
Aristide Gabelli (Belluno, 1830– Padova 1891) è stato tra i principali promotori del positivismo filosofico in Italia, anche se non ne condivise il materialismo e l’atteggiamento anticlericale, e contribuì alla trasformazione dei principi del positivismo in concreta pratica ed organizzazione scolastica.
Terminati gli studi nel 1854, per non prestare il servizio militare nell’esercito austriaco poichè il Veneto faceva parte dell’impero austro-ungarico, si trasferì prima a Firenze, poi a Torino e infine a Milano dove nel 1865 fu nominato direttore del convitto nazionale Longone.
Fece parte del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione fino al 1874, poi fu nominato Provveditore agli studi di Roma, carica che tenne fino al 1881, e divenne deputato nel 1866 e nel 1890.
Nelle sue opere ribadiva la convinzione che l’emancipazione delle masse popolari si possa realizzare mediante la scolarizzazione per cui, nel 1888, elaborò nuovi programmi per la scuola elementare al fine di adeguare la società Italiana a quella delle altre Nazioni Europee.
Secondo la sua visione la scuola, attraverso l’educazione, doveva formare dei cittadini consapevoli, preparati al nuovo e doveva divenire laica, conservando tuttavia gli insegnamenti religiosi limitati però alla semplice morale evangelica. Pertanto la scuola di base laica statale doveva essere obbligatoria per tutti, pur prevedendo anche l’istruzione classica riservata ai figli dei benestanti colti.
La scuola doveva preparare il giovane a saper osservare i fatti, insegnare a pensare, a trarre esperienza da tutto ciò che cade sotto i sensi, anziché apprendere aiutandosi solo con la fantasia.
L’utilizzo del metodo intuitivo, più importante degli stessi contenuti, doveva produrre alla fine del processo formativo un individuo capace di pensare con la propria testa. Egli criticava il nozionismo fine a se stesso in quanto le nozioni spesso, dopo un po’ di tempo, vengono in molta parte dimenticate mentre invece il modo di pensare dura tutta la vita e può essere applicato in tutte le azioni umane.
Il maestro elementare doveva evitare l’istruzione “parolaia e dogmatica”, e calare l’insegnamento nella realtà servendosi di materiali didattici tratti dalla vita di tutti i giorni, a cominciare dagli oggetti di uso comune, già familiari ai ragazzi.
L’alfabetizzazione popolare consisteva nell’insegnamento della lettura e scrittura come parte di un contesto in cui l’individuo parlava/descriveva ed affrontava sue esperienze concrete, innescando un processo di apprendimento naturale.
I programmi di Aristide Gabelli avevano pertanto il dichiarato obiettivo di formare lo strumento “Testa” intesa come capacità di analisi critica del reale e di proprio giudizio, importantissimo per evitare i condizionamenti sociali delle comunicazioni di massa. Ciò poteva avvenire solo attraverso la diffusione delle conoscenze e l’assiduo esercizio della riflessione durante la ricerca, l’esame e il giudizio dei fatti.
Gabelli affermò così l’idea di una scuola che deve non solo liberare l’individuo dall’ignoranza ma anche dargli l’abitudine a confrontarsi con la realtà, a ricercare la ragione delle cose. Questo per prepararlo a pensare autonomamente esercitando il proprio senso critico e mettendolo così in grado di partecipare alla vita sociale, civile e allo sviluppo economico del proprio paese.