
Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374) è stato uno dei più straordinari scrittori e poeti italiani e la sua opera più famosa è il Canzoniere, raccolta di 366 sonetti che egli scrisse nell’arco di buona parte della sua vita in lingua volgare, l’antenata dell’odierno italiano.
Egli lo scrisse come una sorta di diario poetico personale e all’inizio fu criticato dai pochi che lo avevano letto ma a partire dalla fine del Quattrocento, e per molti secoli successivi, fu ritenuto un testo esemplare per il lessico poetico, le forme metriche e le tematiche.
L’umanista Pietro Bembo (Venezia, 20 maggio 1470 – Roma, 18 gennaio 1547) propose il poeta come modello per la poesia e contribuì alla nascita del fenomeno di imitazione di massa, detto petrarchismo, anche per la straordinaria maestria di Petrarca nel condensare in un verso un suono perfetto legato anche al suo significato.
Argomento principale dei versi, anche se non l’unico, è l’amore del poeta per Laura, una donna che ogni tanto sembra dargli qualche speranza, ma che alla fine non lo vuole. Ad un certo punto Laura muore scatenando la disperazione nell’animo di Petrarca, evento che segna una divisione netta nelle poesie: la prima parte contiene le poesie in vita di Laura, la seconda quelle in morte di Laura.
Un elemento di assoluta novità e rottura rispetto alla tradizione è che, con Petrarca, si assiste all’irruzione in scena dell’io dell’autore, con la sua interiorità. E il modo in cui il poeta descrive la propria personalità e rappresenta il proprio io, costantemente straziato per qualcosa, fa provare anche empatia nei suoi confronti.
Egli passa infatti buona parte del suo tempo non solo a lamentarsi per la situazione amorosa infelice in cui si trova, ma anche a criticarsi ferocemente per la propria incapacità di dominare le passioni, che hanno il gravissimo effetto di allontanarlo da Dio.
Petrarca è un uomo medievale profondamente religioso e l’amore per Laura è per lui una doppia tragedia perché non è corrisposto, ma soprattutto perché lo allontana dall’unico amore degno, cioè quello per Dio.
In un modo nuovo, il poeta si racconta spesso dubbioso, tormentato, incapace di superare le spaccature all’interno del suo animo che vive il conflitto tra ragione e passione, tra volontà e debolezza, tra ciò che è giusto e ciò che desidera.
Un altro aspetto molto importante è la straordinaria capacità di Petrarca di donare ai suoi versi una musicalità e una cadenza che non hanno eguali. I versi suonano bene e sono bellissimi: il suo stile è inconfondibile perchè crea endecasillabi con una veste complessa ma aggraziata. Il poeta presta infatti un’attenzione estrema alle figure retoriche di suono, prima tra tutte l’allitterazione, cioè la ripetizione non casuale di un suono all’interno di un verso.
Nella ricerca di equilibrio nel verso, e nella produzione di un codice linguistico chiaro, si ricompone il dramma interiore di un’inconciliabilità tra l’aspirazione a una vita ascetica e il tentativo di conciliare cielo e terra. A un’interiorità travagliata non coincide dunque uno stile burrascoso, ma invece uno limpido, equilibrato e musicalmente armonioso.
Sull’esistenza di Laura tutto è incerto e un gruppo di studiosi sostiene che ella non sia mai esistita storicamente e che sia stata un’invenzione letteraria necessaria per consacrare la poesia d’amore. Ciò sarebbe testimoniato anche dalla scelta del nome che richiamerebbe il laurus, pianta sacra ad Apollo, dio della poesia.
Altri hanno visto in Laura l’ombra di un’altra donna, forse la madre del poeta, leggendovi le frustrazioni e le attese di un rapporto difficile. Altri ancora sono più possibilisti sull’esistenza storica della donna amata, ma ne sottolineano anche il valore simbolico. Sarebbe stata Laura de Noves, nata forse nel 1310 e sposa di Ugo de Sade, un marchese francese dal quale ebbe undici figli.
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi è il sonetto numero XC (90) del Canzoniere nel quale l’autore loda la bellezza angelica di Laura e giustifica il suo amore verso la donna:
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro che, pur voce umana;uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
I biondi capelli di Laura erano sparsi al vento
che li avvolgeva in tanti boccoli soavi,
e il seducente fulgore di quegli occhi, ora assai meno luminosi,
scintillava in maniera straordinaria;
e mi sembrava che il viso, non so se davvero
o solo nella mia immaginazione, si colorasse di pietà;
io, che avevo deposta in cuore l’esca amorosa,
c’è forse da meravigliarsi se subito avvampai d’amore?
Il suo incedere non era quello di un corpo mortale,
ma di un angelo celeste, e la sua voce
suonava come qualcosa di diverso dalla voce umana.
Uno spirito celeste, un sole splendente,
fu ciò che io vidi, e se anche ora non fosse più tale,
la ferita non si rimargina allentando l’arco.
Bella presentazione di questo grande poeta italiano dall’animo inquieto che trasmise alle sue parole.
Lui stesso non ebbe una vita facile muovendosi dalla Provenza all’Italia.
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Si, non partecipava alla vita politica e si sentiva un cittadino del mondo. 🙋
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è vero
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🌷
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sera
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