Regole europee che obbligano le aziende a rendere minimo l’impatto negativo su ambiente e diritti umani.

Il Parlamento europeo ha approvato a maggio 2024 la Corporate sustainability due diligence directive (Csddd), ovvero un pacchetto di regole che obbliga le aziende a controllare, gestire e a rendere minimo il loro impatto negativo sull’ambiente e sui diritti umani.

Prima di questa direttiva, infatti, solo le aziende più responsabili monitoravano i rischi e gli impatti della loro catena di produzione mentre ora dovranno farlo tutte.

Tra i settori più interessati dalla direttiva c’è quello della moda e del fashion & luxury che si avvalgono in maniera rilevante di filiere di produzione.

La direttiva chiede di valutare i loro rischi ambientali e sociali, costruire un sistema di monitoraggio efficace integrandolo nelle procedure dell’organizzazione e costruire un sistema di reportistica per la trasparenza e la definizione delle azioni di miglioramento.

Questo coinvolge anche i partner lungo tutta la catena produttiva e quindi fornitori, vendita, distribuzione, trasporto, stoccaggio e gestione dei rifiuti, procedure di sicurezza, utilizzo della chimica e dell’acqua, ecc.

Le imprese dovranno rendere disponibili le informazioni relative alla loro politica di Due Diligence sull’European Single Access Point (ESAP), in modo che possano accedervi con facilità anche gli investitori.

A livello di controlli e sanzioni, è prevista una supervisione e un meccanismo di responsabilità civile. Ogni Stato membro dell’Unione Europea dovrà istituire un’autorità di vigilanza che potrà avviare ispezioni e indagini e ad applicare sanzioni alle imprese inadempienti fino al 5% del loro fatturato netto mondiale.

Le persone che subiscono un danno a causa di una violazione dei diritti umani o degli standard ambientali avranno la possibilità di intentare azioni legali entro cinque anni dalla violazione e di ottenere un risarcimento. Stessa cosa per i sindacati e le organizzazioni della società civile.

La norma si applica anche alle aziende che hanno sede al di fuori dell’Unione Europea se registrano nell’UE un fatturato netto superiore a 450 milioni di euro nell’esercizio finanziario, indipendentemente dal numero di dipendenti.

Rientrano in tale ambito anche le aziende o le società madri di gruppi che hanno stipulato accordi di franchising o di licenza all’interno dell’Ue e, quindi, anche i giganti del commercio elettronico.

Le prime a doversi attrezzare, a partire dal 2027, saranno le imprese europee con più di 5.000 dipendenti e un fatturato superiore a 1.500 milioni di euro. Dal 2028 seguiranno le imprese con oltre 3.000 dipendenti e un fatturato superiore a 900 milioni di euro e dal 2029 tutte le altre.

Le autorità competenti degli Stati membri dell’Ue possono imporre multe con sanzioni finanziarie proporzionali al fatturato dell’azienda e dunque particolarmente onerose per le grandi aziende.

La direttiva prevede inoltre restrizioni operative, inclusi divieti o limitazioni nell’accesso al mercato europeo dove i colossi dell’ultra fast fashion realizzano una grossa parte del loro fatturato.

In caso di non conformità, la direttiva prevede inoltre restrizioni operative, inclusi divieti o limitazioni nell’accesso al mercato europeo dove i colossi dell’ultra fast fashion realizzano una grossa parte del loro fatturato.

Un’altra novità in arrivo è il passaporto digitale di prodotto che
sarà una vera e propria “carta d’identità” dei prodotti di moda e aiuterà i consumatori a conoscere dove e come è stato realizzato.

Da giugno 2027, i prodotti tessili e di abbigliamento commercializzati nel mercato Ue dovranno dimostrare infatti di essere durevoli, riparabili e riciclabili, privi di sostanze nocive e realizzati nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente da filiere di produzione monitorate.

Ogni scheda si potrà scansionare con un QRCode o un chip RFID e conterrà un grande numero di informazioni sul capo o accessorio a cui è associato.

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