Dal 2005, ogni 10 febbraio in Italia si celebra il «Giorno del Ricordo» in memoria dei quasi ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.
Nel 1943 in Italia avvenne lo scioglimento del Partito fascista e la resa dell’8 settembre. In Iugoslavia erano al comando forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia «Tito», che aveva sconfitto gli spietati “ustascia”, i fascisti croati agli ordini del dittatore Ante Pavelic, e gli “domobranzi” che erano semplicemente ragazzi di leva sloveni chiamati alle armi da Lubiana a partire dal 1940 poichè la Slovenia era stata incorporata nell’Italia.
Nella sola Istria si trovano più di 1.700 cavità carsiche e molte sono state usate per scaraventarvi, spesso ancora vivi, i prigionieri torturati e sommariamente processati da parte delle milizie di Tito. La prima ondata di violenza esplose dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi si vendicarono contro i fascisti, che avevano amministrato questi territori con durezza, ed anche contro tutti gli italiani non comunisti
Dal 1918 al 1943 la Venezia Giulia e la Dalmazia erano diventate italiane ma oltre la metà della loro popolazione era composta da sloveni e croati. Durante il fascismo l’italianizzazione venne perseguita attraverso il cambiamento della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingui. La repressione divenne più crudele durante la guerra, quando ai pestaggi si sostituirono le deportazioni nei campi di concentramento nazisti e le fucilazioni dei partigiani jugoslavi.
Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, iniziarono la riconquista della Dalmazia e della penisola d’Istria dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia. Dopo il crollo anche del Terzo Reich Tito ebbe come obiettivo l’occupazione dei territori italiani cioè di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.
Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria e puntò verso Trieste ma furono fermati dalla Divisione Neozelandese alleata del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica.
Gli jugoslavi si imadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani ma non riuscirono ad assicurarsi Trieste. Il generale Freyberg entrò a Trieste il 1° maggio 1945, mentre la città era ancora formalmente in mano ai tedeschi che, asserragliati nella fortezza di San Giusto, si arresero il 2 maggio.
Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra e altri furono uccisi dai partigiani jugoslavi, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati.
Le uccisioni fino al 1947 furono almeno 20 mila e gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250 mila. I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti e in mancanza di questi venivano prese le mogli, i figli o i genitori.
I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nelle fenditure morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri che erano condannati così a sopravvivere per giorni in fondo alle voragini, sui cadaveri dei loro compagni.
A Basovizza, alle porte di Trieste è stata trovata una foiba ove furono gettate almeno 2.500 persone in 45 giorni dal 1 maggio al 15 giugno 1945. Fiume si spopolò ed interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia.Entro la fine del 1946, 20.000 persone avevano lasciato la città, abbandonando case, averi, terreni.
Con la firma del trattato di pace di Parigi del 1947, l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia. Tito confiscò tutti i beni dei cittadini italiani con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma, ma il risarcimento non avvenne mai.
La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in Sud America, in Australia, in Canada e negli Stati Uniti. Tanti si trasferirono anche in Italia, nonostante il tentativo italiano di minimizzare la portata e i motivi della diaspora affermando che le notizie sulle foibe erano solo propaganda reazionaria.
Soltanto dopo il 1989, con il crollo del muro di Berlino e la fine del comunismo sovietico, nel 1991 il presidente della Repubblica Cossiga si recò alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni.
momenti terribili. Le parole non bastano. Una ritorsione alle scemenze nazionaliste del fascismo che volle italianizzare tutte le minoranze linguistiche.
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Quando si sono subite troppe violenze si reagisce con altrettanta crudelta.La violenza purtroppo genera sempre altra violenza…….
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