Le foibe, discariche per cadaveri

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Dal 2005, ogni 10 febbraio in Italia si celebra il «Giorno del Ricordo» in memoria dei quasi ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.

Nel 1943 in Italia avvenne lo scioglimento del Partito fascista e la resa dell’8 settembre. In Iugoslavia erano al comando forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia «Tito», che aveva sconfitto gli spietati “ustascia”, i fascisti croati agli ordini del dittatore Ante Pavelic, e gli  “domobranzi” che erano semplicemente ragazzi di leva sloveni chiamati alle armi da Lubiana a partire dal 1940 poichè la Slovenia era stata incorporata nell’Italia.

Nella sola Istria si trovano più di 1.700 cavità carsiche e molte sono state usate per scaraventarvi, spesso ancora vivi, i prigionieri torturati e sommariamente processati da parte delle milizie di Tito.  La prima ondata di violenza esplose dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi si vendicarono contro i fascisti, che avevano amministrato questi territori con durezza, ed anche contro tutti gli italiani non comunisti

Dal 1918 al 1943 la Venezia Giulia e la Dalmazia erano diventate italiane ma oltre la metà della loro popolazione era composta da sloveni e croati. Durante il fascismo l’italianizzazione venne perseguita attraverso il cambiamento della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingui. La repressione divenne più crudele durante la guerra, quando ai pestaggi si sostituirono le deportazioni nei campi di concentramento nazisti e le fucilazioni dei partigiani jugoslavi.

Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, iniziarono la riconquista della Dalmazia e della penisola d’Istria dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia. Dopo il crollo anche del Terzo Reich Tito ebbe come obiettivo l’occupazione dei territori italiani cioè di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.

Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria e puntò verso Trieste ma furono fermati dalla Divisione Neozelandese alleata del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica.

Gli jugoslavi si imadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani ma non riuscirono ad assicurarsi Trieste. Il generale Freyberg entrò a Trieste il 1° maggio 1945, mentre la città era ancora formalmente in mano ai tedeschi che, asserragliati nella fortezza di San Giusto, si arresero il 2 maggio.

Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra e altri furono uccisi dai partigiani jugoslavi, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati.

Le uccisioni fino al 1947 furono almeno 20 mila e gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250 mila. I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti e in mancanza di questi venivano prese le mogli, i figli o i genitori.

I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nelle fenditure morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri che erano condannati così a sopravvivere per giorni in fondo alle voragini, sui cadaveri dei loro compagni.

A Basovizza, alle porte di Trieste è stata trovata una foiba ove furono gettate almeno 2.500 persone in 45 giorni dal 1 maggio al 15 giugno 1945. Fiume si spopolò ed interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia.Entro la fine del 1946, 20.000 persone avevano lasciato la città, abbandonando case, averi, terreni.

Con la firma del trattato di pace di Parigi del 1947, l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia. Tito confiscò tutti i beni dei cittadini italiani con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma, ma il risarcimento non avvenne mai.

La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in Sud America,  in Australia,  in Canada e negli Stati Uniti. Tanti si trasferirono anche  in Italia, nonostante il tentativo italiano di minimizzare la portata e i motivi della diaspora affermando che le notizie sulle foibe erano solo propaganda reazionaria.

Soltanto dopo il 1989, con il crollo del muro di Berlino e la fine del comunismo sovietico, nel 1991 il presidente della Repubblica Cossiga si recò alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni.

 

 

 

L’obesità e l’olio d’oliva

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L’obesità è uno dei principali problemi mondiali nei paesi industrializzati ed ha portato al parallelo aumento di casi di fegato grasso. Il fegato grasso o steatosi  è diventata la patologia cronica del fegato più diffusa nel mondo occidentale e in Italia ne è affetto circa il 15% dei bambini e l’80% dei bambi obesi.

Tra le cause del fegato grasso c’è il grande  stress ossidativo che le cellule subiscono come conseguenza dell’obesità cioè la rottura dell’equilibrio fisiologico fra la produzione e l’eliminazione, da parte dei sistemi di difesa antiossidanti, delle sostanze chimiche ossidanti.

Uno studio condotto dai medici del Bambino Gesù di Roma ha verificato l’effetto benefico dell’idrossitirosolo, un fenolo dell’olio di oliva, che ha un elevato potere antiossidante. I fenoli sono infatti dei composti chimici presenti in diversi alimenti e bevande (olio, vino, ecc.) capaci di inibire i processi ossidanti e l’olio d’oliva è l’ingrediente principale della dieta mediterranea.

Il problema è che per avere l, effetto antiossidante sarebbe necessario usare grosse quantità di olio d’oliva che però è molto calorico e farebbe ingrassare. Ma oggi è possibile usare solo le sostanze antiossidanti dell’olio d’oliva, come appunto l’idrossitirosolo, senza avere l’effetto calorico.

Questi prodotti assolutamente naturali potrebbero essere integrati nella dieta dei bambini obesi per combattere le complicanze dell’obesità come lo stress ossidativo Lo studio ha evidenziato anche che l’idrossitirosolo, se usato nei dosaggi testati, riduce l’insulino resistenza che è il primo step verso il diabete tipo II. L’idorossitirosolo viene prodotto in perle e, se assunto dietro controllo medico, sembra non avere effetti collaterali essendo una sostanza naturale.

Lo sguardo

 

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” Ma lo sguardo no, quello non si può confondere, né da vicino né da lontano! Oh, lo sguardo, sì che è significativo! Come il barometro. S’indovina tutto: chi ha un gran deserto nell’anima, chi senza una ragione è capace di ficcarti uno stivale fra le costole e chi invece ha paura di tutto.”

(Mikhail Bulgakov)

Il caffè sospeso

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Il caffè è la bevanda più diffusa al mondo e ogni giorno ne sono consumate quasi 1,6 miliardi di tazze di caffè. Oggi in testa alla classifica del consumo complessivo ci sono gli Stati Uniti con il 16% del totale e poi il Brasile con l’11% ma il record del consumo pro capite va alla Finlandia seguita da Danimarca e Svezia.
E’ considerata da sempre una bevanda misteriosa al punto da far pensare che nei suoi fondi si possa leggere il futuro ed eccitante tanto che la Chiesa la definì  “bevanda del diavolo” e  i sultani ne vietarono l’uso alle donne. In passato però fu impiegato a lungo tra i musulmani nei riti religiosi tanto che i mistici sufi lo usavano per rimanere svegli durante le veglie di preghiera.

Il suo nome arabo, qahwa, significa eccitante però la parola potrebbe derivare dalla zona d’origine in quanto pare che le prime piante siano state trovate a Caffa in Etiopia. Da quelle terre, tra il XIII e il XIV secolo, gli etiopi portarono il caffè nello Yemen durante le loro campagne militari. Qui le piantine trovarono terreno fertile e poi furono diffuse lungo la costa orientale del Mar Rosso, fino alla Mecca e  Medina in Arabia, dove già alla fine del XV secolo sorsero luoghi di degustazione.

Uno dei principali centri di smistamento del caffè, fin dal XVI secolo, divenne Il Cairo, in Egitto, da dove mercanti lo esportarono in ogni direzione anche perchè la religione islamica, che proibiva di bere vino, lo sostituiva con il  caffè. La diffusione fu favorita anche dall’Impero Ottomano, che forniva caffè fino alle porte di Vienna, eludendo ogni disposizione doganale.

Nel XVII secolo “il vino d’Arabia” giunse in Europa, anche se già un secolo prima a Venezia era possibile trovare i semi della Coffea arabica, venduti dagli speziali a prezzo altissimo, come medicamento.

Il veneziano Pietro Della Valle, aprì il primo spaccio di caffè in Italia nel 1720 in piazza San Marco e cioè il celebre caffè Florian, che ancora è in attività, superando i pregiudizi della Chiesa. Una tradizione riportava anche che l’arcangelo Gabriele avesse offerto il caffè al profeta Maometto, il quale dopo averlo bevuto “disarcionò in battaglia ben quaranta cavalieri e rese felici sul talamo addirittura 40 donne“.

Per le voci sul potenziale afrodisiaco della bevanda, la Chiesa aveva dunque condannato subito quello che ormai era chiamato vino d’Arabia e bevanda del diavolo. Il papa Clemente VIII, che apprezzava molto la bevanda, però all’inizio del ‘600 si rifiutò di mantenere tale proibizione.

Il pregiudizio che associava i consumatori di caffeina a una vita notturna viziosa e licenziosa spinse nel 1732 il compositore tedesco Johann Sebastian Bach a scrivere  una cantata in cui si descriveva l’angoscia di un padre che voleva  guarire la figlia dalla passione del caffè, condivisa peraltro dalla maggior parte delle fanciulle di Lipsia

I caffè, nati come taverne e luoghi di aggregazione, diventarono sedi di dibattito e furono frequentati da uomini colti e da letterati. Col tempo divennero anche luoghi di contestazione politica tanto che nel 1676 a Londra, temendo che si trasformassero in covi di insurrezionalisti, furono fatti chiudere tutti, ma il provvedimento però durò poco.

In Francia, nel 1686 il siciliano Francesco Procopio aprì un caffè proprio di fronte al teatro della Comédie Française. Il Café Le Procope fu meta di filosofi, artisti, uomini politici e scrittori e divenne così famoso in Europa da diventare sinonimo di circolo letterario. Un secolo dopo un gruppo di pensatori liberali italiani, capeggiati dal filosofo Pietro Verri, chiamò Il Caffè la rivista che diffuse l’Illuminismo in Italia.

Per togliere agli arabi il monopolio sulla bevanda, l’Olanda nel 1690 riuscì a trafugare alcune piantine di caffè che impiantò  nelle terre tropicali di Ceylon (Sri Lanka) e Giava in Indonesia e la Compagnia delle Indie Orientali diventò punto di riferimento del mercato europeo del caffè.

Nel 1714 però il borgomastro di Amsterdam offrì al re di Francia Luigi XIV due piante di caffè in fiore, collocate nelle serre reali di Versailles. Un ex ufficiale di marina, Gabriel Mathieu de Clieu ne rubò un arbusto e lo trasportò oltre l’Atlantico, dando inizio alla coltivazione di caffè nella Martinica francese, un’isola delle Antille.

De Clieu nel 1723 mise la sua preziosa pianta in un contenitore in vetro e dopo essere scampato a un tentativo di furto, ad un assalto di pirati tunisini, a una violenta tempesta e a un’interminabile bonaccia nella zona delle calme equatoriali, arrivò a destinazione.

Le piante della Martinica raggiunsero poi il numero di venti milioni, riuscendo a soddisfare quasi per intero la domanda europea e ben presto le piantagioni si estesero a tutta l’area caraibica, da Haiti alla Giamaica, fino a Cuba e Portorico.

In Italia fin dal ‘700 a Napoli si affermò una variante al caffè turco (o alla turca). la polvere dei chicchi macinati invece di essere cotta, come si fa ancora oggi in Turchia e Nord Africa, veniva stemperata in acqua in un bricco di rame poggiato su braci o sabbia calda. Si diffuse cioè il filtraggio dell’acqua bollente, fatta colare dall’alto attraverso la polvere di caffè.

Nel 1902, a Milano, nacque invece l’espresso, grazie all’invenzione dell’ingegnere Luigi Bezzera, una macchina sfruttava l’alta pressione per filtrare il macinato. Nella moka, inventata poi dall’imprenditore Alfonso Bialetti nel 1933, l’acqua portata a ebollizione saliva dal basso.

«Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo…»

Luciano De Crescenzo

La festa di San Valentino

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Il 14 febbraio ricorre la festa di San Valentino che celebra gli innamorati e che è conosciuta e festeggiata in tutto il mondo. La festa ebbe origine nel IV secolo ed aveva lo scopo di sostituire quella pagana dei Lupercalia.

I riti pagani della Lupercalia erano  dedicati al dio della fertilità Luperco e si  celebravano il 15 febbraio,  prevedevano festeggiamenti sfrenati ed erano osteggiati dai cristiani che li giudicavano troppo licenziosi.

La festa pagana prevedeva anche che le matrone romane si offrissero  spontaneamente per strada alle frustate di un gruppo di giovani nudi, devoti al selvatico Fauno Luperco. Anche le donne in dolce attesa si sottoponevano a questo rituale perchè pensavano che ci fossero effetti positivi per i nascituri.

Il Papa Gelasio I nel 496 d.C. decise allora di spostare la festa al giorno precedente dedicato a San Valentino vescovo martire di Terni e così, dandole una diversa impostazione, lo fece diventare il protettore degli innamorati.

Tale tradizione fu poi diffusa dai benedettini, primi custodi della basilica dedicata al santo a Terni, attraverso i loro monasteri in Italia e poi in Francia ed in Inghilterra.

È conosciuta anche una leggenda secondo cui San Valentino avrebbe donato a una fanciulla povera una somma di denaro necessaria come dote per il suo sposalizio, che, senza di questa, non si sarebbe potuto celebrare. Anche questo generoso dono  avrebbe dunque creato la tradizione di considerare il santo vescovo Valentino come il protettore degli innamorati.

Giorni perduti

dipinto-treccia

Giorni perduti

ingannando il tempo

che attendeva disteso

ed attorcigliato

ai rami dolenti

come se non avesse

più speranza

di ritrovarci ancora uniti.

Tempo perduto,

tempo rubato,

tempo braccato

dalla tua voglia

di sentirti

dolorosamente

già smarrito o forse

solo per sempre,

lungo i binari della vita,

già deragliato.

Il mistero della paternità di Giovanni Borgia, l’ Infante Romano (Infans Romanus)

 

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Nel 1492 Rodrigo Borgia, giunto dalla Spagna da giovane, ottenne la stessa carica di suo zio Papa Callisto III e fu eletto anch’esso Papa con il nome di Alessandro VI. Prima ebbe tre figli chiamati Pedro Luis (Primo Duca di Gandìa), Isabella e Girolama e poi altri quattro figli Cesare, Juan, Lucrezia e Jofré avuti da Vannozza Cattanei, una giovane locandiera romana, che riconoscerà soltanto dopo essere diventato Papa.

Per Juan Papa Alessandro aveva sognato la carriera militare ma il figlio spesso disonorava la famiglia sia sul campo di battaglia sia con gli  esponenti della nobiltà romana e per Cesare aveva previsto invece una carriera ecclesiastica.

L’Italia a quei tempi era divisa in una decina di stati ed il Regno di Napoli era sotto la diretta influenza degli Spagnoli. Il centro-nord era invece composto dallo Stato Pontificio e da altri piccoli stati, ai quali miravano alcuni stati stranieri come la Francia.

Cesare ed Alessandro VI sognavano un’Italia unita e forte  governata da un Borgia, così da fondare una vera e propria dinastia. Dopo la morte di Juan nel 1497, Cesare prese in mano le redini delle operazioni politiche e miliari della famiglia. La sorella Lucrezia, che era molto istruita,  sposò invece Giovanni Sforza poi Alfonso d’Aragona ed infine Alfonso d’Este.

Giovanni Borgia, conosciuto come l’Infante Romano (Infans Romanus), era invece un figlio illegittimo appartenente alla famiglia Borgia. La paternità e la maternità di Giovanni sono un mistero irrisolto che avvolge la famiglia valenciana.

Giovani nacque a Roma nel 1498 e nel 1501 il papa Alessandro VI emanò due bolle: la prima affermava che Giovanni era il figlio di Cesare e di una donna sconosciuta; la seconda che era figlio dello stesso Pontefice. Giovanni rimase sotto la protezione di Cesare a Roma fino al 1505 e dopo fu portato a Ferrara dove verrà introdotto alla vita di corte.

I Borgia sapevano che attorno alla figura di Giovanni sarebbero nate molte dicerie e si diffuse anche quella che voleva Giovanni figlio di Lucrezia e di un uomo sconosciuto.

Esistevano anche altre due ipotesi che  volevano Giovanni figlio di un rapporto incestuoso tra Cesare e Lucrezia o tra Lucrezia e Alessandro VI. A Giovanni il Papa intestò i ducati di Nepi e di Camerino che era una base strategica per il Valentino poiché, se fosse caduta in mano nemica, sarebbe stato facile perdere tutti i possedimenti dei Borgia.

Ufficialmente, il primo figlio di Lucrezia era Rodrigo nato dal matrimonio con Alfonso d’Aragona. Quando Lucrezia sposò Alfonso d’Este, però, il giovane duca di Bisceglie e Sermoneta non seguì la madre a Ferrara perchè sarebbe stato sconveniente per il duca Alfonso avere a corte il figlio del primo matrimonio di sua moglie.

Per qualche mese, Rodrigo rimane dunque a Roma poi nell’ottobre del 1503, Cesare lo portò a Castel Sant’Angelo, per tenerlo al sicuro insieme ai suoi due figli illegittimi, Girolamo e Camilla. All’Infante romano si riferì come “fratello, nepote et figliolo”, aprendo così la strada a molte differenti interpretazioni.

Mentre però, Rodrigo venne poi mandato a Bari nel regno di Napoli presso i parenti del padre dove morì di malattia nel 1512 a soli 13 anni, nel 1505 Giovanni andò nei pressi di Ferrara, così come Girolamo e Camilla che crebbero infattia Carpi. Sarà Lucrezia ad occuparsi di loro e ad assicurargli un’ottima istruzione.

Lucrezia soffriva molto nel veder crescere il giovane Giovanni triste e svogliato, probabilmente anche per la questione  inerente l’identità dei suoi genitori, così spinse Alfonso ad usare il suo ascendente su Francesco I per sistemare Giovanni alla  corte francese. Nei documenti relativi a questa sistemazione emerge  la versione ufficiale che Giovanni fosse il fratello minore di Lucrezia, come dichiarava la seconda bolla di Alessandro VI.

Giovanni alla corte dei Valois non si dimostrò assolutamente all’altezza di Cesare ed è proprio in Francia che apprese la notizia della sua morte   e nel 1519  di Lucrezia che mori di parto a Ferrara a trentanove anni.

Giovanni voleva  riconquistare il ducato di Camerino  che, come quello di Nepi, gli erano stati tolti dal Papa Giulio II. Nel 1530, mentre era ancora in Francia, chiese dunque ad Alfonso d’Este di intercedere per lui presso Clemente VII affinché il ducato gli venisse restituito ma senza successo.

Alcuni ricercatori ritengono che Giovanni sia morto nel 1547 a Genova, senza lasciare un testamento, altri sostengono che egli fosse ancora in vita nel 1548 in ogni caso sicuramente morì prima del 1550.

Ebbe una figlia, Lucrezia, che sposò il nobile romano Ciriaco Mattei e fu la madre di Giustina che sposò Giovanni Battista Pamphilj, un gentiluomo originario di Gubbio. Ella fu madre di Camillo Pamphilj dal cui matrimonio con Maria Flaminia Cancellieri del Bufalo nacque il futuro Papa Innocenzo X.

Il cervello giovane delle donne

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In base a uno studio recente, è stato rilevato che dal punto di vista metabolico il cervello femminile risulta in media di tre anni più giovane rispetto a quello degli uomini della stessa età. In effetti le donne in età avanzata risultano spesso, nei compiti cognitivi di memoria, ragionamento e risoluzione di problemi, più efficienti  rispetto ai coetanei maschi.

Il cervello consuma zuccheri e i bambini e gli adolescenti impiegano parte di queste riserve energetiche in un processo chiamato glicolisi aerobica, che sostiene lo sviluppo e la maturazione cerebrale. La percentuale del glucosio investito in questo compito cala però progressivamente con il passare degli anni.

Ma vi sono  differenze nel metabolismo degli zuccheri anche tra uomo e donna e così gli scienziati della Scuola di Medicina dell’Università di Washington a St. Louis hanno usato la tomografia a emissione di positroni (PET) per misurare il flusso di sangue e glucosio nel cervello di 205 volontari, 121 donne e 84 uomini, tra i 20 e gli 82 anni di età.

Per ciascuno è stata valutata la percentuale di zuccheri impegnata nella glicolisi aerobica in varie aree cerebrali. Questi dati, insieme a quelli relativi all’età anagrafica dei partecipanti maschi, sono stati elaborati da uno speciale software, per cercare una relazione tra i due fattori.

Quando al programma è stato chiesto di calcolare l’età delle volontarie donne a partire dal loro metabolismo cerebrale, il software ha dato come risultato un’età, in media, di 3,8 anni in meno rispetto alla reale età anagrafica.

I ricercatori hanno allora provato il procedimento opposto e i risultati hanno visto che i cervelli dei volontari maschi apparivano in media 2,4 anni più vecchi rispetto alla loro età.

Studi passati avevano già dimostrato che il cervello tende a restringersi con l’avanzare dell’età e che quello maschile perde volume più velocemente di quello femminile. Le cause erano state ricondotte a differenze ormonali e alle differenti modalità di risposta delle varie aree cerebrali alle sollecitazioni ormonali.

La regina inglese Anne Stuart e le sue favorite

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Anne Stuart (1655-1714) fu considerata dai suoi sudditi una grande monarca invece dagli storici è giudicata debole, sottomessa e completamente soggetta agli umori ed alle volontà delle sue favorite.

Era la terzogenita e seconda figlia di James, fratello del re, e della sua prima moglie Anne Hyde. Ricevette un’educazione semplice e le sue lettere mostrano una conoscenza scarsa anche della lingua inglese.

Anne fu una bimba malata e forse soffriva di “porfiria”, una malattia del sangue che potrebbe essere stata la causa dei futuri attacchi di gotta. Era molto miope ed all’età di 12 anni rischiò di morire di vaiolo, che le lasciò cicatrici sul volto.

Suo padre si era convertito al cattolicesimo ed avrebbe preferito crescere le figlie in questa fede ma, dietro le pressioni di potenti protestanti, le principesse pur non partecipando ai servizi religiosi furono educate nella religione protestante.

Le lettere adolescenziali di Mary ed Anne all’amica Frances Aspley mostrano già i tratti di un sentimento amoroso rivolto al femminile, infatti in questi scritti Mary era la “moglie fedele” di Frances, mentre Anne aveva il ruolo di “marito”.

Anne sposò nel 1683 il Principe Giorgio di Danimarca e il matrimonio fu deciso dal padre con l’appoggio di re Luigi XIV di Francia, che sperava in un’alleanza anglo-danese contro l’Olanda. Anne aveva 18 anni e il suo cattolico marito 30.

Il marito aveva il vizio del bere ed un carattere  passivo ma lei gli volle bene e si prese cura di lui fino alla morte. Delle diciotto gravidanze di Anne, tredici terminarono con aborti e nascite di bimbi morti e dei cinque figli e figlie nati vivi nessuno raggiunse l’età adulta. Il più longevo di nome William morì a soli undici anni.

Il padre di Anne, divenne re nel 1685 alla morte del fratello Charles, con il nome di Iames II ma il suo regno durò solo quattro anni. La sua “Dichiarazione d’indulgenza”, un proclama in favore dei cattolici che egli impose venisse letto in tutte le chiese, fu rifiutato da sette vescovi che, processati, furono però assolti fra il tripudio del popolo.

James disconobbe l’autorità del Parlamento ed il Parlamento offrì la corona a Guglielmo d’Orange, il marito della figlia maggiore Mary. Guglielmo arrivò in Inghilterra con un numeroso esercito e James fuggì in Francia. Anne sostenne la sorella e Mary e Guglielmo salirono al trono ma entrambi morirono dopo pochi anni senza lasciare eredi.

Il “Settlement Act” (atto di successione al trono) del 1701 stabiliva che nessun monarca cattolico potesse regnare in Inghilterra, ma Anne era figlia del matrimonio protestante di James e quindi legittimata a salire al trono.

Nel 1702 venne incoronata così l’ultima regina Stuart e ultima della Scozia indipendente poichè, cinque anni più tardi, pose fine all’indipendenza scozzese con l’Atto di Unione, segnando così la nascita del Regno Unito.

Anne riuscì in questo difficile intento anche se quando salì al trono, gli scozzesi si stavano ancora battendo contro l’occupazione inglese e inoltre  Re Luigi XIV aveva riconosciuto come legittimo erede dei troni d’Inghilterra e di Scozia James  il fratellastro di Anne.

James aveva però solo 14 anni ed un carattere debole che lo indurrà a non fare nulla per sostenere la propria pretesa al trono. Solo nel 1713, con il trattato di Utrecht, la Francia riconoscerà Anne come regina ed esilierà James dal proprio territorio.

Sarah Jennings era amica di Anne fin dall’infanzia e le due erano praticamente inseparabili. La corrispondenza intercorsa fra le due, colma di parole passionali,  mostra la regina molto dipendente dall’affetto di Sarah.

Il marito di Sarah, John Churchill  era caduto in disgrazia durante il regno di Mary e Guglielmo, ma Anne lo nominò Duca di Marlborough e sostenne il partito di Sarah, i Whigs, anche se era personalmente più vicina ai Tories.

Con l’ascesa di Guglielmo d’Orange era iniziata la monarchia costituzionale e un sistema bipartitico. Gli anglicani, che presero il nome di Tories, volevano una monarchia forte e furono il partito dei parroci e dei piccoli proprietari terrieri. I puritani, che presero invece il nome di Whigs, sostenevano invece una monarchia dal potere limitato dal Parlamento e una sorta di libertà religiosa che però non prevedeva il cattolicesimo e furono il partito dei mercanti e degli artigiani. Anne Stuart fu l’ultima regina ad avere il potere di veto sugli atti del Parlamento.

Sotto il regno di Anne vi fu anche la partecipazione dell’Inghilterra alla Guerra di Successione Spagnola (1702-1713). L’ingresso in guerra fu fortemente voluto dai Whigs e Sarah convinse la regina a sostenere questa posizione. Suo marito John Churchill fu uno dei comandanti delle forze inglesi e riportò continue vittorie contro i francesi che partecipavano alla guerra.

Sarah Jennings Churchill divenne però sempre più altezzosa e, approfittando della  fragilità emotiva della regina, si permetteva anche di rimproverarla in pubblico. La regina si avvicinò così ad un’altra donna, Abigail Hill Masham, sostenitrice dei Tory, che rimpiazzò Sarah nel cuore di Anne. Il potere dei Marlborough cadde, nel 1710 John Churchill fu estromesso dal servizio, Sarah perse di colpo tutti i suoi titoli ed entrambi furono allontanati da corte.

Dopo la fine della relazione fra la regina e la sua favorita, Anne passò ad appoggiare i Tories e pose fine alla partecipazione dell’Inghilterra alle guerre spagnole.

Sarah commissionò ballate satiriche in cui si narrava il legame lesbico fra Anne ed Abigail e cercò inutilmente di farla deporre. La regina era infatti amata dal popolo, a cui elargiva anche il “Queen Anne’s bounty” ovvero una donazione annuale di denaro per i poveri, e la sua posizione rispetto al Parlamento inglese era abbastanza solida.

Anne passò gli ultimi due anni della sua vita praticamente a letto, circondata da dottori che la curavano con salassi ed imposizione di ferri caldi sulla pelle.