
In provincia di Reggio Calabria, sorge Pentedattilo, un piccolo borgo abbandonato e affascinante dell’area grecanica, che prende il suo nome dalla conformazione della roccia, il monte Calvario, sulla quale si innalza simile ad una mano gigante che però ora non è più interamente visibile a causa del crollo di alcune parti rocciose.
Pentedattilo nacque nel 640 a.C. circa ad opera di alcuni coloni greci, i Calcidesi, e nel periodo greco-romano era un fiorente centro economico anche perchè la sua posizione strategica di controllo sulla fiumara Sant’Elia, via che portava all’Aspromonte, lo rendeva un importante centro militare.
L’epoca bizantina ha rappresentato per Pentedattilo però un lungo periodo di declino causato dai continui saccheggi dei Saraceni ma con i Normanni di Re Ruggero d’Altavilla (sec. XII), il paese divenne uno dei possedimenti della famiglia Abenavoli. Nel 1589 il feudo fu venduto all’asta alla famiglia degli Alberti, insieme al titolo di marchesi; questi vi rimasero fino al 1760, quanto il feudo passò alla famiglia dei Clemente, già marchesi di San Luca, e da questi poi ai Ramirez nel 1823.
Nel 1783 un terremoto, che devastò gran parte del territorio reggino, rase al suolo gran parte del centro di Pentedattilo tra cui il castello chiamato delle 300 porte. Il terremoto ed alcune scosse successive contribuirono inoltre all’abbandono del borgo che diventò definitivo negli anni ’60 del novecento quanto iniziò un lento movimento franoso del territorio.
Il borgo di Pentedattilo ha ritrovato nuova vita a partire dagli inizi degli anni ’90 del novecento, quando volontari di tutta Europa lo fecero diventare un centro artistico e culturale. Oggi esistono piccole botteghe di artigiani che vendono dei loro prodotti: liquori, saponi artigianali, oggettistica tipica della zona.
Una leggenda narra che il barone di Montebello, Bernardino Abenavoli, avesse chiesto in moglie Antonietta, figlia del marchese Domenico Alberti, di cui si era innamorato e dalla quale era corrisposto. Il marchese Domenico promise a Bernardino la mano della figlia ma solo dopo che Antonietta avesse raggiunto l’età da matrimonio.
Morto il marchese Domenico, il figlio Lorenzo sposò la figlia del Viceré di Napoli, Caterina Cortez e al matrimonio giunse il Viceré accompagnato dalla moglie, la futura sposa e il fratello Don Petrillo Cortez. Don Petrillo si innamorò di Antonietta e chiese a Lorenzo di poterla sposare e il marchese Alberti acconsentì.
Il Barone di Montebello decise di vendicarsi e la notte di Pasqua del 16 aprile 1686, grazie al tradimento del servo Giuseppe Scrufari, si introdusse nel castello di Pentedattilo con i suoi uomini e uccise Lorenzo a colpi di archibugio. Furono uccisi anche quasi tutti i suoi abitanti, compreso un altro fratello di Antonietta di soli nove anni. Da tale massacro furono risparmiati Caterina Cortez, Antonietta Alberti, la madre Donna Giovanna e Don Petrillo Cortez. Quest’ultimo fu preso in ostaggio come garanzia contro eventuali ritorsioni da parte del Viceré.
Dopo la strage, Bernardino portò Antonietta a Montebello Ionico e la sposò il 19 aprile 1686. Il Viceré di Napoli inviò una spedizione militare ed attaccò il Castello degli Abenavoli. Fu liberato Don Petrillo e furono catturati gli esecutori della strage, le cui teste furono tagliate e appese ai merli del castello di Pentedattilo.
Il barone di Montebello, dopo aver lasciato Antonietta presso un convento a Reggio Calabria, scappò prima a Malta ed in seguito a Vienna dove entrò nell’esercito austriaco morendo poi in battaglia nell’agosto del 1692. Antonietta Alberti, il cui matrimonio fu comunque sciolto, finì i suoi giorni nel convento di clausura, consumata dal dolore e dal rimorso per aver causato la strage dell’intera sua famiglia.
Si narra inoltre che quando Lorenzo Alberti fu colpito a morte dal barone, poggiò la mano alla parete lasciando l’impronta delle cinque dita insanguinate tuttora visibile sulla rupe di Pentidattilo e indicata come “la mano del Diavolo”. Si racconta che nelle sere d’inverno, sia possibile udire il rumore degli zoccoli dei cavalli che da Montebello si avvicinano a Pentedattilo. Altri dicono che, sempre di notte, si odano per le vie del borgo le urla del Marchese Lorenzo Alberti e degli abitanti del suo castello brutalmente uccisi mentre altri giurano che, la notte del 16 Aprile di ogni anno, si vedano delle strane ombre in paese: madri con i bambini per la mano che corrono inseguite da persone col coltello che tentano di ucciderli.
Si dice anche che sulla roccia a forma di mano vi sia una maledizione destinata ad abbattersi sul paese e a distruggerlo completamente per punirlo di tutto il sangue versato e per vendicare i morti innocenti di quella triste vigilia di Pasqua del 1686.
Secondo un’altra leggenda esisterebbe, invece, un tesoro nascosto dagli Abenavoli, vecchi proprietari del feudo di Pentedattilo, nel centro della montagna. Un tempo un fantasma svelò a un cavaliere di passaggio che se fosse riuscito a fare cinque giri intorno alle dita della montagna, su un piede solo, questa si sarebbe aperta facendo riemergere il tesoro. Un cavaliere giunto dalla Sicilia riuscì a compiere ben quattro giri attorno alla mano e la montagna cominciò ad aprirsi ma, al compimento del quinto passaggio, quello riferibile al dito mignolo, un intero costone della mano crollò sul cavaliere e lo uccise.