l’île des Faisans o Isla de los Faisanes oppure Faisai Uhartea.


L’unica isola esistente che per 6 mesi appartiene a uno Stato e per i 6 mesi successivi a un altro Stato si chiama Isola dei Fagiani e Francia e Spagna sono i due Paesi che la gestiscono come fosse un appartamento in multiproprietà.

Si tratta di un’isoletta fluviale sita nel Golfo di Biscaglia che dal 1º agosto al 31 gennaio è sotto il controllo della Francia, nella municipalità di Hendaye e viene gestita dal comandante della base navale dell’Adour e da due delegati, che si fanno chiamare “viceré” e dal 1º febbraio al 31 luglio di ogni anno è sotto il dominio della Spagna, amministrativamente nel comune di Irun, che la esercita attraverso il comandante della base navale di Hondarribia.

Viene amministrata in questo modo da quasi 4 secoli, più precisamente dal 1659, quando con la pace dei Pirenei venne stabilito il confine franco-spagnolo anche se l’organizzazione odierna di alternanza risale all’Ottocento. Sull’île des Faisans o Isla de los Faisanes però non ci sono neppure i fagiani, cosa di cui si lamentò persino Victor Hugo quando raccontò il suo passaggio da quelle parti nel libro “En voyage (tome II)”con le seguenti parole:

Il n’y a pas de faisans dans l’île des Faisans, qui n’est qu’une façon de plateau vert. Une vache et trois canards représentent les faisans ; comparses loués sans doute pour faire ce rôle à la satisfaction des passants”.

” Non ci sono fagiani sull’isola dei Fagiani, che è solo una sorta di pianoro verde. Una mucca e tre anatre rappresentano i fagiani; comparse ingaggiate, senza dubbio, per interpretare questo ruolo per la soddisfazione dei passanti”.

L’isola dei Fagiani misura circa 210  m di lunghezza per 40  m nel suo punto più largo per un’area di 6.820  m 2 . Si trova sul fiume Bidassoa, 275  m a valle del ponte internazionale di Béhobie e circa 1,8  km a monte dei ponti ferroviari allo sbocco nella baia di Chingoudy. L’isola è un semplice deposito di alluvioni di piccola entità, che il fiume avrebbe fatto scomparire molto tempo fa se non fosse stato circondato da una palizzata e pietre a causa delle memorie storiche che le sono legate.Il confine convenzionale attraversa l’isolato stesso.

L’Isola dei Fagiani, nonostante sia disabitata e poco conosciuta, è un simbolo di pace tra le due nazioni fin dai tempi remoti e in particolare dal 1648, con il cessate il fuoco alla fine della Guerra dei Trent’anni e i profondi mutamenti degli assetti politico-economici europei. Già sede di un lazzaretto e zona franca adibita a luogo di scambio di prigionieri e, successivamente, scelto come territorio neutrale dove portare avanti i negoziati di pace e stabilire i nuovi limiti geografici del Regno di Francia e dell’Impero Spagnolo, l’isola è stata nei decenni successivi teatro di molti incontri diplomatici

Qui nel 1463 vi si incontrarono Luigi XI re di Francia e Enrico IV di Castiglia e nel 1526 Francesco I, fatto prigioniero da Carlo V nella battaglia di Pavia del 1525 venne scambiato con i suoi due figli. Nel 1615 gli ambasciatori francese e spagnolo fecero lo scambio di due fidanzate reali :Elisabetta figlia di Enrico IV re di Francia, promessa a Filippo IV re di Spagna e sua sorella, Anna destinata a Luigi XIII, fratello di Elisabetta e figlio di Enrico  IV .

Sull’isola inoltre, fino al 1659 di proprietà della città di Hondarribia, nel 1659 venne negoziato il matrimonio di Luigi XIV con Maria Teresa d’Austria, figlia del re di Spagna Filippo IV e di Elisabetta di Francia, contemporaneamente al trattato di pace dei Pirenei. Da qui l’altro nome dato a volte all’isola: “Isola delle Conferenze”. Nel 1660 Luigi  XIV e Filippo IV si incontrano di persona per la conferma del trattato e la conclusione del matrimonio.

Nel 1722 avvenne un nuovo scambio tra due principesse: Marie, Infanta di Spagna, di tre anni, promessa a Luigi XV, re di Francia di undici anni e Louise d’Orlèans di dodici anni promessa al futuro re di Spagna Luigi I. Nel 1723 Philippine d’Orlèans, di otto anni detta “Mademoiselle de Beaujolais”, figlia del reggente e fidanzata con il bambino Carlo di sette anni, venne portata sull’isola e consegnata al Duca di Osuna.

Passati circa duecento anni, a causa delle criticità del contrabbando e delle dispute tra i pescatori spagnoli e frances, riemerse la questione sulla sovranità dell’isola: il Trattato di Bayonne, nel 1856, sancì ufficialmente la bipartizione della reggenza sul territorio delle due nazioni. In vigore solo dall’inizio del secolo scorso, il regime di alternanza vede quindi tutt’oggi avvicendarsi le due proprietà.

Da un accordo nel 1901, l’isola è un condominio e da quella risoluzione del conflitto di confine, nessun evento di rilievo si è verificato sull’Île aux Faisans, a parte un tentativo di attraversare illegalmente il confine franco-spagnolo nel 1974 da un gruppo armatodell’ETA, che provocò la morte di un agente spagnolo e un attivista basco. Ai comuni l’onere di svolgere qualche semplice compito ordinario, tra cui il controllo della qualità delle acque e la manutenzione del sito. A dividere, ancora, nonostante la sovranità congiunta sia ormai assodata, la scelta del nome ufficiale: se per gli spagnoli è l’“isla de los Faisanes” e per i baschi la “Faisai uhartea” e per i francesi “île des Faisans”.

    Educazione e violenza fisica sui bambini

    Ogni 20 novembre, in ricordo del 20 novembre 1989, giorno in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite , ha approvato la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, si celebra in tutto il mondo la Giornata Internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

    La “pedagogia nera” sosteneva un modello educativo in cui legittimava la violenza e le punizioni poichè partiva dal presupposto che il bambino è portato ad assumere abitudini “viziose”che il genitore o tutore deve correggere e reprimere con il castigo. Con la punizione anche fisica, come unico strumento educativo efficace, si otterrebbe il risultato di trasmettere al bambino il messaggio che il rispetto delle regole è necessario e che la trasgressione comporta sanzioni e sofferenze. Dall’antichità fino all’Ottocento esercitare violenza fisica sui bambini era una prassi comune.

    Quintiliano nel I secolo d. C. raccontava che i pedagoghi romani si affidavano soprattutto alla classica tirata d’orecchie, ma fin dall’antichità, anche in Grecia, uno dei mezzi più utilizzati era la fustigazione e quindi anche Platone e Orazio furono frustati dai loro precettori.

    Nel Medioevo gli ecclesiastici, ai quali era delegata l’educazione, ricorrevano alla fustigazione per instillare nei bambini e nei ragazzi i precetti religiosi. Nell’XI secolo Eccardo, cronachista del monastero svizzero di San Gallo, raccontava nel 937 che gli scolari dell’abbazia, esasperati dalle punizioni, erano giunti a dar fuoco alla chiesa con i fasci delle verghe usate dai monaci per fustigarli.

    La punizione era legata anche alla visione religiosa del tempo, per la quale il bambino era un essere impuro perché figlio del rapporto sessuale e quindi un piccolo demone la cui volontà doveva essere piegata attraverso dure e crudeli punizioni.I bambini venivano quindi bastonati, presi a sberle e soprattutto fustigati. Nel libro dei Proverbi si legge: “Non risparmiare al giovane la correzione, anche se tu lo batti con la verga, non morirà“.

    Per Sant’Agostino ogni bambino era macchiato dal peccato originale e nel suo trattato La città di Dio affermò che in paradiso non ci sono bambini ed ammise egli stesso di ricordare quel periodo della sua vita “con riluttanza”. Non tutti i bambini venivano però puniti nello stesso modo e la quantità e le forme di punizioni variavano soprattutto in relazione alla classe sociale.

    Nel Medioevo tra i contadini le punizioni erano la prassi mentre sul corpo del principe non si poteva infierire perché era considerato sacro e al suo posto veniva punito il figlio del barone e quindi forse i bambini della piccola nobiltà prendevano più botte di altri. Ma a essere puniti con maggiore durezza erano gli “oblatini”, i bambini e le bambine che, dai due o tre anni, venivano donati dai genitori ai conventi per essere destinati alla vita religiosa.

    In genere erano figli dei più poveri, che speravano così di farli sfuggire alla morte per fame, ma venivano offerti per i motivi più svariati: per essere ricordati nelle preghiere oppure per risparmiare sulla dote e conservare intatto il patrimonio. Per loro il trattamento era pesante, tanto che qualcuno fuggiva.

    Le bambine venivano punite meno solo perchè erano sottoposte a controlli più rigidi in quanto era raro che potessero uscire da sole, venivano educate ai lavori domestici e abituate da subito al silenzio, all’obbedienza e alla sottomissione e spesso si sposavano prima dei dodici anni.

    Ma le punizioni per queste bambine considerate donne erano durissime se qualche loro comportamento, come l’aver guardato in un certo modo un ragazzo o essere state prese in braccio, andava a ledere l’onore della famiglia venivano rinchiuse in un convento e a volte venivano decapitate e poi bruciate.

    L’idea di infanzia venne rivalutata lentamente, a partire dal ‘400, quando la Bibbia e i testi sacri furono messi a disposizione, grazie alla stampa, di un maggior numero di lettori e, interpretate diversamente frasi evangeliche, finalmente l’infanzia divenne l’età dell’innocenza.

    Erasmo da Rotterdam, che per poco non abbandonò gli studi a causa delle dure punizioni ricevute, alla fine del XV secolo scriveva che i bambini potevano essere educati in modo diverso e che era importante capire la loro indole per aiutarli a crescere. Così la punizione fisica come sistema educativo cominciò a perdere colpi e nel ‘600 nelle famiglie e nei manuali le punizioni riguardarono soprattutto privazioni del cibo, dei giochi, della libertà. Però nei catechismi dell’epoca la punizione estrema per il bambino cattivo era l’inferno e il suo fuoco bruciante.

    Continuarono però le dure punizioni fisiche nelle scuole anche femminili. In Gran Bretagna durante l’età elisabettiana, alla fine del ‘500 e fino all’inizio del XX secolo, l’uso del frustino era una pratica usuale in qualsiasi scuola e soprattutto nelle istituzioni più rinomate come il collegio di Eton, dove nella spesa per le tasse scolastiche di ogni ragazzo era aggiunta mezza ghinea per la verga. Veniva utilizzata la ferula, un attrezzo costituito da un manico al quale erano legate strisce di cuoio o piccole funi e la punizione avveniva davanti a tutti perché doveva avere un effetto deterrente. A volte le punizioni nei collegi erano talmente severe da provocare la morte dell’alunno.

    Intorno alla metà del XIX secolo la pratica della fustigazione nelle scuole venne abbandonata per l’emergere del pudore vittoriano poichè l’esposizione del posteriore nudo era ritenuta indecente e immorale, soprattutto nel caso delle ragazze. L’alternativa della fustigazione sulla schiena o sulle spalle risultava però troppo pericolosa perché si rischiava di procurare traumi e ferite gravi. Così si passò alle bacchettate sulle mani, una pratica giunta fin quasi ai giorni nostri. In Italia, infatti, le punizioni corporali nelle scuole, dalle bacchettate all’obbligo a inginocchiarsi sui ceci, sono state proibite solo negli Anni ’70.

    Con l’Ottocento la famiglia, quando ispirata ai princìpi più progressisti, diventò un luogo caratterizzato da vicinanza e affetto e cominciò a diffondersi l’idea che per educare i bambini una severa ammonizione fosse più efficace di botte e schiaffi e il padre, che restava comunque una figura autoritaria, divenne progressivamente meno distante. Poi venne il Novecento, il secolo dei bambini e della pedagogia.

    Solo allora si affermò l’idea dell’infanzia come un periodo prezioso, delicato e irripetibile che pone le basi per il futuro anche se dalle punizioni corporali si passò però ad eccessi opposti. Nel 1948 il pediatra americano Benjamin Spock inizialmente consigliava un aperto permissivismo nei confronti dei bambini però, in seguito, rivide la sua teoria dichiarando che un’educazione priva di autorevolezza, se non di un minimo di autoritarismo, può avere effetti altrettanto devastanti.

    La galassia Andromeda, dopo la collisione con la Via Lattea, creerà la super galassia soprannominata Milkomeda o Milkdromeda.

    La Galassia di Andromeda è nota per avere un nucleo galattico molto attivo, con un denso ammasso di stelle vicino al suo centro ma che sembra mostrare una seconda concentrazione più luminosa appena fuori dal centro galattico.Ospita un buco nero supermassiccio al centro che probabilmente è il risultato delle stelle che si accumulano al perielio delle loro orbite ellittiche attorno al buco nero centrale.

    Alcuni scienziati hanno ipotizzato che questa Galassia andrà in rotta di collisione con la Via Lattea, evento che porterebbe alla creazione di una nuova super galassia soprannominata Milkomeda o Milkdromeda. Questa collisione dovrebbe però iniziare tra circa 4 miliardi di anni e il processo di fusione totale dovrebbe richiedere altri due miliardi di anni. In ogni caso non si può supporre se la fusione porterà Milkomeda a diventare una galassia ellittica o una grande galassia a disco.

    Andromeda ha molte più stelle della Via Lattea, circa dieci volte di più, però è meno attiva e produce un numero minore di stelle. L’età esatta della Via Lattea non è nota, ma ci sono parti che si ipotizza abbiano almeno 13 miliardi di anni e quindi potrebbe aver iniziato a formarsi molto prima di Andromeda. Ma il buco nero supermassiccio che è al centro di Andromeda fa impallidire il Sagittario A, il buco nero supermassiccio che si trova al centro della Via Lattea.

    Al momento non vi è certezza se vi siano altre forme di vita nella nostra galassia e quindi è ancora più difficile dire se potrebbe esserci vita, o le condizioni per la vita, in un’altra galassia. La Galassia di Andromeda è molto simile alla nostra e dato che si conosce almeno una stella nella Via Lattea che è in grado di sostenere la vita, statisticamente è probabile che tra i trilioni di stelle nella Galassia di Andromeda, ci possano essere fino a una dozzina circa di stelle con pianeti intorno capaci di ospitare degli essere viventi.

    Vedere la Galassia di Andromeda è relativamente semplice se ci si posiziona lontani dalle luci della città e si può vedere anche a occhio nudo inoltre alle latitudini medio-settentrionali è più o meno visibile tutto l’anno.

    E’ però molto debole e quindi per vederla bisogna individuare innanzitutto la costellazione di Andromeda, che si trova fra Pegaso, Perseo, Cassiopea e poi si deve puntare lo sguardo verso la stella beta di Andromeda, Mirach. Spostando poi lo sguardo verso nord-ovest, si individuano le due stelle che conducono alla macchia a forma di fuso allungato, nota col nome di Galassia di Andromeda. Il periodo ottimale per questa osservazione è quello compreso fra settembre e marzo.

    La vita scandita dall’alternanza tra la veglia e il sonno

    La nostra vita e quella degli animali in generale è scandita dall’alternanza tra la veglia e il sonno. Quando dormiamo viviamo due fasi: REM e non-REM, nella prima il nostro cervello crea sogni, mentre nella seconda è il momento in cui il corpo si rigenera. Per quel che riguarda gli uomini queste fasi mutano nel corso della vita: da neonati si trascorrono circa 16 ore a dormire, otto ore quando si diventa adulti fino a diventare circa 5,5 ore in età avanzata.

    La distinzione tra fase REM e non-REM si ritrova anche in alcuni mammiferi e alcune specie come le balene o i delfini che riescono a nuotare anche quando dormono e quindi il cervello è a riposo.

    Differenti per caratteristiche fisiche e “caratteriali” ogni animale ha bisogno di dormire per un periodo di tempo diverso:

    • Rettili: il loro sonno è caratterizzato soprattutto da fasi non-REM quindi anche se dormono molto, in realtà il loro sonno è superficiale
    • Pesci: simili ai rettili, non raggiungono mai un sonno profondo anche se hanno dei momenti in cui il ritmo della loro respirazione rallenta, chiudono gli occhi e si posizionano sul fondale
    • Mammiferi: la quantità di sonno di cui un mammifero ha bisogno dipende molto dall’età, dalle dimensioni, dall’ambiente e dalla sicurezza del luogo in cui si trova. Inoltre la differenza è dovuta anche all’ambiente in cui vivono, terraferma o mare. Quelli che trascorrono più tempo a dormire sono i pipistrelli Bruni (dormono circa l’82% della giornata). La tigre, il leone, il ghepardo e il gatto (tutti felini e predatori) superano le 10 ore di sonno giornaliere. Chi soffre di “insonnia” sono invece la giraffa (circa 1,9 ore) e l’elefante africano che non supera le 4 ore di sonno
    • Uccelli: hanno fasi REM più brevi rispetto ai mammiferi in cui la loro attività celebrale è ridotta. Diverso è il caso degli uccelli migratori che proprio durante lo spostamento riducono notevolmente la fase REM perché devono rimanere sempre attenti per proteggersi dall’ambente che considerano estraneo

    Tra gli animali da cortile, il coniglio mediamente dorme 11,4 ore, il cane 10,6 ore, il maiale 7,8 ore, la capra 5,3 ore, la mucca 3,9 ore, la pecora 3,8 ore, l’asino 3,1 ore, il cavallo 2,9 ore.

    Tra gli animali che dedicano al sonno più ore c’è il koala, il marsupiale australiano infatti passa dalle 20 alle 22 ore a dormire. Al secondo posto vi è il bradipo, mammifero placentare che si attacca con gli artigli ai rami e riesce a dormire anche 19 ore. Il Vespertilio Bruno, una particolare specie di pipistrello, invece, ama dormire anche 18 ore al giorno e dorme anche dopo il tramonto; inoltre, in inverno, va in letargo passando anche tre mesi di fila senza mai svegliarsi. Anche l’armadillo dorme per circa 18 ore al giorno, all’interno di tane sicure dalle quali esce solo di notte. Ed infine, tra gli animali più dormiglioni anche i gatti e alcuni di loro potrebbero dormire dalle 16 alle 20 ore al giorno

    Sia in natura che in cattività esistono poi vari animali che dormono in piedi. Questo meccanismo di riposo si è sviluppato per permettere all’animale di essere all’erta di fronte a qualsiasi tipo di pericolo, dandogli la possibilità di scappare più velocemente se attaccato. Si sa che gli animali sono tutti parte di catene alimentari molto complesse dove ciascuno è cacciatore e preda. A questo proposito non tutti gli animali che solitamente sono prede possono nascondersi o trovare un rifugio, per cui hanno sviluppato delle strategie che li proteggono, nel limite del possibile, oltre a permettere loro di riposare.

    Alcuni animali peraltro possono dormire sia distesi che in piedi anche se spesso sono costretti a distendersi a terra se vogliono raggiungere lo stato di sonno profondo, come nel caso dei cavalli. Mentre le mucche possono dormire in entrambi i modi, ma hanno bisogno di distendersi per ottimizzare il processo digestivo e produrre più saliva, cosa fondamentale per il loro benessere. Inoltre quando una vacca sta distesa migliora l’afflusso di sangue alle mammelle, aumentando la produzione di latte.

    Ciascuna specie animale che può dormire in piedi possiede differenti meccanismi anatomici che permettono di riposare in questo modo, mantenendo l’equilibrio, per impedire che cadano mentre stanno dormendo. I cavalli ad esempio sono in grado di farlo perché mentre dormono bloccano l’articolazione del ginocchio che sostiene quindi il peso solitamente supportato dai muscoli. Quindi rilassando i muscoli riescono a mantenere la posizione.

    Molti uccelli appartenenti all’ordine Passerifomae, come i canarini, i piccioni, le quaglie ed i corvi sono muniti di un tendine flessore ubicato nella zona posteriore delle zampe che si può allungare e tendere quando l’animale si piega per posarsi da qualche parte, dando la rigidità necessaria a stabilizzare il corpo. In questo modo il volatile rimane agganciato all’albero mentre dorme, evitando di cadere. Hanno il controllo su questo meccanismo e lo possono attivare con la volontà.

    Anche altri uccelli come i fenicotteri e le cicogne, dormono in piedi poggiandosi su una sola zampa per ridurre il dispendio di calorie quando la temperatura è bassa, complicando le cose quando si tratta di alzarsi in volo, ma quando non fa freddo dormono su entrambe le estremità. Il meccanismo in questo caso funziona perché l’articolazione della gamba si blocca quando si posano sul terreno evitando che il ginocchio dell’animale si pieghi. Quindi rimanendo rigida la gamba l’animale può mantenersi in equilibrio e dormire.

    Gli animali che possono dormire in piedi sono: alci, asini, bisonti, bufali, muli, cavalli, canarini, cervi, cicogne, elefanti, fenicotteri, fazzelle, galline, gabbiani, passeri, giraffe, gnu, piccioni, anatre, renne, rinoceronti, tortore, vacche, rondoni.

    Se per la maggior parte degli animali è stato possibile stabilire la quantità di sonno, per gli invertebrati che rappresentano il 98% del regno animale gli studi sono ancora in corso. Per alcuni si è stabilito che non hanno una fase di sonno vera e propria, ma solo di riposo, dedotta da alcuni cambiamenti fisici. Ad esempio i polpi e i calamari restringono le pupille, mentre le api assumono una posizione particolare.

    Differenza fra il disturbo bipolare e gli sbalzi di umore degli adolescenti

    Il Disturbo bipolare è un disturbo della personalità di cui soffrono alcune persone ed è caratterizzato da crisi che possono essere improvvise e durare qualche settimana e che manifestano grandi sbalzi d’umore.

    Alla base del disturbo bipolare sembrano agire vari fattori: genetici, biologici e ambientali. Risulta infatti più comune in coloro che hanno un membro della famiglia con la medesima condizione ma possono svolgere un ruolo centrale nella malattia anche degli squilibri nei neurotrasmettitori o negli ormoni che agiscono sul cervello. Anche eventi della vita come abusi, stress mentale o eventi traumatici possono altresì innescare un episodio iniziale di bipolarismo in una persona molto sensibile.

    Tra i disturbi psichiatrici, il disturbo bipolare è comunque tra quelli con l’ereditarietà più alta. Studi hanno infatti mostrato che esiste una probabilità del 10% di sviluppare un disturbo bipolare se in famiglia è presente un familiare con questa patologia, rispetto alla media della popolazione generale che è dell’1%.

    Studi condotti sui gemelli hanno mostrato che, in fratelli omozigoti che condividono lo stesso DNA, se uno dei due fratelli è affetto da bipolarismo, il gemello ha la probabilità del 40% di sviluppare il disturbo. Mentre per gemelli eterozigoti la percentuale scende sotto il 20%.

    Tra tutti i sintomi più o meno evidenti che caratterizzano il disturbo bipolare, quello principale è il susseguirsi di continui sbalzi di umore affiancati da cambiamenti nei livelli di energia, nelle abitudini legate al sonno, nella capacità di concentrazione che possono avere un impatto molto negativo sul lavoro, sulle relazioni e su tutti gli aspetti della vita di una persona. Alcuni soggetti affetti da bipolarismo sperimentano anche forme di psicosi che possono includere deliri, allucinazioni, megalomania e paranoia.

    I sintomi variano comunque da individuo a individuo e se per alcune persone, un episodio bipolare può durare diversi mesi o anni, altri possono sperimentare «alti» e «bassi» contemporaneamente o in rapida successione. Chi ne è affetto tende comunque ad alternare fasi depressive, in cui è particolarmente triste e apatico, a fasi maniacali e di eccitamento in cui, al contrario, si sente euforico, irritabile, iperattivo, con una certa difficoltà a controllare gli impulsi e una propensione ai comportamenti pericolosi quali la guida ad alta velocità, l’abuso di alcol e sostanze stupefacenti, la promiscuità sessuale e la realizzazione di investimenti economici a rischio.

    Tendenzialmente le fasi depressive hanno una durata maggiore, mentre le fasi maniacali o ipomaniacali durano meno (da una settimana a poco più di un mese). Il passaggio tra queste due fasi può essere relativamente lungo, consentendo al paziente un periodo di benessere (eutimia), oppure può essere repentino.

    La probabilità però di comportamenti aggressivi o violenti nei pazienti bipolari durante le fasi maniacali è piuttosto bassa ed il paziente con disturbo bipolare risulta innocuo verso gli altri e quindi la percezione dei pazienti bipolari come persone violente è frutto di uno stigma sociale più che di una realtà clinica. 

    In media, la diagnosi del disturbo bipolare arriva intorno ai 20-25 anni ma i sintomi possono comparire già durante l’adolescenza. Attraversare alti e bassi emotivi può capitare a tutti quando si vive un momento critico e può essere difficile distinguere, soprattutto durante l’adolescenza, tra un comportamento irregolare momentaneo e un vero e proprio disturbo della personalità.

    Negli adolescenti i cambiamenti di umore sono normali, considerato che a quest’età si cerca di sviluppare modi efficaci per gestire i propri sentimenti, quindi è importante osservare se gli sbalzi d’umore sono in risposta a una situazione specifica e ben definibile.

    I cambiamenti di umore bipolari infatti di solito non hanno un fattore scatenante e in questo si differenziano dai comuni sbalzi umorali nei ragazzi causati dallo stress legato alla scuola, dalle regole in casa o dai conflitti con i genitori. 

    Il bipolarismo viene curato principalmente attraverso l’uso di farmaci stabilizzanti dell’umore e antidepressivi. Alcuni studi confermano anche l’efficacia del sale di litio nel ridurre il rischio suicidario, che risulta 15 volte superiore nei pazienti bipolari rispetto al resto della popolazione.

    La ricerca ha però dimostrato inoltre che, per avere una maggiore stabilità dell’umore, è necessario associare al trattamento farmacologico anche una psicoterapia. È importante nella cura del disturbo bipolare  la psicoeducazione perché è un disturbo cronico, che accompagna tutta la vita della persona.

    E’ fondamentale quindi per ogni paziente imparare a conoscere il proprio disturbo per sapere quali strategie adottare, quando precocemente chiedere aiuto al proprio medico e quali sintomi monitorare per favorire il miglioramento della propria qualità di vita.