
Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.
(Lao Tzu)
Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.
(Lao Tzu)
Probabilmente i mariachi sono nati dopo l’invasione francese delle terre azteche che ha portato l’usanza di assoldare allegri musicisti per i matrimoni e per le feste. Ma questa tradizione musicale potrebbe aver avuto origine nel Messico occidentale in epoca vicereale quando elementi indigeni, europei e africani mescolarono i loro ritmi, strumenti e rituali dando origine ai mariachi.
Le aree che oggi costituiscono Sinaloa, Sonora, Durango, Zacatecas, Aguascalientes, Guanajuato, Guerrero, Oaxaca e la California della Nuova Spagna, sarebbero state le prime aree di espansione e accoglienza dei mariachi.
A metà del XX secolo la musica mariachi ha raggiunto una diffusione nazionale e popolare in Messico attraverso la sua presenza in radio, televisione, cinema e industria discografia tanto da diventare negli anni popolare in molti paesi del mondo. Il costume del charro inoltre è un simbolo nazionale che riflette la cultura e l’identità del Messico.
In origine i mariachi indossavano i tradizionali costumi rurali di Jalisco che consistevano in coperte di cotone e paglia con foglie di palma come cappelli, ma in seguito iniziarono a indossare il ‘charro’ . La tuta ufficiale è composta da una giacca corta e pantaloni neri alti e attillati, ma i mariachi hanno anche inserito una variazione con la tuta bianca.
All’inizio del XX secolo il costume da charro, a seconda della provenienza della hacienda, variava nei colori, nelle forme, nel materiale utilizzato e mentre i suonatori con più soldi indossavano abiti di lana con ornamenti d’argento, quelli più umili indossavano abiti di camoscio.
Dopo la rivoluzione messicana l”abito charro, che varia un po’ a seconda delle occasioni, é stato standardizzato per tutti secondo l’estetica barocca ed è composto da una giacca elegante, pantaloni abbastanza attillati e aderenti, una camicia, stivaletti e cravatta a scialle. Gli stivali devono essere del colore della sella e quindi sono miele o marroni oppure neri se indossati a un funerale. La maglietta utilizzata deve essere bianca o bianco sporco. Il cappello è fatto di lana, pelo di lepre o altri materiali che proteggono dal sole.
Gli strumenti originariamente utilizzati dai mariachi furono introdotti dagli spagnoli: violini, chitarre, vihuela, arpe, tromba ecc. Questi strumenti dovevano essere usati durante le messe ma i creoli, messicani di origine spagnola, iniziarono a usarli per fare musica popolare. In particolare:
Con tutte le persone che vivono su questo pianeta, e se ognuno di noi cerca qualcosa nell’altro, perché alla fine dobbiamo essere così soli? A che scopo? Forse il pianeta continua a ruotare nutrendosi della solitudine delle persone?
(Haruki Murakami
La maggioranza del vocabolario inglese deriva dall’antica lingua dei Romani e, dopo l’italiano, l’inglese è la lingua maggiormente influenzata dal latino.
L’inglese è una lingua indoeuropea germanica che ha subito profondi mutamenti nei secoli e tra l’inglese antico, quello medievale e quello moderno si sono susseguiti grandi variazioni sia nella struttura che nel suono.
Già a partire dall’anno 43 l’invasione romana in Britannia, durata diversi secoli, lasciò tracce di latino riscontrabili soprattutto nei vari nomi di località geografiche e poi nel sesto secolo, con l’arrivo in Inghilterra dei primi monaci cristiani iniziò la latinizzazione dell’inglese, con l’introduzione di termini ecclesiastici e religiosi.
Nel 1066 i Normanni occuparono l’Inghilterra e vi fu una grande influenza del francese, una lingua molto latinizzata, che apporto’ nel lessico inglese circa 10 mila parole di cui circa il 75% vengono utilizzate ancora oggi.
Nel periodo rinascimentale, con la riscoperta dei classici, il latino tornò in di moda soprattutto in ambito artistico, letterario, culturale e accademico e altre circa 10-12 mila parole latinizzate vennero aggiunte al vocabolario inglese in quel periodo.
Durante l’era industriale per coniare nuovi termini al fine di descrivere nuovi oggetti e nuove scoperte si tornò si attingere dal latino, oppure vennero create nuove combinazioni di termini latini riadattati.
Dopo la II Guerra Mondiale, l’inglese divenne una lingua internazionale, soprattutto per il potere politico ed economico degli Stati Uniti d’America ed ha continuato ad accrescere il proprio lessico per tenere il passo con le innovazioni sociali, tecnologici e digitali.
Complessivamente, più del 65% del lessico inglese deriva in qualche modo dal latino e si stima che i vocaboli “nativi”, derivanti dall’inglese antico, non siano più del 20-33% del lessico totale, anche se rappresentano le parole più utilizzate nel quotidiano. Gran parte però dei termini stranieri sono però ormai obsoleti per cui nella pratica non vengono usati quasi mai.
In linea di massima, i vocaboli di provenienza anglosassone sono più brevi e semplici rispetto alle parole con radici latine, le quali tendono ad essere maggiormente utilizzate in ambito letterario, accademico e commerciale.
A causa della miscela di provenienze linguistiche, l’inglese ha quindi un’ampia scelta di sinonimi, anche se con piccole differenze di significato, alcuni di origine germanica e altri di origine latina come:
answer / response
ask / request
choose / select
end / finish
fast / rapid
speech / language
mistake / error
snake / serpent
pig / pork
Alcuni termini latini sono stati incorporati nella lingua inglese rispettando la loro forma originale ma, soprattutto in campo informatico e digitale, abbondano vocaboli latini rivisitati e riadattati al contesto attuale e poi “restituiti” anche alla lingua italiana. Parole come status, media, data, server, sponsor, senior, campus, referendum, video, audio, data, bonus, plus, ultra, super, extra si scrivono in modo identico anche in italiano anche se la pronuncia è assai diversa.Il connubio tra latino e inglese si è rilevata una formula davvero vincente e ha contribuito a rendere l’inglese il non plus ultra della comunicatività.
Ogni sasso ha diritto a avere un gesto di euforia.
(David Giannini)
Cartagine, nome derivante dal fenicio, significa Città nuova intesa come Nuova Tiro , ed è stata una città Felicia fra le più importanti colonie puniche in quanto divenne capitale di un piccolo impero che includeva territori dell’attuale Spagna orientale, la Corsica e la Sardegna sud-occidentale, la parte occidentale della Sicilia e le coste della Libia .
La tecnologia navale ereditata dai fenici, permise ai cartaginesi di spingersi anche oltre le colonne d’ercole, navigando lungo la costa atlantica dell’ Europa settentrionale e dell’Africa, spingendosi al nord, almeno fino alle coste Islandesi e a sud, fino alla costa del golfo di Guinea.
Sul piano culturale Cartagine era a tutti gli effetti una città fenicia, che parlava la lingua dei fenici, che utilizzava la scrittura dei fenici, che manteneva inalterati gli usi e i costumi e che venerava gli dei dei fenici.
Fondata nel IX secolo a.C. sulle sponde dell’odierno Golfo di Tunisi come scalo commerciale fenicio, Cartagine si rese poi indipendente ma a partire dal III secolo a.C. si pose in contrasto con Roma per il controllo sulla Sicilia ed il dominio dei mari
Fra loro iniziò un conflitto armato che si concretizzo’ nelle tre guerre puniche la più celebre delle quali vide l’impresa del generale cartaginese Annibale che, valicate le Alpi con una grande armata e con elefanti, sconfisse e poi anniento’ a Canne l’esercito romano consentendo ai cartaginesi di restare padroni dell’Italia meridionale per 15 anni. I romani risposero però con le incursioni in Africa di Publio Cornelio Scipione che riuscì infine a battere il generale cartaginese a Zama.
Nel 149 a. C. per volontà di Catone il Vecchio, Roma e Cartagine si scontrarono nuovamente ma alla metà del secondo secolo Cartagine non era più la super potenza dei secoli passati e la sconfitta dell’antico colosso navale giunse nel 146 per mano del generale romano Scipione Emiliano. La città fu rasa al suolo definitivamente e l’occupazione del sito fu proibita per un periodo di 25 anni tanto che fu poi ricostruita solo un secolo dopo, all’epoca di Giulio Cesare.
La nuova città diventò, dopo la caduta dell’Impero romano, parte prima del regno vandalo, poi dell’impero bizantino e infine, nel 698 d.C., fu occupata dagli Omayyadi che però la spopolarono lasciando al suo posto solo un presidio militare mettendo così fine alla sua storia. I suoi resti archeologici si trovano oggi all’interno del territorio della moderna Cartagine, città situata a 16 chilometri a nord-est di Tunisi.
“Orribil furon li peccati miei;
Dante Alighieri
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.”
Nel 101 d. C. un grande esercito romano, comandato dal generale Traiano, si mise in marcia per conquistare la Dacia che, essendo una regione di frontiera, serviva a Roma per impedire le invasioni dei barbari. Era prevista la conquista della regione e la sottomissione dei popoli che l’abitavano e poi l’invio di numerosi coloni romani nella zona.
Dopo 5 anni di guerra la Dacia divenne un’altra provincia romana e i rapporti fra i daci ed i romani furono buoni ma, dopo 150 anni di tranquillità, cominciarono ad affluire senza sosta i barbari e così nel 274 l’esercito romano abbandonò la Dacia e per centinaia di anni Goti, Gepidi, Unni e Avari distrussero e depredarono la regione.
Nel VI secolo d. C. numerose tribù di Slavi occuparono due zone della Dacia: la Transilvania e la Valacchia e si fusero con la popolazione dacio-romana, dando origine all’attuale popolazione.
La lingua ufficiale della Romania è il romeno, una lingua neolatina appartenente alla famiglia delle lingue romanze, imparentata con altre lingue dello stesso gruppo parlate da oltre 800 milioni di persone in tutto il mondo, principalmente in America ed in Europa. La lingua scritta è il dacoromeno e la prima annotazione scritta del dacoromeno risale al 1521.
Fra tutte le lingue romanze, il romeno presenta un’evoluzione maggiormente naturale e popolare poiché non è stata interrotta nel suo sviluppo da una letteratura classica in senso stretto. Questo spiega, fra l’altro, il fatto che questa lingua possieda una quantità importante di vocaboli e forme latine che nelle altre lingue romanze non esistono più. Al contrario delle altre lingue romanze, il rumeno presenta infatti il neutro e la declinazione dei sostantivi in casi, molto fedele alla declinazione latina originaria.
Il romeno ha più dialetti simili alla lingua ufficiale, ma le differenze non sono molto forti in quanto cambia spesso il suono di alcune vocali prendendo una forma gutturale o vi è l’aggiunta di una vocale. L’alfabeto è composto da 31 lettere, quattro delle quali (k, q, w, y) si trovano solo in parole di origine straniera e le lettere ă, â, î, ș e ț sono considerate autonome, a sé stanti.
L’italiano, come tutte le lingue romanze occidentali, è stato fortemente influenzato dalle lingue germaniche parlate dai barbari mentre nel rumeno tale influsso è stato quasi assente, sostituito da un massiccio apporto dalle lingue slave.
Il rumeno parlato oggi contiene quindi non solo aspetti della lingua latina, ma anche aspetti e sopratutto parole di origine slava, greca, turca, ungherese ed albanese. Italia e Romania hanno comunque un forte legame di affinità ed analogie a cominciare dall’origine del nome “Romania” dal latino “romanus”, vale a dire “romano”.
Due stati, due popoli distanti rimasti sconosciuti l’uno all’altro, dalle grandi diversità economiche e sociali, ma con nelle vene ancora parte degli stessi geni. L’influenza della colonizzazione Romana del 106 d.c., è stata sicuramente determinante e si rileva l’incredibile somiglianza nel linguaggio dalle origini neolatine tanto che sentendo parlare le due lingue, non è poi così difficile afferrare e comprendere qualcosa di quel che si dice.
Se io, fossi stato un po’ meno distante
Un po’ meno orgoglioso, un po’ meno che
Se lei fosse stata un po’ meno gelosa
Un po’ meno nervosa, un po’ meno che
Ma se io, se lei, se io, se lei
Se noi avessimo dato all’amore la giusta importanza
L’impegno e il valore
Se noi, amare vuol dire anche a volte
annullarsi per dare qualcosa in più
Ma se io, se lei, se io, se lei, se lei Se io, se lei
Adesso dove sei
Sotto quale cielo pensi al tuo domani
Sotto quale caldo lenzuolo
Stai facendo bene l’amore
Sono contento ama, ama e non fermarti
E non aver nessuna paura
E non cercarmi dentro a nessuno
Se io, se lei Se io quando tutto finisce c’è sempre chi chiude la porta
E chi invece sta male
Se lei, chi ha sbagliato alla fine non conta
Conta solo che adesso non so’ più chi sei Se io, se lei
Adesso, dove sei
Sotto quale cielo, pensi al tuo domani
Sotto quale caldo lenzuolo
Stai facendo bene l’amore
Sono contento ama, ama e non fermarti
E non aver nessuna paura
E non cercarmi dentro a nessunoSe io, se lei
Se ioSono contento ama
Ama e non fermarti, no
E non cercarmi dentro a nessuno
E non aver nessuna paura
Se io, se lei
Adesso dove sei?
Biagio Antonacci