Il topo

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Il topo è un piccolo roditore mammifero, appartenente alla famiglia dei Muridi e vive spesso a fianco degli uomini, che inconsapevolmente gli forniscono ampia disponibilità di cibo, salvo a cacciarlo appena ne percepiscono la presenza, in quanto arreca danni alle colture ed alle dispense, oltre a rendersi vettore di molte malattie.

Curioso e nello stesso tempo timoroso, tende ad assaggiare un gran numero di alimenti diversi e tale abitudine lo porta a rosicchiare praticamente di tutto: scatole, contenitori di vario genere, carta, cavi, tappezzerie, intonaci etc.,.

I topi adulti misurano una ventina di centimetri (10 cm di corpo ed il resto è coda) e pesano fra i 10 ed i 25 grammi. Il pelo corto e lucente, di colore bruno-grigiastro sul dorso e grigio chiaro sul ventre ricopre interamente il corpo, tranne zampe, orecchie, coda e punta del muso, che sono quasi del tutto glabre e di colore grigio-rosato. Il muso è stretto ed appuntito.

Gli occhi sono neri, lucidi e muniti di palpebre. Essendo un animale di abitudini crepuscolari e notturne, ha una vista molto limitata, probabilmente in bianco e nero. Il senso dell’udito è invece è molto sviluppato, il topo, infatti può udire frequenze fino ai 100 kHz e forse di più, quindi ben oltre la soglia degli ultrasuoni. Il topo comunica con i suoi simili  con squittii percepiti dall’orecchio umano oppure con ultrasuoni, che gli uomini non odono e che utilizza nella breve distanza.

L’olfatto è il senso più sviluppato del topo, il tatto è sostituito dai baffi, le sensibili vibrisse, che vengono utilizzate dall’animale anche per rendersi conto delle dimensioni degli cunicoli in cui si insinua.

I potenti denti incisivi a crescita perenne devono essere limati continuamente attraverso il rosicchiamento di superfici abrasive, se non facesse così, i denti crescerebbero a dismisura bloccandogli la bocca.

L’equilibrio del topo è assicurato dalla coda, lunga quanto tutto il suo corpo e ricoperta di scaglie cornee disposte ad anelli. Le scaglie gli servono per far presa ed arrampicarsi su superfici verticali, corde e persino vetri, e per tenersi in equilibrio anche durante il salto e la corsa. La coda è anche utilizzata per regolare la temperatura corporea, che viene controllata dilatandone o restringendone i vasi sanguigni.

Il topo è un animale crepuscolare e notturno, durante il giorno riposa in luoghi riparati. Non va in letargo e si adatta infatti molto bene ad ambienti freddi (purché vi sia disponibilità di cibo), al punto che sì è trovato bene a vivere anche all’interno di celle frigorifere.

I maschi sono territoriali e tendono a definire un proprio spazio all’interno del quale dominano su varie femmine e cuccioli. Per segnalare la propria presenza i topi usano segnali olfattivi e marcano il territorio con urina e feci. Queste ultime, lunghe circa 3 mm e di colore nero, sono il segnale visibile, anche all’occhio umano della loro presenza, mentre l’urina (in particolare quella dei maschi) ha un forte odore dovuto alla presenza di numerosi composti chimici.

E’ un animale onnivoro: in natura mangia soprattutto prodotti vegetali, come semi, frutti, radici, foglie e steli, ma anche piccoli insetti. In ambiente antropico si nutre pressoché di qualsiasi alimento disponibile, persino di colla e sapone e predilige la cioccolata ed il burro di arachidi, ricava l’acqua di cui necessita dal cibo.

I topo raggiunge la maturità sessuale tra le 5 e le 6 settimane di vita, mentre la gestazione è di circa 20 giorni. Le femmine sono in grado di accoppiarsi nuovamente subito dopo aver dato alla luce i piccoli, il cui numero per ogni parto è compreso tra 4 ed 8.

Domanda : ciascuna femmina, in condizioni normali, può avere quanti parti all’anno?

Berenice

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Berenice nacque intorno al 267 a.C.  in Cirenaica , in nord Africa, dove il padre Magas era governatore per conto del re d’Egitto Tolomeo I. Quando questi morì Magas  cercò di attaccare l’Egitto di Tolomeo II ma, fallito questo tentativo, per riconciliare i due regni Berenice venne promessa in sposa all’erede egizio Tolomeo Evergete.

Alla morte del padre, la madre Apama II fece invece sposare  Berenice con Demetrio il Bello , figlio del re di Macedonia per allontanare la Cirenaica dalla sfera di influenza tolemaica. Berenice, però, fece assassinare il marito dopo solo un anno di matrimonio poiché aveva scoperto la relazione amorosa tra lui e la madre.

Ella sposò poi il suo precedente fidanzato Tolomeo, che nel frattempo era asceso al trono egizio nel 246 a.C. Quasi subito dopo le nozze il faraone partì per la terza guerra siriaca e Berenice dedicò una ciocca dei suoi capelli alla dea Afrodite per aupicare un sollecito ritorno vittorioso del marito. In seguito alla sparizione della ciocca, nacque la leggenda che i capelli della regina fossero diventati la costellazione chiamata in seguito Coma Berenices.

Con Tolomeo ebbe almeno quattro figli: Tolomeo IV, Magas, Arsinoe III e Berenice.  Dopo la morte del marito nel 221 a.C.  Berenice fu fatta uccidere dal figlio Tolomeo nel timore che potesse dare il trono al fratello Magas.

Domanda: In quale anno fu scoperto l’asteroide 653 BereniKe,che prende il nome da questa regina?

Adolescenti omicidi

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Parricidi e matricidi da parte di adolescenti nascono nel contesto familiare che dovrebbe essere il luogo degli affetti e, proprio mentre la tv propone spot di famiglie armoniose, vengono invece a galla risentimenti, inadeguatezze, umiliazioni e rivalse.

Ogni percorso familiare è una storia a sé ma  questi episodi sono accomunati da un filo rosso: l’analfabetismo dei sentimenti cioè l’incapacità di riconoscere e gestire i sentimenti, soprattutto quelli negativi.

Oggi educare è divenuto  sempre più complesso e gli atteggiamenti dei ragazzi diventano sempre più trasgressivi e, attraverso l’abbigliamento, il taglio dei capelli, il piercing, i tatuaggi ed altri dati esteriori, rimarcano le loro differenze rispetto agli adulti. Questi modi di proporsi accrescono le difficoltà di mantenere un canale comunicativo intergenerazionale.

Dare regole è necessario per offrire un sostegno adulto in grado di affiancare i ragazzi nella loro crescita. Perché di regole e di limiti gli adolescenti hanno bisogno, nei forti cambiamenti biologici ed emotivi e nelle travolgenti altalene emozionali legate alla crescita e al processo di transizione verso un’età adulta dai contorni ancora indefiniti.

Sono necessarie non imposizioni indiscusse, ma “guide” affettuose e autorevoli per rimanere un punto di riferimento educativo anche se spesso è molto difficile per i genitori affrontare fenomeni complessi quali il bullismo o l’uso di alcool e sostanze stupefacenti.

L’educazione emotiva è quindi il primo passo e significa innanzitutto porsi nelle condizioni di saper ascoltare, riconoscere ed  esprimere la propria vita emotiva. E soprattutto implica la capacità di assumersi la responsabilità delle scelte che si compiono in conseguenza di ciò che si prova.

Il vero nodo non è quello di provare un sentimento anche ostile, violento, negativo, rancoroso, ma quello di riuscire ad ascoltarlo, a riconoscerlo, a cercare di scoprirne il senso e quindi di scegliere e decidere il comportamento conseguente.

Gli adolescenti che hanno effettuato degli omicidi sono caratterizzati da alcuni aspetti psicologici: sentimento di ingiustizia subita, anomalie nel processo di apprendimento, bassa soglia di frustrazione, incapacità di svolgere un ruolo, assenza di sentimento comunitario, incapacità di autocritica, bisogno di gratificazione immediato, aggressività sessuale, impulsività, volontà di essere punito e comportamento nevrotico.

I genitori dovrebbero cercare di leggere ed interpretare tali segnali e dovrebbero impartire  ai propri figli un’educazione non competitiva ma affettiva che contempli il saper dire di no, ma anche permettere loro di sbagliare, tenendo fermo che l’adolescenza è una fase evolutiva ed  è sempre stata conflittuale e caratterizzata dallo scontro generazionale tra figli e genitori.

Per quanto riguarda i genitoricidi, ad essere stati uccisi per mano dei propri figli sono stati, nella maggior parte dei casi i padri (6 nel 2009 e 14 nel 2010). I matricidi, invece, sono stati 8 nel 2009.

Domanda: quanti matricidi sono stati commessi nel 2010?

Teodora

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Teodora, nome che in greco, significa “dono di Dio” era una sovrana dell’Impero d’Oriente di eccezionale bellezza, affascinante, intelligente, astuta e , insieme a Cleopatra, la donna più amata e odiata dell’antichità. Sottoposta alle maldicenze degli storici , soprattutto del cronista Procopio che, spinto dal livore proprio perché le società del tempo non tolleravano le donna-protagoniste, è quella raffigurata nel mosaico della basilica di San Vitale a Ravenna.

E’ ritratta bella e altera, con la pelle chiarissima, gli occhi grandi e profondi, le labbra rosse, in testa un copricapo riccamente adornato e intorno al collo, lungo e sottile, una preziosa collana. Dopo cinque secoli continua a rimanere un mistero come, l’umile figlia di un guardiano di orsi, con un oscuro passato, di attrice in una compagnia di mimi e, secondo alcuni, anche di prostituta, sia riuscita ad ascendere al trono imperiale di Costantinopoli.

Teodora nacque nell’anno 500. Suo padre, che svolgeva l’umile mestiere nell’Ippodromo di Costantinopoli, ben presto morì. Bellissima e irrequieta, nella prima adolescenza intraprese la carriera di attrice mimica, che poi abbandonò intorno ai diciotto anni, per Ecebalo di Tiro, governatore della Pentapoli, ma  quando lui la lasciò decise di realizzare da sola il suo sogno.

Teodora si avvicinò al mondo religioso e teologico dei monosofiti e cominciò a disquisire sui grandi temi culturali dell’epoca, soprattutto sull’incarnazione del verbo, e sul dilemma che da sempre divideva il mondo cristiano, cioè se la natura di Dio fosse soltanto divina o anche umana, suscitando, così, ammirazione e rispetto.

A 22 anni, completamente trasformata, e con l’aiuto di Macedonia, un ballerino di Antiochia, e col sostegno della compagnia degli Azzurri, riuscì a conoscere Giustiniano (allora ancora console dell’imperatore Giustino, suo zio ), che aveva vent’anni di più e che fu acceso di ardente passione fino al punto di volerla sposare.

Pur avendo idee divergenti, ad esempio Teodora era monosofita, credeva nella natura esclusivamente divina del verbo, ed era di estrazione mediterraneo orientale e di cultura greca, invece Giustiniano non credeva alla natura divina, parlava latino ed era più proteso verso l’Occidente, entrambi già guardavano al mondo medievale ed insieme costituirono una coppia unica nella storia.

Teodora era una donna dell’antichità, era convinta dei ruoli di moglie e madre nella famiglia eppure influenzò fortemente il marito riuscendo a far emanare delle leggi che favorirono le donne, come l’eliminazione delle prostitute dalle strade e il riconoscimento del diritto di entrare nell’asse ereditario.

Dopo la sua morte, avvenuta dopo vent’anni di trono, su Teodora scese l’oblio, ma solo perché lo scrittore Procopio non fu tradotto fino al XVII secolo; da allora in poi non si è più smesso d’indagare sulla donna umile e povera che seppe assurgere al ruolo di sovrana e che, con la sua intelligenza e la sua energià, contribuì a regalare all’impero orientale il periodo più splendido del VI secolo.

Domanda: in che anno morì Teodora?

Il gelato

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Il gelato è un alimento antichissimo: ne parla perfino la Bibbia, quando racconta che Isacco offrì al padre Abramo latte di capra misto a neve. Quello industriale, invece, lo inventò a fine ’800 Jacob Frussel, un lattaio di Baltimora: invece di buttare il latte invenduto provò a congelarlo.

Il cono  si deve invece all’inventiva di un pasticciere che, durante la Fiera Mondiale di St. Louis del 1904, avendo terminato le coppette ebbe l’idea di servire il gelato usando le cialde prese da un banchetto vicino.

Il gelato con lo stecco, da mangiare per strada, è stato inventato dal cavalier Feletti, industriale torinese del cioccolato e proprietario della storica gelateria Pepino. Nel 1939 brevettò il Pinguino, un gelato alla vaniglia con una leggera copertura di cioccolato. Costava una lira, ccome il biglietto del cinema.

Se ci fosse una gelateria che offre tutti i gusti attualmente disponibili, la scelta sarebbe fra circa 600! I favoriti, però, sono sempre gli stessi: primo il cioccolato, col 27% delle preferenze, poi nocciola (20%), limone (13%) e fragola (12%).

La gelateria più antica d’Italia è il Palazzo del freddo Fassi, a Roma. È nata nel 1880 come bottega di ghiaccio e grattachecca (ghiaccio grattato a neve con l’aggiunta di sciroppo).

Il primo libro dedicato al gelato è il”De’ sorbetti e de’ bagni freddi “, pubblicato a Napoli nel 1775. Si tratta di un testo scientifico in cui l’autore  distingue i sorbetti in subacidi (alla frutta), aromatici (alla cannella, al cioccolato, al caffè) e lattiginosi (i nostri gelati).

Domanda: chi è il medico autore di questo libro?

La creatività

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L’uomo nasce creativo, ma la società lo obbliga a smettere di esserlo perchè la creatività crea disordine, mette in discussione quanto è già stabilito. È una sorta di caos allegro senza ritmo definito, per questo rappresenta un pericolo che fa saltare tutti gli allarmi mettendo in discussione la certezza di quello che è ragionevole.

La creatività, l’assurdo e la pazzia sono generi della stessa specie: il pensiero divergente. Per questo l’educazione tradizionale ritiene che si tratti di un argomento da reprimere in maggiore o minor misura.

Si cerca di inculcare le conoscenze acquisite, una base a partire dalla quale, poi, si produrrà la creazione. Sempre su questa base e non fuori da essa. Ma questo non permette lo sviluppo di un pensiero creativo.

Si vuole capire se una persona è intelligente piuttosto che verificare che tipo di inteligenza possiede. Si preferisce formare persone che possano raccogliere e operare su un insieme di informazioni date, nel modo più giusto possibile e con uno spirito industriale con l’obiettivo  di produrre individui tecnocratici.

La ceatività si riduce così a un mero esercizio di innovazione, che ha sempre dei limiti precisi e pertanto viene rimproverata la persona che ha cercato di sviluppare quattro o cinque idee senza risultato.

Sembrerebbe che nel mondo ci sia posto per un solo modo di essere intelligenti. L’intelligenza che risulta “utile” alla produzione, quella che si adatta senza problemi al pensiero tecnico o scientifico. In ambito artistico ci sono curatori che sottopongono le opere ad un’attenta analisi per stabilire se hanno valore o meno, ci sono critici letterari che consacrano gli autori o li bandiscono dal panorama letterario.

L’intelligenza convergente  consacra un posto definito nel mondo del successo, chi ha invece una intelligenza  divergente e pensa in altri termini, i suoi ragionamenti e le sue elucubrazioni seguono un altro ritmo.

C’è la brutta abitudine di separare la realtà in scomparti, per renderla, apparentemente, più comprensibile: vi dicono che siete “emotivi” o che avete una “mente lucida”, come se le emozioni e l’intelligenza fossero frutti di alberi diversi.

Per questo la disapprovazione o il rimprovero possono trasformarsi in stupore, paura o blocco. “Non so cosa dire quando mi fanno domande” dicono gli  spaventati ribelli per spiegare il loro “insuccesso” scolastico.

Ecco perché gli esperti ritengono che la creatività è qualcosa che si impara soprattutto  nella maniera  più paradossale: attraverso l’errore.

Domanda: utilizzare molto i premi e le ricompense serve allo sviluppo della creatività?

L’odio

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Esiste l’odio latente, l’odio cosciente e l’odio giustificato. L’odio latente può avvelenare la vita di una persona ma solo fino a che rimane inconscio e rivolto contro a dei sostituti, ovvero verso dei capri espiatori.  Esso può mantenersi cristallizzato per tutta la vita e rappresenta una minaccia per il prossimo, ma in certi casi anche per la stessa persona che prova odio.

Solo se sono chiari l’entità del male e la persona che ci ha fatto del male la rivolta si indirizza verso quest’ultima e l’odio non viene rivolto verso persone che non c’entrano niente.  Col tempo, l’odio che per esempio si può provare verso genitori violenti potrà attenuarsi e anche scomparire per periodi più o meno lunghi, ma gli eventi della vita o il riaffiorare di ricordi da una nuova angolazione potranno sempre risvegliarlo improvvisamente.

Alcuni ringraziano i genitori per le botte ricevute o affermano di aver dimenticato da molto la violenza sessuale di cui sono state vittime e dicono di aver perdonato tutti questi “peccati” nelle loro preghiere, ma poi si scopre che allevano i figli in modo violento e/o li abusano sessualmente. I pedofili ostentano il loro amore per i bambini ma non sanno che in fondo si stanno vendicando per quello che è successo a loro quando erano bambini.

L’odio cosciente e reattivo invece, come qualsiasi sentimento, può affievolirsi una volta rivissuto  ma non si tratta di un’operazione che si fa in una sola volta.

Ad esempio l’entità dei maltrattamenti subìti dal bambino non si può misurare a colpo d’occhio. Si può fare solo nel corso di un lungo processo, durante il quale, uno dopo l’altro, i diversi aspetti del maltrattamento sono autorizzati a risalire alla coscienza, così che l’odio possa riemergere. Solo allora l’odio non è pericoloso. Si tratta di una conseguenza logica di ciò che si è subito un tempo, e che viene compreso in tutti i suoi aspetti solo più tardi dall’adulto, mentre il bambino ha dovuto sopportarne il peso silenziosamente negli anni.

Esiste anche  l’odio giustificato contro una persona che ci tormenta nel presente, sul piano fisico o psichico, una persona che ci tiene in suo potere e di cui non possiamo liberarci o di cui pensiamo di non poterci liberare. Fintanto che ne siamo dipendenti, o pensiamo di esserlo, non possiamo fare altro che odiarla. Sarebbe difficile immaginare un uomo che subisse torture e che non provasse odio verso il suo torturatore.

Nelle biografie dei martiri cristiani che sopravvissero alle torture troviamo descrizioni di malattie spaventose, che sono spesso malattie della pelle, a testimonianza della forza della loro rabbia soffocata.

L’odio è un sentimento, per quanto forte e vitale, e come qualsiasi sentimento ci dice che siamo vivi. Ecco perché bisogna pagarne il prezzo quando tentiamo di reprimerlo. Poiché l’odio ha qualcosa da dirci sulle nostre ferite ma anche su di noi, sui nostri valori, la nostra sensibilità e dobbiamo imparare ad ascoltarlo e a comprendere il significato del suo messaggio. Se ci riusciamo non abbiamo più da temere.

Se ad esempio odiamo la doppiezza, l’ipocrisia e le bugie, ci concediamo il diritto di combattere lì dove è possibile o di rifiutarci di frequentare persone che confidino solo sulla menzogna. Ma se facciamo finta che la cosa non ci tocchi, tradiamo noi stessi.

E’ quindi indispensabile chiedersi contro chi esattamente il proprio odio è in realtà diretto e vederne le ragioni. In questo modo ci diamo la possibilità di vivere in modo responsabile con i nostri sentimenti, senza respingerli e negarli.

E’ umano reagire interiormente in modo passeggero con la collera all’ingiustizia, alla pretesa, alla cattiveria o alla stupidità arrogante, fa bene avere accesso a tutti i propri sentimenti e in modo cosciente alla propria storia perchè ci danno la spiegazione dell’intensità delle reazioni. La presa d’atto attenua abbastanza in fretta questa intensità senza lasciare nel corpo gravi strascichi solitamente generati dalla repressione delle emozioni che non sono potute risalire alla coscienza.

Si può imparare a capire i propri sentimenti, a capirne le ragioni, a considerarli come una comunicazione di conoscenza anziché temerli come nemici da combattere. Poter capire e comprendere può aiutare ad attenuare i sentimenti che ci fanno del male e a lavorarci sopra per distaccarsene.

I nostri sentimenti non rappresentano un pericolo per noi e per chi ci circonda, il pericolo viene viceversa quando ci distacchiamo da essi per paura. Questo potrebbe produrre degli esaltati, dei kamikaze e persone che vivono fuori dagli schemi.

Domanda: in che anno è stato girato uscito il film cult “L’odio” di Mathieu Kassovitz con Vincent Cassel ?

L’amore

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La capacità umana di riconoscimento personale ha prodotto due attitudini nell’essere umano: l’empatia e l’amore. L’empatia è una capacità umana più sviluppata che in qualunque altra specie e che determina una maggiore attitudine all’amore.

Il legame di coppia rimodella l’architettura del cervello infatti  negli innamorati, così come nelle donne in gravidanza, i neuroni diventano più grandi così consentendo una maggior comprensione degli stati emotivi dell’altro. Dunque, siamo macchine pensate per amare e avere relazioni sociali.

Il termine  “amore” è in realtà il frutto di differenti fasi che un rapporto attraversa, prima di giungere a quello stadio. Gli studi neurofisiologici hanno confermato che nella fase iniziale del corteggiamento vi sono esperienze uniche riconducibili a particolari neurotrasmettitori.

Ecco dunque che durante il primo incontro con il corteggiatore, se lui ci piace, il nostro mesencefalo – l’area cerebrale che controlla i riflessi visivi e uditivi – inizia a rilasciare dopamina, un neurotrasmettitore che produce piacere ed euforia. E poi l’ipotalamo comanda al nostro corpo di inviare segnali di attrazione e di piacere.

Col proseguire del rapporto aumentano così  livelli di dopamina e si prova il desiderio di voler passare più tempo possibile insieme alla persona, nella quale si cerca di individuare quelle caratteristiche che possono farla diventare “il partner della nostra vita”, di solito colui che può proteggere, confortare e diventare un buon genitore per i nostri figli.

Poi si passa all’innamoramento e in questa fase vi è l’aumento di altri due neurotrasmettitori cioè la noradrenalina e la feniletilamina, che provocano insonnia, riduzione dell’appetito, senso di energia sconfinata che fa sentire invincibili. In questa fase emergono anche comportamenti che hanno un effetto calmante: si parla al proprio partner con il “baby-talk” dandosi nomignoli infantili e  ci si rapporta a lui con tenerezza.

L’ipotalamo nel frattempo stimola la produzione di ossitocina, nota come “ormone dell’amore”. L’ossitocina produce un forte senso di gratificazione emotiva e piacere fisico, che stimola sentimenti di tenerezza e calore, favorendo il mantenimento del legame amoroso e l’accudimento. E’ in questa fase che si cerca di verificare fino a che punto quel partner sarà adeguato per noi e si porrà come il nostro “rifugio” in caso di bisogno

L’organismo rilascia anche un altro neurotrasmettitore che non dà solo una sensazione di calma e appagamento, ma è anche collegato alla memoria e dà il senso della “territorialità” e quindi della gelosia .

Dopo un periodo che oscilla dai 18 ai 30 mesi dall’inizio della relazione però, il cervello si è assuefatto alle fenilanfetamine e inizia a non reagire più come prima, iniziando a produrre endorfine dalle quali deriva una sorta di “condizionamento dal partner“: il partner è colui che toglie la tensione, che ci fa sentire tranquilli e ci fa sentire “al sicuro”. E’ quindi finita la fase dell’innamoramento e iniziata la fase di amore vero e proprio.

L’innamoramento non è però solo un insieme di emozioni, di sensazioni, di percezioni, di impulsi come appare dagli studi neurofisiologici, ma un complesso processo in cui due individui entrano in relazione, si trasformano e creano una nuova società e un nuovo progetto di vita.

In inglese si suole dire “It takes two to tango” per indicare che per far funzionare qualcosa entrambe le parti devono darsi da fare.  Le tre maggiori componenti dell’amore completo   che tutti sognano, difficile ma non impossibile da raggiungere sono : intimità, passione e impegno.

L’ intimità si riferisce ai sentimenti di confidenza, affinità, condivisione e  determina nella coppia la tendenza a prendersi cura dell’altro e ad aprire all’altro i propri sentimenti.La  passione riguarda la fisicità e l’attrazione fisica e l’impegno consiste nel mantenere nel tempo la relazione.

 A volte una componente può prevalere rispetto alle altre e quindi ci si può basare su quelle più solide per rinforzare gli aspetti  temporaneamente  più fragili, cercando di ritrovare un equilibrio.
 Mantenere in atto l’amore perfetto non è un compito che ha un inizio e una fine, ma si tratta di un lavoro costante che dev’essere operato congiuntamente dalla coppia.
Domanda: come si chiama il neurotrasmettitore che non dà solo una sensazione di calma e appagamento, ma è anche collegato alla memoria e dà il senso della gelosia?

La paura

 

 

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La paura è un momento emotivo molto forte ed intenso che si scatena quando si ha la percezione di un pericolo reale o non. E’ una delle emozioni primarie, comune sia alla specie umana sia a molte specie animali.

La paura è un’emozione governata prevalentemente dall’istinto ed ha come obiettivo la sopravvivenza dell’individuo in una presunta situazione di pericolo che rappresenta un possibile rischio per la propria incolumità e di solito è accompagnata da un’accelerazione del battito cardiaco e delle principali funzioni fisiologiche di difesa.

La paura è una emozione che permette di  strutturare il mondo e aver paura spesso salva la vita perchè si evitano  rischi inutili anche se  non bisogna vivere sempre spaventati.

Se si è in grado di  controllare certe situazioni, la paura si allenta e la ragione riesce ad intervenire con soluzioni idonee. Invece in certe situazioni la paura finisce per essere terrore, soprattutto quando si pensa di non avere vie d’uscita.

Bisogna imparare fin da piccoli a valutare i modi per fronteggiarla infatti quando un bambino è molto piccolo si affida alle sue figure di attaccamento poi  crescendo deve imparare a contare su sé stesso.

Quando si ha paura il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio, quelli delle gambe, rendendo così facile la fuga e al tempo stesso facendo impallidire il volto, momentaneamente meno irrorato ed  il corpo si immobilizza,  anche solo per un momento, forse per valutare se non convenga nascondersi.

I circuiti dei centri cerebrali preposti alla regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di ormoni che mette l’organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all’azione e fissando l’attenzione sulla minaccia che incombe per valutare come reagire.

In realtà tutte le paure originano da quella paura fondamentale, dalla consapevolezza che  un giorno moriremo. Bisogna tentare di mantenere un pizzico di quel senso di onnipotenza che appartiene ai bambini perchè un bambino pensa di non morire.

Così come ci sono tante forme di paura, ci sono altrettante forme di coraggio. È necessario che la paura sfoci nel coraggio,perché il coraggio è qualcosa di calcolato e non sempre si manifesta nello stesso modo. Valutando la situazione, si può attuare una forma di coraggio che consista nel prendere immediatamente un’iniziativa o la capacità di saper aspettare il momento giusto per reagire.

Ogni età ha le sue paure. Il neonato alla nascita ha paura dei rumori forti, del dolore, ma, provenendo da un luogo buio, non ne ha paura. Intorno ai due, tre anni comincerà ad avere paura del buio , perché capisce che al buio ha un minore controllo della realtà. Quindi ha la paura non del buio, ma nel buio. All’età di due o tre anni non ha ancora paura dei mostri perchè  per rappresentarseli ci vuole una fantasia che ancora non c’è.

A quattro o cinque anni, il bambino comincia già a avere paura dei fantasmi,dell’uomo nero e così via e incomincia a sentire a farsi una prima idea della morte, soprattutto in caso di morte di una persona che lui conosce o anche di un animale a lui caro. A sette o otto anni può cominciare ad averepaura degli incidenti o dei ladri.

Un adolescente invece sviluppa paure inerenti al suo rapporto con gli altri. Deve essere più autonomo e fronteggiare tutta una serie di situazioni sociali e quindi spesso ha paura di fare brutta figura . Si tratta di paure sociali per un ambiente che ancora non controlla bene, perché anche in questo ambito bisogna acquisire delle competenze.

L’esperienza insegna, anche se talvolta è traumatizzante. Dopo una grande paura più si lascia passare il tempo, più c’è il rischio che s’ingigantisca a causa della nostra immaginazione. È questo che ci differenzia dagli animali, perché mentre loro vivono nel presente rispondendo istintivamente a uno stimolo, gli uomini hanno la capacità di rielaborare mentalmente le esperienze, di collegarle tra loro o di ingigantire un problema.

La paura è talvolta causa di alcuni fenomeni di modifica comportamentale permanenti: ciò accade quando la paura non è più scatenata dalla percezione di un reale pericolo, bensì dal timore che si possano verificare situazioni che sono vissute dal  con profondo disagio. In questo senso, la paura perde la sua funzione primaria, legata alla naturale conservazione della specie, e diventa invece l’espressione di uno stato mentale.

Domanda: come sono chiamati i fenomeni di modifica comportamentale permanente?

La cavalleria Mamelucca

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L’invasione dell’Egitto da parte di Napoleone Bonaparte comportò per l’orgogliosa  cavalleria dei Mamelucchi un brusco risveglio dal Medioevo perchè per la prima volta  conobbe il fuoco ordinato dei Moschettieri europei e dovette soccombere pagando un grosso tributo di sangue.

L’esercito mamelucco, sebbene numeroso, era equipaggiato in maniera antiquata con scimitarre, archi, cotte di maglia e vecchi moschetti, armi quindi, molto più primitive e inefficienti di quelle in dotazione all’esercito francese.

I Francesi spesso erano numericamente inferiori ma affrontavano le cariche arabe stringendosi con disciplina in ordinate formazioni a quadrato che arginavano senza troppi problemi gli urti coraggiosi dei Mamelucchi che si rivelavano inoffensivi.

Quando i generali di Napoleone riuscivano a spingerli alla battaglia gli esiti dello scontro erano praticamente già prevedibili, indipendentemente dal numero dei cavalieri.

I Mamelucchi scoprirono di essere molto più incisivi quando praticavano la guerriglia in quanto i loro ottimi cavalli li rendevano imprendibili ed il deserto sembrava inviolabile per i francesi.

L’ingegno francese ebbe però il sopravvento quando come contromisura furono formate colonne mobili montate su dromedari.

I vantaggi erano dati dal fatto che i dromedari erano capaci di lunghi inseguimenti nel deserto, i soldati francesi che provenivano dalla fanteria combattevano a piedi e si facevano scudo con il corpo del dromedario, la nuova unità non aveva uniformi, si vestiva con i pratici indumenti del luogo e usava non più la sciabola ma l’affilatissima e ricurva scimitarra mamelucca.

La Francia conquistò il Cairo ed il Basso Egitto segnando così la fine, dopo 700 anni, del dominio mamelucco in Egitto anche se dai primi del XVI secolo esso guidava l’Egitto in veste di feudatario degli Ottomani. I Mamelucchi erano, assieme all’ordine di Malta, che Napoleone aveva distrutto poco prima, le ultime vestigia dell’organizzazione politica e militare rimasta dalle crociate.

Domanda: le speranze di Bonaparte di una gloriosa conquista del Vicino Oriente  vennero però quasi completamente vanificate dalla vittoria dell’ammiraglio Orazio Nelson in quale battaglia?