui era cresciuto, lo chiamavano tutti “el matt”.
Si accese subito un amore pericoloso, violento, passionale e devastante che sfociava spesso in urla e nella violenza fisica. Campana, anche perchè colmo di gelosia per i numerosi amanti di lei, approdò infine alla completa follia.
Quando le cose precipitarono Sibilla lo accompagnò da uno psichiatra e nel 1917 lui entrò in ospedale per curarsi ma quando stette meglio andò a cercarla. Lei si spostava da una città a un’altra, accentuando la disperazione di lui.
Nel 1918 Campana venne internato in manicomio dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1932. Lei non lo cercò e continuò a cercare l’amore. Nel 1936 si unì allo studente Franco Matacotta, di quarant’anni più giovane di lei, a cui rimase legata per 10 anni fino a quando lui si sposò.
Nel 1946, finita la guerra, si iscrisse al PCI e iniziò una intensa attività di impegno politico e sociale, fece lunghi viaggi nei paesi dell’Est e collaborò con Case del Popolo e circoli ricreativi. Nel 1947 pubblicò tutte le sue poesie nel volume Selva d’amore, a cui seguì, nel 1956, la raccolta: Luci della mia sera. Morì a Roma nel 1960 dopo una lunga malattia.
La scrittrice aveva rivisto il figlio solo trent’ anni dopo averlo lasciato anche perchè lui si era sempre rifiutato di incontrarla dicendo: ”della mamma avevo bisogno quand’ero piccolo”. Le scrisse una volta sola per informarla della morte del padre e nel 1933 ci fu un incontro tra i due che lasciò Sibilla delusa e amareggiata. Si rividero nel 1947 e poi nel 1860 in ospedale il giorno della sua morte.
Sibilla, bellissima ed erudita, non aveva mai tenuto conto delle regole sociali e l’amore era stata la forza motrice della sua esistenza. L’amore più intenso era stato quello provato per Dino Campana perchè il sentimento travolgente che cercava non avrebbe potuto darglielo nessun intellettuale da salotto ma solo un giovane poeta barbaro, forse inconsapevole della sua genialità
Dal 1721 la Groenlandia, l’isola antartica più grande della Terra, era una colonia danese e fino alla prima metà del novecento era popolata soprattutto da indigeni Inuit che vivevano di caccia alle foche, non parlavano il danese ed erano flagellati dalla tubercolosi.
Il governo danese decise, all’inizio degli anni cinquanta del Novecento, di mettere in atto un Programma di rieducazione forzata dei bambini groenlandesi. Questo progetto, portato avanti insieme alla Ong Save The Children, si prefiggeva di migliorare le condizioni di vita della colonia danese attraverso la formazione di un’élite di persone più preparate che fossero in grado di governare meglio la Groenlandia.
Il governo chiese ai preti e agli insegnanti che si trovavano nell’isola di selezionare un gruppo di bambini fra i piu’ intelligenti, di età compresa fra i 6 e i 10 anni, da affidare successivamente a famiglie danesi. Arrivati in Danimarca i piccoli Inuit dovettero prima trascorrere l’estate del 1951 in una specie di campo estivo, a Fedgaarden, che di fatto era una quarantena che serviva ad accertarsi che non avessero malattie infettive.
L’anno successivo alcuni dei bambini “deportati”, vennero riportati in Groenlandia, mentre sei bambini rimasero con le rispettive famiglie adottive. Nel frattempo la Croce Rossa danese aveva istituito un orfanotrofio a Nuuk e qui vennero trasferiti i piccoli inuit di ritorno alla Danimarca. Nell’orfanotrofio era rigorosamente vietato parlare eschimese, la lingua groenlandese e i piccoli dovevano parlare forzatamente solo il danese.
Nel 1996 un giornalista danese scoprì i documenti che attestavano questo esperimento sociale e informò dell’accaduto tutti i bambini che ne erano stati coinvolti. Molti di loro da adulti divennero degli alcolizzati e morirono in giovane età o divennero senza tetto, dei disadattati. Insieme alla loro lingua persero anche la loro identità.
Nel 1998 la Croce Rossa danese ha chiesto scusa agli Inuit e nel 2009 lo ha fatto anche Save The Children ammettendo che si era trattato di una pesante violazione dei diritti fondamentali dei bambini. Solo il governo danese, nonostante le pressioni e le richieste da parte delle vittime, non ha mai riconosciuto la sua colpa.
Il Tempo che passa non muore, ritorna solo nell’Eternità
(Urszula Zybura)
Pamela Moore (New York 1937- New York 1964) è stata una scrittrice nota principalmente per essere stata l’autrice di un romanzo-scandalo che ebbe un clamoroso successo negli anni 50. Figlia di due scrittori che divorziarono pochi anni dopo la sua nascita, durante l’infanzia visse fra New York e Los Angeles e recitò in alcune compagnie teatrali. Poi nel 1956, studentessa di soli 18 anni, pubblicò il suo primo e più celebre libro Cioccolata a colazione.
il romanzo suscitò immediatamente molto clamore per la sua spregiudicata descrizione della disinvolta vita sessuale dei teenager americani degli anni 50. Affrontava infatti temi considerati allora scabrosi, come la precocità e promiscuità sessuale, l’omosessualità, l’uso eccessivo di alcol ed il suicidio giovanile. Probabilmente le vicende raccontate erano parzialmente autobiografiche e basate sulla vita della stessa scrittrice che fra i 15 e 16 anni aveva vissuto un’adolescenza allo sbando in seguito al divorzio dei suoi genitori.
Il romanzo ebbe un successo internazionale e divenne un famoso caso editoriale. In Italia uscì nel 1957 lanciato con la celebre frase «il libro di una ragazza, ma non per le ragazze» e mostrava in copertina una bottiglia semivuota di whisky. Divenne il “libro proibito” soprattutto fra i giovani e nel 1960 fu sequestrato per oscenità. L’editore Alberto Mondadori dovette affrontare un processo che si concluse con l’assoluzione solo nel 1964.
Dopo l’uscita del libro, la scrittrice si recò in Europa per un breve periodo, per promuovere il romanzo e poi per studiare alla Sorbona di Parigi. Negli anni seguenti la Moore scrisse altri quattro libri, ma nessuno ebbe il successo del suo romanzo d’esordio. Si sposò nel 1958 con un avvocato e nel 1963 ebbe un bambino ma pochi mesi dopo, all’età di ventisette anni, mentre stava lavorando al suo ultimo romanzo Kathy on the Rocks, la scrittrice si suicidò con un colpo di carabina.
“ Non essere giù perché la tua donna ti ha lasciato: ne troverai un’altra e ti lascerà anche quella.”